Informare, fare prevenzione e condividere: si apre con questi messaggi chiari e incisivi il mese di ottobre dedicato alla battaglia contro il tumore del seno. Tenere alta la guardia, in giovane età per prevenirlo, in età matura per affrontarlo a uno stadio precoce o quando è avanzato e diffuso ad altri organi. Sono precise le Linee Guida per la gestione della malattia pubblicate anche su Annals On Oncology. Servono studi e finanziamenti per capire quale sia la terapia più appropriata: per questo è indispensabile la tipizzazione del tumore. Ma soprattutto è necessario informare le donne per prevenire e curare in tempo questa malattia che colpisce ogni anno 47 mila donne in Italia e un milione nel mondo.
Purtroppo le donne spesso trascurano di fare prevenzione. Lo conferma un’indagine, promossa dalla Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto “Pink is Good”, che ha coinvolto poco più di mille donne fra i 18 e i 65 anni. E sono soprattutto le ragazze più giovani, sulle quali invece occorre puntare per una efficace prevenzione e poter ridurre l’incidenza di malattia per gli anni futuri. Oltre la metà (60%) delle giovani intervistate non sa quando è il momento di cominciare i controlli. «Dovrebbero iniziare già a 30-35 anni con un’ecografia mammaria annuale e dai 40 anni con la mammografia annuale perché è l’unico esame in grado di identificare le microcalcificazioni, spia iniziale di una lesione mammaria», fa notare il professor Paolo Veronesi, presidente della Fondazione».
La maggior parte delle giovani non sa che l’età più delicata per il tumore del seno è quella compresa fra i 30 e i 50 anni, quando compaiono anche le patologie benigne come fibroadenomi, cisti, displasia. Una fascia di età che è ancor più da proteggere, poiché viene esclusa dalle normali campagne di screening: spesso, invece, in questi anni si trascurano i controlli. La salute è troppo costosa, sostengono le donne, ci sono liste d’attesa infinitamente lunghe: si pensa alla prevenzione, ma poi la quotidianità ha il sopravvento e i controlli restano dentro un cassetto o sulla pagina di un’agenda da riprogrammare. E ci si sbaglia, anche sugli stili di vita, perché si continua a fumare, si consumano troppe calorie e zuccheri e si beve alcol: è stato dimostrato che il consumo di bevande ad alta gradazione nel periodo compreso fra la prima mestruazione e la prima gravidanza è quello più a rischio di sviluppare un carcinoma in situ e/o tumori maligni. Da notare poi che le donne non hanno figli o ne hanno al massimo due, mentre la gravidanza e l’allattamento sono fattori protettivi. «Un tempo il tumore del seno era raro nel nostro Paese – aggiunge il professor Umberto Veronesi – oggi invece ha un’incidenza che cresce al ritmo dell’1,3% ogni anno, perché è calato il numero di gravidanze e non sempre i neonati si allattano. E così, se prima il seno non si ammalava perché restava sempre in attività, oggi è un organo fragile perché “in disarmo”».
Ancor prima che al medico referente, al ginecologo o al senologo, si affida alle mamme il compito di indirizzare le figlie alla conoscenza del proprio seno e delle sue alterazioni, all’importanza di effettuare l’autopalpazione tutti i mesi e un’ecografia mammaria almeno una volta l’anno. Comportamenti semplici e responsabili che consentono, qualora la malattia si presentasse a qualsiasi età, di curarla e guarirla in oltre il 90% dei casi, con punte del 98% quando il tumore è scoperto in fase molto precoce. Questo grazie a nuovi strumenti diagnostici e alle nuovissime terapie. Come l’immunoterapia, indicata ad esempio per i tumori positivi a HER2, una proteina presente sulle membrane cellulari coinvolte nei meccanismi che regolano la proliferazione cellulare. «L’immunoterapia utilizza un approccio terapeutico diverso da quello della chemioterapia e sfrutta lo stesso meccanismo naturale di difesa dell’organismo, ovvero il sistema immunitario», precisa il dottor Sergio Occhipinti, biotecnologo presso il CeRNM, Ospedale Città della Salute e della Scienza di Torino, che sta portando avanti la ricerca sostenuta dalla Fondazione Veronesi. Si sta cercando cioè di educare alcune specifiche cellule immunitarie, chiamate dendritiche, ad addestrare un altro tipo di cellule (linfociti T) a riconoscere le cellule tumorali che possiedono la proteina HER2 mutata e quindi a distruggerla. I primi risultati in vitro attesterebbero una parziale risposta immunitaria contro cellule tumorali in coltura, un traguardo che invita a proseguire in questa direzione, per arrivare ad addestrare direttamente le cellule del paziente a riconoscere quelle nocive e a vincere la malattia. Se la ricerca scientifica è sempre più efficace nel migliorare le attuali terapie e individuare nuove opportunità di cura, alle donne è richiesto, nella prevenzione, anche un contributo personale. Sottoporsi periodicamente ai controlli è fondamentale, ma non basta. Occorre investire quotidianamente contro la malattia, con uno stile di vita sano e corretto. Puntando oltre che sulla dieta e l’eliminazione dei viziosi fattori di rischio, anche sull’attività fisica: «Donne che praticano sport per almeno un’ora al giorno hanno un rischio inferiore del 12% di sviluppare un tumore al seno rispetto a chi conduce una vita sedentaria», dichiara la dottoressa Chiara Segré, supervisore scientifico della Fondazione Veronesi. «L’attività fisica contribuisce infatti a regolare il metabolismo, stimola il sistema immunitario e diminuisce la produzione di ormoni sessuali, fattori chiave spesso coinvolti nello sviluppo e nella progressione del tumore del seno». Studi scientifici attesterebbero poi che lo sport non solo allontana la possibilità di insorgenza della malattia, ma diminuirebbe anche il rischio di recidive e che un esercizio fisico persino di lieve intensità protegge dagli effetti collaterali di alcune chemioterapie, come quelle a base di doxorubicina, spesso causa di implicazioni cardiache.
Forte di queste attestazioni scientifiche “sportive”, quest’anno è partito il progetto #NOTHINGstopsPINK che ha reclutato 38 donne operate al seno. In un percorso di allenamento full-immersion alla corsa, durato cinque mesi con appuntamenti bisettimanali, sotto la guida di medici sportivi e coach qualificati, 10 di loro arriveranno alla meta sognata: correre la maratona di New York il prossimo 2 novembre. «Correre, camminare, muoversi contribuisce in maniera efficace al miglioramento della qualità della vita, specie nelle categorie più deboli, come bambini, diabetici, depressi, obesi, tossicodipendenti, detenuti, a patto che venga praticato a livelli adeguati», aggiunge il dottor Gabriele Rosa, medico chirurgo, specialista in cardiologia e medicina dello sport. Il programma podistico di lotta al tumore del seno, avrà anche una manifestazione territoriale tutta milanese: la prima Pink Parade, il prossimo 26 Ottobre, una marcia di 5 chilometri per il centro.
di Francesca Morelli