«Quando venne operata al cuore nel 1998, Ermira aveva solo 8 anni. L’avevo incontrata in una delle mie prime missioni in Albania, a Blinisht nella Regione di Zadrima, ai tempi della guerra del Kosovo, dove ero stato chiamato da un amico sacerdote missionario, don Antonio Sciarra che si prodigava per assistere i profughi Kosovari». A ricordare questo incontro è il dottor Stefano Marianeschi, responsabile della Cardiochirurgia pediatrica dell’Ospedale Niguarda di Milano, che da vent’anni opera come cardiochirurgo volontario insieme alla sua équipe, in alcuni dei Paesi più poveri del mondo. «All’epoca non esisteva in Albania un ospedale attrezzato per questo genere di interventi: abbiamo dovuto portare la bimba in Italia ed è stata operata all’Hesperia Hospital di Modena, dove all’epoca lavoravo. L’operazione è stata abbastanza complessa: abbiamo sostituito le due valvole cardiache, l’aorta e la mitrale, che erano danneggiate a causa della malattia reumatica di sui soffriva Ermira fin da piccola. Se non l’avessimo operata il suo cuore, già malandato, si sarebbe in breve tempo scompensato, portandola a morte sicura. Da allora ho sempre seguito Ermira e la visitavo ogni anno, quando andavo in Albania. Mi sono molto affezionato a lei e l’ho vista crescere. Quando poi mi ha presentato il fidanzato, oggi marito, con il quale si era trasferita in Italia ad Alba mi sono sentito un po’ come un padre. Qualche anno fa mi chiese un consiglio: voleva mettere al mondo un figlio. Ho tentato in tutti i modi di dissuaderla, perché la gravidanza era incompatibile con lo stato del suo cuore e con i farmaci anticoagulanti che doveva sempre assumere per evitare problemi alle valvole, mettendo a rischio la sua vita e quella del piccolo. Ma non c’è stato verso: era decisa ad avere un figlio a tutti i costi! Allora l’abbiamo seguita per tutta la gestazione, modificando, di mese in mese, la terapia. Per fortuna tutto è andato bene e oggi Ermira vive felice col marito e il piccolo Gioele che ha tre anni: forse lei dovrà subire in seguito un secondo intervento per sostituire le due valvole, troppo piccole per una giovane di 24 anni».
PIU’ DI MILLE I PAZIENTI OPERATI
Ermira è una dei più di mille piccoli pazienti, portatori di cardiopatie congenite, che il dottor Marianeschi, insieme con altri cardiochirurghi della Fondazione “Aiutare i Bambini” ora “Mission Bambini”, ha operato in questi 20 anni, salvando loro la vita. Sono più di 2 milioni nel mondo i bambini, tra 5 e 14 anni, colpiti da cardiopatie congenite, molte delle quali causate da febbri reumatiche, e nell’80% dei casi vivono nei Paesi poveri, dove non possono accedere a cure e interventi chirurgici adeguati. In alcuni Paesi africani, la malattia reumatica è addirittura endemica e basterebbe un’adeguata profilassi antibiotica per debellarla. Oggi l’équipe del dottor Marianeschi (formata da un cardiochirurgo, un anestesista, un perfusionista per la macchina cuore-polmone, un medico per la terapia intensiva e un infermiere) compie circa 5 missioni all’anno, in Paesi quali Uzbekistan, Uganda, Etiopia e Cambogia, operando circa una sessantina di bambini l’anno. «Il nostro scopo non è solo quello di intervenire sui bambini con gravi problemi cardiaci, portando spesso tutte le attrezzature per la sala operatoria dall’Italia, ma è soprattutto quello di mettere questi Paesi nelle condizioni di poter operare in autonomia, fornendo loro i materiali necessari attraverso campagne di charity e con la formazione in loco del personale>, puntualizza lo stesso Marianeschi, da pochi giorni rientrato da una missione molto faticosa, ma tanto ricca di soddisfazioni in Cambogia. «In quel Paese i giorni scorsi abbiamo operato dieci bambini nell’ospedale di Siem Reap, vicino ad Angkor, dove si trovano i famosi templi, tanto ammirati dai turisti. Questo ospedale è stato fondato da un giapponese e oggi è interamente finanziato da donazioni internazionali, provenienti soprattutto da Fondazioni americane, australiane e svizzere. In particolare quest’anno la Fondazione “Mission bambini” ha ricevuto un lascito di 150mila euro da un privato, che verrà utilizzato per creare un centro di Terapia intensiva pediatrica all’interno di questo ospedale. E’ infatti fondamentale disporre non solo di buoni macchinari e personale qualificato, ma anche di un ambiente asettico e ben controllato per gestire la degenza post-operatoria dei bambini operati, ed evitare rischi di infezioni, ricorrenti dove gli ambienti non rispettano le basilari norme igieniche».
OSPEDALI LOCALI E FORMAZIONE DEL PERSONALE
«L’obiettivo delle nostre missioni è quello di preparare il personale locale a effettuare questi interventi in totale autonomia», ribadisce il dottor Marianeschi. «In Uzbekistan, ad esempio, abbiamo formato personale specializzato e oggi l’ospedale pubblico è in grado di eseguire autonomamente diversi tipi di operazioni al cuore. Con l’Ospedale di Niguarda siamo sempre in contatto per i casi più difficili. Oggi ci sottopongono casi di bimbi molto piccoli, a dimostrazione che vengono salvati sempre più bambini, anche in condizioni gravi. Così facendo si riducono di gran lunga le spese sanitarie e si dà lavoro al personale locale. Se un tempo per portare in Italia un bambino da operare al cuore, in condizioni gravi, occorrevano circa 30 mila euro, tra spese di intervento, di viaggio e alloggio per i familiari, oggi operare con le risorse locali, grazie alle numerose donazioni, non costa più di mille euro a bambino».
Ovviamente tutto questo è stato possibile grazie alla tenacia e alla generosità di uomini, come il dottor Marianeschi e i membri della sua équipe, che mettono a disposizione la loro professione e il tempo libero. Per partecipare a queste missioni, infatti, “sacrificano” i giorni di ferie, rinunciando magari a trascorrerle con la famiglia. «Mia moglie è stata determinante, in quanto mi ha sempre incoraggiato e non ha mai fatto pesare la mia lontananza», conferma Marianeschi. «E lo stesso hanno fatto le figlie che oggi hanno 19 e 21 anni: la più grande è lei stessa volontaria della Fondazione “Mission bambini” e due settimane fa ha allestito i banchetti di Natale per la raccolta fondi». A questo punto il dottor Marianeschi ci rivela anche un piccolo segreto: la presenza costante del suo Angelo custode, don Giuseppe De Santis, la guida spirituale che da giovane liceale lo aveva indirizzato a intraprendere gli studi medici e prodigarsi per il prossimo. “Ti sarò sempre vicino quando visiterai ciascun bambino”, gli aveva profetizzato. E Marianeschi conferma di sentire ancora questa voce ogni qual volta opera un bambino, ma anche quando, aprendo l’ambulatorio in uno dei Paesi dove si reca con la sua équipe, gli si presentano decine di bambini, portati in braccio dai genitori, che hanno magari camminato per chilometri in condizioni impossibili pur di ricevere da questo medico italiano una speranza di salvezza per i loro figli.
di Paola Trombetta