E’ stato un Natale più povero, dicono gli ultimi sondaggi: la crisi economica che incombe ha stretto un po’dappertutto cuori e portafogli (con le tredicesime, per chi può ancora contarci, bruciate per pagare mutui e tasse). Abbiamo speso meno in regali. Ma forse è stata l’occasione per riscoprire il vero senso del dono, smarrito in questi anni consumistici. Donna in salute ne ha parlato con Francesca Rigotti, docente di Filosofia all’Università di Lugano e relatrice al convegno “Il ruolo pubblico della filosofia”, organizzato dalla Scuola di Alta Formazione Filosofica di Torino, autrice del libro “Le piccole cose di Natale” (Interlinea Editore).
Professoressa Rigotti : in un mondo in cui le feste sembrano aver perso di significato, ridotte a semplici ricorrenze o cosa da bambini, lei punta sulla magia del Natale.
<Ciascuno di noi ha un’immagine personalissima, legata ai ricordi d’infanzia, ai tanti Natali vissuti, alle consuetudini che ha voluto conservare o ricreare, e ognuno é ovviamente libero di celebrare o non celebrare il Natale. Tuttavia, credo che il Natale sia davvero rimasta ancora una tra le più belle occasioni di festa collettiva, per credenti e non credenti, e come nessun altra festività sia ricca di simboli, con una grande forza evocatrice. Non sono credente e quindi non ne riconosco il significato religioso, però mi sorpende da sempre la meraviglia delle piccole cose che regala il Natale, come i doni, i dolci, il pupazzo di neve, il presepe, la candela, la renna o i canti, le ghirlande sui portoni e gli addobbi lungo le strade. In questo momento in cui l’accrescimento del progresso tecnico-scientifico segue una logica di inarrestabile astrazione, ben vengano l’albero di Natale o il muschio del presepio a ricordarci la concretezza della terra e la presenza delle cose che stiamo smarrendo. La concretezza richiede di guardare da vicino e con attenzione le piccole cose quotidiane, che ci riguardano ogni giorno, ma che noi non vediamo più perché abbiamo gli occhi appannati dall’abitudine. Pensiamo soltanto a come sono cambiati i regali che riceviamo e facciamo. Sempre meno oggetti e sempre più viaggi, corsi di lingue, sedute in palestra…>
Qual è il significato del Natale?
<Per chi è credente è la memoria del mistero di Dio che si è fatto uomo. Nel mondo antico, era la festa della luce che, con il solstizio di dicembre, iniziava a crescere, portando speranza, calore: una vittoria sul buio e il gelido inverno. E oggi? So che può sembrare una frase scontata, però, il Natale conserva, nonostante tutto, fra sacro e profano, la qualità di un tempo privilegiato per illuminare con la speranza il buio di questi tempi difficili. Potrebbe aiutarci a riscoprire il senso del dono, che non riusciamo più a vedere come ricchezza nelle nostre relazioni, a causa di una visione produttivistica e utilitaristica dell’esistenza. Per ravvivare legami e dialoghi che la routine ha reso opachi. Nella sua universalità, questa festa ha il poter di metterci in contatto con la parte migliore di noi stessi . Ecco a Natale si nasce! Abbiamo la possibilità di dire a noi stessi quanto siamo capaci di migliorarci, ritrovando quei buoni propositi che ci ispirava da bambini. Il Natale può diventare il momento giusto per recuperare, e per insegnare soprattutto ai nostri figli, la gioia dell’attesa, perché non è vero che ogni cosa ci è dovuta e subito. Anche i nostri bambini possono imparare da un Natale forse meno ricco di regali, il valore delle cose, l’importanza di averne cura ed essere liberi dalla novità a tutti i costi>.
In questa ricorrenza, sembra quasi banale o obbligatorio regalare e ricevere qualcosa. Quest’anno la parola d’ordine è austerità, risparmiando sugli “sfizi” e sui doni considerati meno utili. Puntando sul classico pensierino che sostituisce il regalo vero e proprio. Cosa ne pensa?
<Il gesto del donare implica uno scambio che va ben oltre il mero valore economico del bene regalato. Non è dunque questione di quanto spendiamo per i “regali”, quello che conta davvero è invece il saperli riconoscere e accogliere come “doni”. Qual è la differenza? C’è una certa confusione di linguaggio che non aiuta. L’’italiano possiede le parole “dono” e “regalo” e i loro rispettivi verbi sono spesso usati come sinonimi eppure tra loro c’è un abbisso! Regalo deriva da “rex” e “gala” che sta per “fare festa come si conviene ad un re”, e da “regalia” che erano i diritti spettanti al re di cui egli poteva fare concessione ai suoi sottoposti per ricompensa di altri servigi. Il regalo appartiene insomma alla sfera delle convenienze personali o sociali ed è spesso un dare calcolato, per opportunismo, per apparire o dominare l’ altro; oppure quando ci si deve far perdonare da una colpa. Un regalo puoi anche fartelo da solo. Il dono, al contrario, è un filo che tesse legami. E’ un investimento sull’altro, sul mondo, sulle possibilità umane. Il dono riconosce, celebra un legame, magari non ancora realizzato, ma simbolicamente e generosamente desiderato. Nel dono c’è un messaggio di attenzione all’altro, ma parla anche di noi stessi e dei sentimenti che proviamo per la persona cui è rivolto. Esprime aspetti che ci appartengono e che vogliamo condividere con una persona che ci è cara.. Quindi donare è anche un modo per conoscersi e per riconoscersi. La differenza non è più così da poco, vero? Chi conosce questa delicatezza del dono impara ad accogliere e apprezzare anche i doni più piccoli, ma personali>.
Perché ci sembra obbligatorio contraccambiare un dono?
