E’ l’esperienza della dottoressa Maria Sole Facioni, presidente dell’Associazione Italiana Latto-Intolleranti, www.associazioneaili.wordpress.com, nata di recente per sensibilizzare e far conoscere gli aspetti e le implicazioni di questa patologia. In Italia oltre il 50% della popolazione predisposta a questa anomalia genetica (che può raggiungere anche picchi del 70% se si considera quella porzione che ne è ignara), potrebbe ritrovarsi nella stessa condizione. Il ritardo diagnostico è spesso determinato dalla sintomatologia che si sovrappone ad altre patologie del tratto intestinale, e per questo l’intolleranza al lattosio viene scambiata per colite da stress o celiachia, tanto da essere talvolta trattata anche con medicinali contenenti il lattosio fra gli eccipienti e questo aggrava gli esiti. «L’intolleranza al lattosio – spiega il dottor Edoardo Savarino del Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Oncologiche e Gastroenterologiche dell’Università degli Studi di Padova – può essere sia primitiva, cioè conseguente a un deficit congenito di produzione della lattasi, l’enzima che degrada il lattosio, sia secondaria e manifestarsi in età prescolare-scolare, in seguito a una progressiva riduzione di produzione dell’enzima stesso».
La diagnosi, fino a oggi, era affidata per lo più al test del respiro all’idrogeno, che presenta alcuni limiti di esecuzione (soprattutto in età pediatrica, per la difficoltà a comprendere come e dove soffiare), che possono essere invece superati da un test genetico, acquistabile in farmacia (costo all’incirca 70 euro) dall’inizio dell’anno. Diversi i vantaggi: la semplicità e la rapidità di esecuzione (bastano pochi secondi) e la sicurezza del risultato (rari i falsi negativi). «Il test – precisa il professor Paolo Gasparini, primario del Dipartimento di Genetica Medica dell’IRCCS Busto Garolfo di Trieste, titolare della cattedra di Genetica Medica dell’Università della città – si attua strofinando un tampone (una sorta di cotton-fioc) all’interno delle mucose della guancia, sul quale vengono raccolte cellule di sfaldamento (saliva). Assolutamente sicuro, il test non presenta rischi di contaminazione, poiché il campione viene sigillato in provetta e spedito a un laboratorio specializzato che procederà all’elaborazione del Dna, alla lettura e all’inquadramento del problema». All’operazione (prelievo della saliva e spedizione del materiale), può provvedere direttamente la persona perché il kit, oltre agli strumenti necessari all’esame, contiene anche le buste già affrancate o, in alternativa, è possibile riconsegnarlo in farmacia che effettuerà la spedizione in forma anonima. Il test genetico, dunque, permette di definire una situazione dinamica che, una volta conosciuta, consentirà di impostare strategie terapeutiche basate sui sintomi (diversi da persona a persona) e sulla necessità individuale. L’intolleranza al lattosio, infatti, bisogna saperla riconoscere e gestire: non è una malattia grave, ma non si può correggere poiché correlata alla genetica, dunque durerà per tutta la vita.
«L’unica cura possibile – aggiunge la dottoressa Elisa Marabotto, del Reparto di Gastroenterologia dell’Ospedale San Martino di Genova – consiste nell’eliminazione o nella riduzione del lattosio dalla dieta. Ma esistono delle criticità poiché il lattosio è presente come additivo in molti alimenti e addirittura in più del 20% di farmaci che richiedono ricetta medica e nel 6% in quelli da banco». Oltre alla difficoltà di eliminare completamente il lattosio dalla dieta mediterranea di cui è parte integrante, va considerato che una eccessiva diminuzione del suo introito aumenta il rischio di fratture sia nei giovani che nelle donne in età post-menopausale. Dunque come fare? «Esiste un meccanismo di “retollerance” – dice ancora Savarino. Quando la patologia è conclamata e ci sono sintomi pesanti, quali ad esempio diarrea o dolori addominali, si consiglia di sospendere ogni tipo di lattosio per almeno 4 settimane e poi riprovare a introdurlo nella dieta gradualmente e a piccole dosi crescenti, senza mai arrivare a quote che possono riprodurre la sintomatologia, rimanendo al di sotto dei 12 grammi al giorno, e frazionandoli nell’arco dei pasti, tra colazione, pranzo e cena per evitare un unico carico. Questo meccanismo può indurre a sviluppare una tolleranza al lattosio».
Garantirsi il giusto apporto di lattosio è comunque possibile, ricorrendo a soluzioni alternative: «Esistono cibi che naturalmente non hanno il lattosio – rassicura il professor Damiano Galimberti, docente di Nutrigenomica, presidente A.M.I.A. (Associazione medici italiani antiaging) e coordinatore S.I.N.E. (Società Italiana Nutri-genomica & Epigenetica), come il parmigiano che lo perde a seguito della stagionatura, o tutti i latti derivati dalla soia. Ma, insieme alla dieta, la soluzione più pratica, semplice e sicura è l’utilizzo di integratori a base di lattasi che aiutano l’organismo ad assorbire il lattosio e a salvaguardare la qualità organolettica, cioè la piacevolezza di poter mangiare qualche volta un piatto con del formaggio, grazie all’adeguato contenuto nell’integratore di lattasi che permette di controllare la sintomatologia».
di Francesca Morelli