Sono le donne in età fertile a soffrire principalmente di anemia (circa mezzo miliardo), soprattutto nei Paesi dove la carenza di ferro è il disturbo nutrizionale più comune, spesso correlato ad alcune malattie come quelle infiammatorie intestinali (colite ulcerosa, morbo di Crohn), le patologie renali croniche, lo scompenso cardiaco, ma anche nel caso di frequenti sanguinamenti mestruali (metrorragie) e nelle donne che fanno la chemioterapia. Per sensibilizzare la popolazione e la comunità medico-scientifica, in occasione del Congresso della Società Italiana di Cardiologia di Roma, è stata presentata l’Associazione “Anemia Alliance”.
L’obiettivo? «Promuovere programmi educazionali e di comunicazione, oltre che sostenere studi clinici ed epidemiologici per migliorare l’approccio alla malattia», puntualizza il professor Robin Foà, direttore dell’Istituto di Ematologia dell’Università Sapienza di Roma e presidente della neo costituita associazione. «I pazienti anemici soffrono spesso di stanchezza, mancanza di concentrazione, maggiore predisposizione alle infezioni, disturbi questi che si ripercuotono negativamente sulla loro qualità di vita e sulle capacità lavorative. Per questo è fondamentale l’apporto di adeguati quantitativi di ferro per normalizzare i livelli di emoglobina».
Gli attuali regimi terapeutici risentono della carenza di protocolli standardizzati. Da un lato i preparati orali permettono di assorbire solo il 10-20% di ferro e non sempre sono tollerati dai pazienti a causa dei disturbi gastro-intestinali che possono provocare. Dall’altro, la somministrazione per endovena si avvale di farmaci poco maneggevoli, che implicano un elevato numero di infusioni della durata di alcune ore ciascuna. Oggi è disponibile un nuovo preparato a base di ferro e carbossi-maltosio. «Con un’unica infusione si riesce a ripristinare la corretta concentrazione di ferro nel sangue», precisa il professor Francesco Fedele, direttore del Dipartimento di Malattie Cardiovascolari e Respiratorie del Policlinico Umberto I di Roma. «Un dosaggio ottimale per le persone che soffrono di anemia, in particolare chi è affetto da scompenso cardiaco che evita così di doversi sottoporre a numerose infusioni di ferro».
Dallo Studio Carmes 1 è stata testata la prevalenza dell’anemia nei pazienti cardiopatici di tre centri cardiologici del Lazio e le modalità di approccio terapeutico. «I risultati dello studio hanno evidenziato che, nei pazienti ricoverati per insufficienza cardiaca che presentavano anche anemia (36% del totale), nell’arco di un anno solo in un terzo dei casi si è individuata la causa e solo la metà dei pazienti ha ricevuto un trattamento appropriato, a base di ferro orale o endovenoso», ribadisce il professor Fedele. «Per questo abbiamo deciso di avviare uno studio pilota (Carmes 2), promosso dalla SIC: partirà a gennaio e coinvolgerà tre centri cardiologici (Brescia, Roma e Palermo) per comparare, nei pazienti con insufficienza cardiaca e anemia, l’efficacia delle terapie oggi utilizzate nella pratica clinica, con il nuovo ferro-carbossimaltosio».
di Paola Trombetta