<In verità le autentiche dinamiche del dono si danno solo nella reciprocità. Come mise già in evidenza il grande antropologo francese Marcel Mauss nel “Saggio sul dono”, agli inizi del secolo scorso, studiando le società primitive, un dono senza contro-dono è pressoché inconcepibile. E’ il potlach, termine che significa “dare”, ed era una cerimonia rituale presso alcune tribù degli indiani dell’America del nord, che di solito si svolgeva proprio in inverno, in cui si ballava, si cantava, si mangiava e si beveva, con lo scambio di doni, via via più grandi, in una sorta di sfida tra i membri di spicco della tribù. Contrariamente a quanto si pensa, nonostante evochi l’idea di un’azione disinteressata, il donare non è affatto un atto gratuito come sembra: al contrario, è carico di aspettative. Dono e legame creano un circolo virtuoso, rafforzandosi a vicenda: dare, ricevere e ricambiare. Il punto chiave sta proprio qui: non c’è pretesa di restituzione. C’è però un’attesa di restituzione, fondata sulla fiducia nell’altro. Anche convenevoli del tipo “è solo una sciocchezza”, “solo un pensiero”, sembrano improntati all’ipocrisia, ma non è così: sminuendo il dono fatto, si lascia l’altro libero di restituire oppure no, di “calcolare” i tempi e modi di una restituzione mai certa e garantita da “contratto”>.
Ma anche saper ricevere non è facile.
<Apparentemente non esiste niente di più semplice e immediato che ricevere un dono. Eppure, esistono delle persone che non sanno dire”Grazie”! Disporsi a ricevere un dono significa anche prepararsi a ringraziare, a esprimere gratitudine e riconoscenza. Non è capacità di tutti.Vi è poi un secondo aspetto. Noi non amiamo sentirci in debito, siamo refrattari alla gratitudine. La nostra è divenuta una società dei diritti: noi vogliamo, a volte pretendiamo, ricevere molte cose perché ci spettano, perché è un nostro diritto averle. Questa mentalità mal si concilia con la logica del dono>.
Sarà apprezzato il mio regalo o finirà dimenticato in un cassetto? Il dilemma del regalo giusto e la paura di donare qualcosa di poco gradito si accentua in questi tempi di budget ristretti. Come scegliere?
<Nel dono c’è un messaggio di attenzione all’altro. C’è di mezzo la voglia di dedicarsi, per qualche istante, all’attenzione verso l’altro, con generosità, affetto. Ma il regalo è veramente unico quando contiene anche qualcosa del donatore che va ad arricchire, in tutti i sensi, chi riceve il regalo. Naturalmente, vale sempre la regola del giusto mezzo: possiamo regalare un libro che abbiamo amato e che vorremmo condividere, ma non possiamo rifilare un fantasy a una amica che non sopporta il genere. La vera felicità del dono sta nell’immaginazione della felicità del destinatario, faceva notare il filosofo tedesco Theodor Adorno in Minima Moralia. Comunque azzardo un solo consiglio: i doni più belli sono quelli inaspettati che ci sorprendono! Il regalo rappresenta del resto qualcosa che appartiene a un’esperienza infantile, intendo proprio quel senso di magico che solo da bambini si può vivere: così eccitati che aprono i loro pacchetti con foga, strappano nastri e carta, per scoprirne subito il contenuto, accompagnato dalla tipica espressione di stupore mista a gioia. Quindi, suggerisco di mantenere una dimensione di sorpresa che superi di gran lunga il contenuto del pacchetto!>
“Non faccio regali perché sono solo una convenzione”.Cosa pensa di questa scelta?
<Quando si dona qualcosa, lo si fa liberamente; in caso contrario, se diventa una forzatura , non si tratterebbe affatto di un dono. Donare significa relazionarsi, prendere parte, inserirsi; non donare vuol dire auto-escludersi. Sarebbe davvero triste non riceve o non regalare nulla!>.
Perché a volte si riciclano i regali che non sono piaciuti?
<Se ti arriva un regalo, solitamente sorridi e pensi subito a che farne, magari lo getti via se non ti piace. Liberarsi di un dono non è una cosa carina…A dirla tutta, un dono è pur sempre un dono! Puoi sbarazzartene, ma rimarrà sempre un retrogusto amaro in bocca. Accettare che, anche le persone a noi più care, possono sbagliare o non rispettare pienamente i nostri gusti, ci rende più disponibili ad una comunicazione profonda e autentica>.
Gli oggetti rappresentano dunque nodi di relazioni con la vita degli altri.
<L’oggetto donato porta con sè un ‘anima che rappresenta l’identità del donatore. Non a caso, un regalo viene anche definito un “presente”, proprio perché in esso rimane presente il donatore, che ha dato se stesso. È una sorta di “impronta” personale e quello che ci preme di più è che la persona che riceve il regalo, oltre a gradirlo, si ricordi che è nostro. Le cose sono macchine narrative straordinarie! Ecco perché, organizzando un trasloco, la mano rimane sospesa fra il gesto di inscatolare una vecchia teiera che ci ha regalato la nonna o destinarla al sacco dei rifiuti….Eppure è soltanto una teiera. E la presenza di un certo suppellettile, che ci è stato regalato, ci dà un senso di sicurezza e protezione. Oggetti diventati cose (la cosa che ci sta a cuore, che riteniamo importante). Cose che ci parlano, raccontano storie, sono frammenti di vita. Il nostro io si “dissemina” nelle tracce del nostro rapporto con le cose: caricandole di un valore che ci richiama un ricordo, una persona, un vissuto particolare, dotiamo l’oggetto di un significato che trascende il valore in sé dell’oggetto stesso>.
di Cristina Tirinzoni