<La diagnosi è avvenuta per caso, quando Emanuele aveva due anni e mezzo> ricorda il padre Flavio Bertoglio, presidente dell’Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi (www.aimps.it). <Avevamo consultato diversi luminari di ortopedia, perché la malattia aveva dato come segno un grosso gibbo che era comparso sulla schiena. Ma nessuno sapeva spiegarsi l’origine. In più il piccolo aveva spesso forti raffreddori e difficoltà respiratorie che lo costringevano a dormire seduto. Fu un ortopedico, entrato per caso nella stanza dell’ospedale dove era ricoverato mio figlio, a sospettare che si poteva trattare di una malattia genetica e consigliare un semplice esame delle urine che ha confermato la diagnosi: sindrome di Hunter o mucopolisaccaridosi di tipo 2, una malattia rara che colpisce 1 bambino su 350.000 nati>. E’ causata dalla mancanza di un enzima che serve per degradare i mucopolisaccaridi, grosse molecole di scarto della cellula che si raccolgono nei lisosomi. Se queste non vengono trasformate, si accumulano e invadono i diversi tessuti e organi: cervello, cuore, articolazioni, fegato, milza, polmoni. Le conseguenze più gravi sono a carico del sistema nervoso e respiratorio e dell’apparato articolare, con la comparsa di contratture e deformità che impediscono i movimenti. <E’ il caso di Emanuele che oggi, a 14 anni, non è più in grado di camminare, di vedere, di parlare e, a suo modo, comunica col tatto le sue emozioni. Da sei anni è in cura e, se non ci fossero stati i farmaci, non avrebbe potuto vivere. Con tutti i disagi che questo genere di terapie comporta, sia per i bambini che per i genitori, dovendo essere somministrate con una flebo della durata di diverse ore in ospedale, almeno una volta alla settimana>.
Da oggi questi bambini potranno finalmente curarsi a casa. Il programma “Home-care”, avviato con la malattia di Fabry ed esteso successivamente a quella di Gaucher, è ora disponibile anche per la sindrome di Hunter, grazie al contributo di Shire, la casa farmaceutica che produce questi farmaci. <Si tratta di una terapia che deve essere somministrata per via endovenosa, con una flebo della durata media di tre ore, una volta alla settimana> fa notare la professoressa Daniela Concolino, responsabile del Centro regionale di Pediatria genetica e Malattie rare dell’Università “Magna Graecia” di Catanzaro. <Il vantaggio della terapia domiciliare è fondamentale per il bambino che può rimanere nel suo ambiente familiare e continuare le sue abituali attività, senza dover essere trasportato in un ospedale, magari lontano da casa, e stare tante ore in un’anonima corsia ospedaliera, con l’ansia e il terrore dei “camici bianchi”. Ed è conveniente anche per i genitori che non devono perdere giorni di lavoro per accompagnare il bimbo in ospedale. Ad oggi sono state effettuate più di 400 somministrazioni domiciliari in tre pazienti pediatrici e non si è registrato alcun evento avverso, né richiesta di rientrare in ospedale, con un evidente miglioramento della compliance>.
di Paola Trombetta