LA SCOMMESSA DELL’ IMMUNOTERAPIA CONTRO I TUMORI

All’inizio era stata applicata nella cura delle malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide. Oggi l’immunoterapia è la nuova arma contro i tumori, in particolare il melanoma, che sembra essere il più responsivo. Non procura gli effetti collaterali, tra cui la caduta dei capelli, molto temuta dalle donne. E soprattutto si devono assumere solo quattro dosi di farmaco ogni tre settimane: la cura si conclude in tre mesi. Recenti studi clinici ne stanno testando l’utilizzo anche nel tumore al polmone, rene, e persino ovaio e glioblastoma (un tumore cerebrale primitivo), di cui è appena partita una sperimentazione al Policlinico Santa Maria alla Scotte di Siena. Nonostante si tratti di una terapia “giovane” è già molto conosciuta: oltre il 90% dei pazienti con melanoma in trattamento dà una definizione appropriata di farmaco immuno-oncologico. L’80% ritiene che queste terapie siano efficaci e più tollerate rispetto agli altri trattamenti anti-cancro. E il 98% è consapevole che possano presentare effetti collaterali, ma diversi dalla chemioterapia. Sono i risultati del primo sondaggio sull’immuno-oncologia mai realizzato in Italia, che è stato presentato i giorni scorsi a Roma al Convegno “Immunotarget-terapia dei tumori” promosso dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM).

«Grazie al suo meccanismo d’azione, questo approccio terapeutico innovativo riesce a limitare e fermare la malattia per un lungo periodo», spiega il professor Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM e direttore dell’Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma. «Il 70% degli oncologi medici utilizza l’immunotarget-terapia nella pratica clinica della cura del melanoma». Sono 11mila le nuove diagnosi stimate nel 2014 in Italia e 1.700 i casi di malattia metastatica. A settembre 2014 ipilimumab, il primo farmaco immuno-oncologico, ha ricevuto l’approvazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per il trattamento in prima linea del melanoma metastatico. «Con questo farmaco il 20% dei pazienti sopravvive a 10 anni e la malattia tende a diventare cronica, mentre prima quasi tutti i pazienti con melanoma metastatico non vivevano più di un anno», commenta il professor Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia del Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del “Pascale” di Napoli. «Un traguardo molto importante se si pensa che la maggior parte dei pazienti con melanoma sono giovani, di età compresa tra 40 e 50 anni».

Come funzionano queste terapie? «La cellula del tumore viene avvicinata dai linfociti T (globuli bianchi capaci di eliminare o neutralizzare le cellule infette o anormali) e si allerta per respingerli», spiega il dottor Renzo Canetta, vice presidente mondiale dell’Area Ricerca e Sviluppo in Oncologia di Bristol-Myers Squibb, che ha sede a Princeton negli Stati Uniti. «Ma i linfociti vengono “potenziati” da questo farmaco per reagire e distruggere le cellule tumorali. Dalle iniziali sperimentazioni sembrava che il tumore aumentasse di volume, anche se il paziente stava meglio. In realtà erano i linfociti che, resi più efficienti, si riproducevano e aggredivano la massa tumorale, aumentandone il volume. Abbiamo “scommesso” su questi farmaci e deciso di proseguire la sperimentazione: con grande sorpresa abbiamo visto che, dopo qualche mese, il tumore si riduceva. Dopo la somministrazione di quattro dosi ogni tre settimane, il tumore regrediva fino a scomparire».

Questi successi hanno incoraggiato i ricercatori a proseguire su questa strada dell’immuno-oncologia, tanto che ora si stanno sperimentando nuove molecole, ancor più efficaci, come nivolumab. «I dati più recenti evidenziano come la combinazione di due terapie immuno-modulanti, ipilimumab e nivolumab sia in grado di garantire risposte in termini ancor più brevi ed efficaci», sottolinea il professor Michele Maio, direttore dell’Immunoterapia Oncologica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Siena. «I risultati degli studi in corso su nivolumab nel melanoma e in altre neoplasie, come quella del polmone, del rene e nel linfoma di Hodgkin, offrono ulteriori evidenze dell’efficacia dell’immuno-oncologia come approccio innovativo nel trattamento dei tumori». Nivolumab agisce con un meccanismo d’azione differente, ma complementare a ipilimumab: colpisce PD-1 (programmed death 1), una sorta di “posto di blocco” che si attiva in diverse fasi della risposta immunitaria per regolare la risposta dei linfociti T. Sono partiti diversi studi per la valutazione di nivolumab, anche in associazione a ipilimumab, tra cui uno in fase 2 sul glioblastoma, un tumore cerebrale primitivo, al quale partecipa il Policlinico Santa Maria alla Scotte di Siena e un altro studio internazionale sul tumore all’ovaio, uno dei più aggressivi e mortali. Entro l’anno dovrebbero essere resi noti i primi risultati.

di Paola Trombetta 

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