www.giornataparkinson.it), ideata e sostenuta dalle due società scientifiche che si occupano di disturbi del movimento, LIMPE e DISMOV-SIN. Si tratta di un appuntamento annuale molto importante che vuol far conoscere la malattia per facilitare la diagnosi precoce, evidenziando quei campanelli d’allarme che vengono spesso trascurati. «Ricordo che il mio primo segnale fu uno strano movimento “a scatto” mentre arrotolavo gli spaghetti con la forchetta – prosegue Lucilla – a cui seguirono altre piccole avvisaglie, legate a difficoltà nei movimenti, che mi convinsero a rivolgermi al medico. La diagnosi però arrivò tre anni dopo… Da allora ho sempre combattuto e non mi sono mai arresa, cercando di vivere come le altre persone, nonostante le difficoltà di movimento e di parola. Mi sono anche sottoposta a un complesso intervento chirurgico di DBS (Stimolazione Cerebrale Profonda) che ha migliorato molto il controllo dei sintomi, permettendomi di ricominciare una vita abbastanza accettabile. E oggi vado avanti contando sulle mie forze, cercando anche di aiutare le altre persone con Parkinson, nella ferma convinzione che “Ogni giorno vale una vita”, come ho intitolato il libro pubblicato di recente da Mondadori».
Come Lucilla sono circa 300mila le persone che in Italia convivono con il Parkinson, in prevalenza uomini (una volta e mezzo in più rispetto alle donne). Con l’aiuto della dottoressa Vincenza Fetoni, responsabile dell’Ambulatorio Parkinson e Disturbi del movimento dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano cerchiamo di conoscere meglio la malattia e individuare eventuali differenze “di genere”.
A quale età compare e quali sono i primi sintomi?
«L’età di inizio della malattia è solitamente compresa tra i 59 e 62 anni, anche se sono sempre più frequenti gli esordi giovanili sotto i 50 anni (uno su 4). Solitamente nelle donne l’esordio della malattia è ritardato di circa due anni rispetto agli uomini. E questo potrebbe in parte spiegarsi per il benefico effetto “neurotrofico- protettivo” svolto dagli estrogeni endogeni sul sistema della dopamina, il neurotrasmettitore prodotto dalla “sostanza nigra” a livello cerebrale la cui carenza è causa della malattia. Forse per questo nelle donne c’è una minore compromissione motoria, per lo meno nei primi cinque anni. Anche le caratteristiche cliniche sono diverse: prevale la forma che dà tremori nelle donne, mentre negli uomini quella con rigidità e lentezza dei movimenti. L’esordio della malattia può manifestarsi con sintomi motori, come dolori articolari, rallentamento dei movimenti, ma anche non motori e più difficili da riconoscere, come stati depressivi, stipsi, disturbi del sonno quali insonnia e sindrome delle “gambe senza riposo”, caratterizzata da movimenti incontrollati degli arti durante il sonno. Quest’ultimo disturbo è più frequente nelle donne. Sono tutti campanelli d’allarme che dovrebbero indurre a rivolgersi a un centro specialistico».
Ci sono novità riguardo alla diagnosi e alle cure?
«La SPECT cerebrale con DAT-scan che valuta la quantità dei recettori che producono dopamina, gravemente compromessa nella malattia, è un valido ausilio strumentale nella diagnosi di Parkinson, il cui sospetto è sempre clinico, cioè il riconoscimento dei sintomi motori e non motori. La terapia più efficace, usata da più di vent’anni, è la levodopa che sostituisce il neurotrasmettitore mancante. La risposta al trattamento farmacologico si complica con la progressione della malattia e le donne, rispetto agli uomini, sviluppano maggiori discinesie: questo può dipendere anche da una maggiore biodisponibilità del farmaco nell’organismo femminile a parità di dosaggio. In altre parole nelle donne dovremmo tenere conto del minor peso corporeo e ridurre il dosaggio del farmaco. I farmaci dopaminoagonisti possono determinare effetti collaterali con disturbi comportamentali e anche in questo caso vi è una differenza di genere: tendenza al gioco d’azzardo nell’uomo e shopping patologico nella donna».
Uno studio recente, tutto italiano, pubblicato sulla rivista “Parkinsonism & Related Disorders” attesta differenze “di genere” nella comparsa anche di sintomi depressivi, più frequenti nelle donne…
«Effettivamente le donne sembrano essere più vulnerabili a stati depressivi rispetto agli uomini. Una possibile spiegazione potrebbe essere legata al più alto prezzo che una donna deve pagare a causa della malattia, che spesso la costringe a lasciare il lavoro e non riuscire più a occuparsi dei figli e della casa. In più a risentirne è l’aspetto della femminilità, dell’immagine corporea che viene in qualche modo alterata e “deformata”».
Un modo per riacquistare la propria femminilità potrebbe essere quello di dedicarsi ad attività fisiche come la danza, un percorso del resto “testato” con successo anche dalla signora Lucilla…
«Un recente studio pubblicato sulla rivista “Neurology” conferma che l’esercizio fisico migliora la disponibilità della dopamina a livello cellulare. La danza ha il vantaggio di migliorare anche la ritmicità e la coordinazione del movimento che, nei malati di Parkinson, è spesso carente. Nei nostri centri consigliamo ai pazienti di praticare attività come danza, Tai-Chi, Pilates. In particolare sembra che il ballo più efficace per favorire il controllo dei movimenti e della postura, con particolare attenzione all’appoggio dei piedi, sia il tango che consigliamo ai pazienti, proponendo appositi corsi di tango-terapia».
di Paola Trombetta