Sono le donne più a rischio di tumore della tiroide, in un rapporto di 8 a 1 rispetto all’uomo. Tanto che a partire dal 2015 potrebbe diventare il secondo tumore in rosa più diffuso nei paesi economicamente sviluppati, dopo il tumore del seno. A dare la notizia sono gli endocrinologi e gli specialisti riunitisi a Milano, in occasione dell’8° Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana della Tiroide (AIT) che spiegano anche le ragioni di un aumento così sensibile della patologia. «La scoperta di un piccolo nodulo tiroideo – ha commentato il Professor Paolo Beck-Peccoz, Professore Ordinario di Endocrinologia presso l’Università degli Studi di Milano e Presidente AIT – avviene per lo più in maniera accidentale nel corso di controlli eseguiti per altre patologie, come l’eco colordoppler per la valutazione dei vasi sovra-aortici, ad esempio». La buona notizia è che vengono diagnosticati a uno stadio molto precoce rispetto a qualche decennio fa e richiedono perciò, nella maggior parte dei casi, trattamenti meno aggressivi anche in relazione al loro basso grado di malignità.
Tanto che, secondo le nuove linee guida dell’American Thyroid Association sulla diagnosi e terapia del nodulo tiroideo, pubblicate entro il primo semestre 2015, sarà possibile curare i tumori tiroidei senza chirurgia o, laddove necessaria, con interventi sempre più conservativi. La terapia radio metabolica sarà invece riservata solo ai tumori tiroidei particolarmente avanzati o aggressivi, che rappresentano non più del 10-20% dei casi.
Alla tiroide, che controlla e svolge molte funzioni del nostro corpo, da quelle metaboliche a quelle dello sviluppo del Sistema Nervoso Centrale, fino alla fertilità, non si presta però sufficiente attenzione e cura. Un’ indagine realizzata per la campagna di sensibilizzazione “Tiroide in Prima Fila”, promossa dalla Fondazione Cesare Serono con il sostegno incondizionato di Merck Serono S.p.A. (www.tiroideinprimafila.it), condotta su più di 1.600 persone, di cui l’80% donne e il 40% di età compresa fra 36 e 50 anni, rivela una generale disattenzione al mantenimento in salute di questa ghiandola, specie fra le donne e nella fascia d’età a maggior rischio di comparsa di qualche problema. «Solo il 48% di donne – ha commentato Tommaso Sacco, Responsabile Scientifico della Fondazione Cesare Serono – si è sottoposta negli ultimi tre anni a esami di funzionalità tiroidea, anche nel caso in cui vi fosse familiarità, segni e/o sintomi potenzialmente riferibili a tali patologie che presupponevano controlli periodici». Le ultime stime riferiscono che a soffrire di tiroide sono il 10% degli italiani, potenzialmente una persona in ogni famiglia è affetta da un problema tiroideo e alle sue implicazioni. Prima fra tutte sull’apparato riproduttivo: «Non è raro che alla base della subfertilità o dell’infertilità – aggiunge Beck-Peccoz – vi sia un problema di ipotiroidismo. È importante tenere sotto controllo questa ghiandola soprattutto quando si inizia un percorso di procreazione medicalmente assistita e durante i cicli di stimolazione ovarica, laddove indicato, un adeguato trattamento con L-tiroxina sodica può aumentare le probabilità di esito positivo dell’impianto dell’embrione e, contestualmente, ridurre il rischio di aborto e di morte intrauterina del feto». Anche in caso di gravidanze naturali, può però insorgere una particolare forma di ipotiroidismo: quello gestazionale, appunto. «Può interessare il 10 e il 15% delle donne al di sotto dei 25 anni e sopra il 15% in caso di età più elevata. Questo perché in gravidanza vi è un’ipersecrezione di ormoni tiroidei, maggiore del 30-40% rispetto al normale e se non viene garantito un adeguato livello può aumentare il rischio di aborto spontaneo, di nascita prematura, e di probabilità durante lo sviluppo di problemi di apprendimento e crescita per il bambino».
La buona salute della tiroide, però comincia anche con l’attenzione alla tavola, ovvero nutrendola di iodio. Di questa sostanza, la tiroide non può proprio farne a meno: essa è infatti la componente principale dei suoi ormoni ed è indispensabile per la crescita corretta non solo dell’organismo, ma anche per il buon funzionamento del metabolismo. Una necessità che diventa più impellente in particolari fasce di età, nei bambini ad esempio o nelle donne in dolce attesa dove il normale fabbisogno è raddoppiato. «Invece nel mondo – fa sapere il Presidente AIT – quasi 1 miliardo di persone è carente di iodio: 100 milioni, di cui circa 5 milioni bambini solo in Europa. Integrare lo iodio nell’alimentazione mediante il consumo di sale iodato, è una misura di prevenzione efficace, poco costosa e semplice, ma ad alto impatto sanitario». Anche in Italia dove la carenza iodica, sebbene non severa, determina ancora un’alta frequenza di gozzo e di altri disordini correlati. Disordini prevenibili se si ricorresse a una corretta assunzione di iodio, mentre invece è di poco superiore al 60% della dose giornaliera raccomandata, che equivale a 150 µg per adolescenti e adulti, 90 µg per i bambini al di sotto dei 2 anni e 250 µg per le donne in gravidanza e in allattamento.
E per sensibilizzare a una buona educazione all’uso/consumo di iodio, l’AIT lancia il monito “Poco sale, ma che sia iodato” poiché l’impiego di sale domestico in quantità controllate (max 3-5 gr) non contravviene alle raccomandazione di ridurre l’assunzione di sodio per proteggere cuore, rene, circolazione, pressione dagli esiti di un eccesso di sodio. Bastano infatti 2-3 grammi di sale da cucina iodato, per fornire 60-90 microgrammi di iodio utili per il raggiungimento del fabbisogno quotidiano nel bambino. Mettendolo al sicuro da rischi futuri.
di Francesca Morelli