ALZHEIMER E DEPRESSIONE: UN BINOMIO AL FEMMINILE

Depressione e Alzheimer, due malattie molto diverse che invece sembrerebbero tra loro correlate, soprattutto nelle donne. A ipotizzarlo è una recente review condotta su 23 studi internazionali, presentata al congresso “Memory in the diseased brain”, promosso dall’Accademia Pontificia delle Scienze a Roma. Su un campione di oltre 50 mila uomini e donne anziani, quelli che hanno riferito una diagnosi di depressione avevano una possibilità doppia di sviluppare demenza e il 65% in più di avere l’Alzheimer. Una ricerca apparsa su Neurology inoltre ha analizzato 1764 persone che non presentavano problemi di memoria e sono stati seguiti per 8 anni: i soggetti che sviluppavano un declino cognitivo anche lieve mostravano sintomi di depressione già prima che la demenza fosse diagnosticata e tra i segni più evidenti c’era la diminuzione del livello di memoria. «L’ipotesi emersa è che trattare la depressione potrebbe diminuire l’incidenza di demenza e che gli antidepressivi non siano una terapia per l’Alzheimer, ma rappresentino una forma di “protezione”», spiega Marco Andrea Riva, del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell’Università di Milano.
«Il trattamento per la depressione infatti ha un effetto sia sul recupero del “funzionamento” individuale e sociale dell’individuo che di stimolo sulla plasticità cerebrale e la creazione di nuovi connessioni grazie a un’azione neurotrofica che stimola la produzione di fattori di crescita. In particolare i nuovi farmaci antidepressivi multi-modali hanno un meccanismo d’azione diverso da quelli tradizionali come gli SSRi. Non solo aumentano i livelli di serotonina, ma modulano significativamente anche altri neurotrasmettitori, tra cui il glutammato, con un’attività importante su due aree cerebrali: l’ippocampo e la corteccia prefrontale. Il risultato è una modulazione del tono dell’umore e anche il miglioramento dei sintomi cognitivi (memoria, attenzione, focalizzazione), che rappresentano un aspetto importante nei disturbi psichici. Abbiamo necessità di ristabilire il paziente nel suo “funzionamento” affettivo, ma anche in quello intellettuale, risultato che possiamo ottenere se agiamo in maniera integrata su più bersagli cellulari», conclude il farmacologo.

PIU’ VULNERABILI LE DONNE CON BASSO LIVELLO DI SCOLARITA’
E’ donna, ha un basso livello di scolarità, uno status sociale modesto, uno stile di vita non sano e ha spesso sofferto di malattie vascolari o metaboliche. E’ ciò che si evince da un lungo studio prospettico, condotto dalla professoressa Laura Fratiglioni, direttore dell’Aging Research Center presso il Karolinska Institutet di Stoccolma. «Il Kungsholmen Project, questo il nome dello studio, ha preso in carico la popolazione anziana di un intero quartiere di Stoccolma: 1810 soggetti con più di 75 anni, arruolati nel 1987 e controllati ogni 3 anni. «Il dato più sorprendente è che la scarsa educazione è inversamente proporzionale al rischio di sviluppare forme di demenza. L´effetto protettivo di un’educazione avanzata può perfino controbilanciare il rischio genetico», spiega la professoressa. «Il gruppo di soggetti con un percorso scolastico di 7 anni al massimo, era a maggior rischio di presentare deficit cognitivi già a 65 anni. Questo dato ci suggerisce l’importanza delle prime due decadi di vita nello sviluppo di un cervello ricco di neuroni e dotato di plasticità, ossia la capacità di creare connessioni tra le varie cellule nervose. Un vantaggio che sembra avere effetti a lungo termine. Comunque, esiste la possibilità di compensare questo inizio non vantaggioso nella vita, attraverso attività mentalmente complesse nella vita adulta e un coinvolgimento in attività fisiche, mentali e sociali una volta raggiunta l´età anziana».
di Paola Trombetta

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