DOLORE E INCOMPRENSIONE: I DISAGI PIU’ PESANTI DELLE MALATTIE REUMATICHE

Sono sette le malattie reumatiche più invalidanti, per le quali vengono riconosciute le esenzioni dal Sistema Sanitario. E colpiscono in prevalenza le donne (68%) in età lavorativa, tra 45 e 65 anni. Rappresentano la prima causa di invalidità temporanea e la seconda di invalidità permanente: il 27% delle pensioni di invalidità è attribuibile infatti a queste patologie. Ogni paziente non adeguatamente trattato perde in media 12 ore lavorative a settimana; quattro pazienti su dieci sono addirittura costretti a cambiare o rinunciare al lavoro. Sono in totale 371.586 i pazienti, monitorati in 150 ASL sul territorio nazionale, a soffrire di queste patologie e ad avere diritto alle esenzioni. Lo conferma il primo censimento ufficiale, realizzato dall’Associazione Malati Reumatici dell’Emilia Romagna (AMRER), presentato in occasione del convegno “Malattie reumatiche: la prima fotografia ufficiale dell’impatto in Italia”, presso la Biblioteca del Senato a Roma, che si propone di disegnare una mappa attendibile sul numero e i bisogni dei pazienti reumatici allo scopo di migliorare le prestazioni, ottimizzare le risorse e garantire i diritti di cura ad ogni cittadino-paziente.

Per conoscere più da vicino le necessità e le aspettative dei malati reumatici, abbiamo rivolto qualche domanda ad Antonella Celano, che da più di 45 anni convive con l’artrite reumatoide e oggi più che mai è impegnata, come presidente di A.P.MA.R. Onlus, nella tutela di questi malati.

Le malattie reumatiche, in particolare l’artrite reumatoide, incidono pesantemente sulla qualità di vita del paziente: quali sono gli aspetti che provocano maggiore sofferenza? 

«Innanzitutto il dolore che incide in modo pesante sulla qualità di vita e difficilmente si riesce a condividere con altri. Solo chi vive l’esperienza del dolore in prima persona ne conosce la reale portata. Un secondo elemento è l’incomprensione da parte di familiari, amici, colleghi di lavoro. Le malattie reumatiche sono considerate tipiche dell’anziano e non si pensa che possano colpire una persona giovane, nel pieno delle potenzialità lavorative. C’è ancora scarsa conoscenza di queste malattie e la disinformazione può causare ritardi diagnostici. Un bambino che prova dolore quando corre, può venire ancora oggi trascurato, e considerato un po’ indolente, com’era successo a me, 47 anni fa, quando sono comparsi i primi campanelli d’allarme di questa malattia che, se diagnosticata tempestivamente, sarebbe stata controllata meglio».

Molte malattie reumatiche “prediligono” il genere femminile. Quale impatto hanno sulle donne, soprattutto quando comportano una riduzione delle capacità motorie?

«Per una donna, ricevere una diagnosi di malattia reumatica è un colpo molto duro! La donna oggi vive ruoli diversi: madre, moglie o compagna, lavoratrice, spesso care giver dell’intera famiglia. Tutti questi ruoli e la frenetica attività che ne consegue crollano al momento della diagnosi. La donna si guarda allo specchio e non si riconosce più, soprattutto quando avverte le prime rigidità di movimento che rendono difficile persino aprire una bottiglia. E’ costretta allora a cambiare vita, a rallentare i ritmi, a non poter più progettare il futuro. A risentirne è in particolare la sfera affettiva e sessuale: si possono incrinare i rapporti col partner, ci si sente inadeguate nei confronti dei figli, si perde il gusto di socializzare, di stare con gli amici. E poi ci sono le cure, scandite con periodiche somministrazioni di farmaci, che possono comportare effetti collaterali. E quando la malattia sembra sotto controllo, c’è sempre la spada di Damocle di possibili ricadute. Non ci sono più certezze, ad eccezione della realtà della malattia. E la donna cambia il suo vocabolario: da “faccio” o “farò” a “sarò in grado di fare”? Per superare queste difficoltà è fondamentale che, al momento della diagnosi, la donna si senta supportata da bravi medici, ma anche da un aiuto psicologico che consenta di elaborare e accettare al meglio la malattia».

Quale supporto fornisce la vostra Associazione e come vi state muovendo per favorire un miglior accesso diagnostico-terapeutico ai malati?

«La mission della nostra associazione A.P.MA.R. è da sempre quella di migliorare la qualità dell’assistenza ai malati reumatici. Per questo ci muoviamo su diversi fronti: informiamo i cittadini, aiutiamo i pazienti ai quali offriamo anche assistenza psicologica e un numero verde per ogni informazione (800.984712). Attraverso web siamo presenti su tutti i canali social, con l’impegno dei nostri associati e dei medici, collaboriamo con le istituzioni a livello locale, nazionale ed europeo. Organizziamo corsi per aiutare i pazienti a gestire la malattia. E ci battiamo per garantire a tutti il diritto alle cure. Sono azioni che ogni associazione dovrebbe promuovere, tenendo anche i rapporti con le istituzioni e gli amministratori locali per aiutarli a pianificare al meglio i percorsi diagnostico-terapeutici. Nessuno più delle associazioni, infatti, conosce i bisogni dei malati e sarebbe auspicabile che tutte insieme riuscissero a lavorare per perseguire obiettivi comuni».

di Paola Trombetta 

Articoli correlati