L’ultima, d’Oltralpe, è approdata in Italia solo qualche settimana fa in vista delle feste e dei suoi postumi: è la “Dieta 3” (protocollo brevettato da MinceurD) che promette di cancellare tre chili in 18 giorni, grazie a un programma “slim” in tre fasi a base di prodotti iperproteici associati ad alimenti tradizionali come frutta, verdura e carne. Rivaleggia da inizio d’anno con la nuova versione della Dieta Atkins, la “low carb” – niente dolci, alcool e carboidrati, come dice il nome – che costringe l’organismo ad attingere e bruciare grassi, lipidi e proteine dalle scorte con il risultato di smaltire nella prima settimana dai 2 ai 4 chili per poi stabilizzarsi su un calo di un chilo a settimana, tornata in voga dopo che Kim Kardashian, la star televisiva americana, è riuscita a perdere 26 chili accumulati con la gravidanza. Poi c’è la dieta “biblica” ispirata all’Antico Testamento, ideata negli Stati Uniti, che fa astenere per 40 giorni dal consumo di zucchero, caffè e alcool.
L’offerta è ancora più vasta e in questo panorama così variegato dI diete per vitini da vespa, si può anche correre il rischio di incontrare lungo il proprio percorso dietetico, nutrizionisti o pseudo tali che prescrivono diete e menù a pagamento con titoli, a volte conseguiti con master di specializzazione che non comprendono alcuna formazione sull’alimentazione, o che non hanno alle spalle una laurea nello stesso ambito. Uno scenario pericoloso specie se questa esperienza professionale deve essere destinata alla cura di pazienti ricoverati o in convalescenza per i più svariati motivi di salute, oltre che ai tanti italiani che si vogliono mettere a dieta.
È questo proliferare di competenze, alcune delle quali non previste dal Ministero della Salute, che ha richiamato l’attenzione dell’Associazione Nazionale Dietisti (ANDID) perché «la dietistica e l’applicazione della dietetica e della nutrizione umana all’individuo o a gruppi di individui sono una cosa seria – dichiara la Presidente, Giovanna Cecchetto – e non un gioco per far dimagrire o stendere un menù». Sono così partite una serie di iniziative e provvedimenti, primo fra tutti la definizione di un Libro Bianco “L’offerta formativa universitaria in nutrizione umana”, presentato nei giorni scorsi al Ministero, quale strumento utile soprattutto alle istituzioni per identificare punti di convergenza tra le logiche del mondo accademico, orientate a fornire cultura, conoscenze e adeguate competenze, e le necessità del mondo sanitario per la promozione e tutela della salute e la sicurezza dei cittadini.
Il libro pone dunque le basi e le richieste per una più attenta formazione e una normativa più rigida rispetto a quella vigente: è quanto di meglio ci si possa auspicare, per avere, anche in questo settore, ricadute benefiche in termini di tutela della salute per il cittadino, specie in quelle patologie nelle quali la corretta alimentazione rappresenta la sola e unica possibile cura (la celiachia o le intolleranze ai cibi, ad esempio). Infatti una migliore “educazione” e selettività alla professione da un lato evita il proliferare di qualifiche e titoli impropri e dall’altro limita i rischi, per i pazienti, di incorrere in informazioni fuorvianti o di vedere leso il diritto alla trasparenza e alla correttezza tanto più importante in tema di salute. «Questo Libro Bianco dei dietisti italiani – commenta Antonio Bortone che presiede il Coordinamento Nazionale delle Professioni Sanitarie (Conaps) – è non solo benvenuto, ma apre la strada a iniziative analoghe di altre associazioni impegnate a far valere il proprio valore e la qualità professionale a garanzia del cittadino utente e di una risposta adeguata ai bisogni di salute della popolazione».
di Francesca Morelli