Così Valeria ricorda la svolta della sua malattia che l’accompagna dalla nascita. E si commuove quando cerca di raccontare come ha vissuto soprattutto quei tragici 10 anni, dall’età di 17 fino a 27, quando ha intrapreso con determinazione la strada del trapianto. Dieci anni di calvario: costretta a praticare tre o più volte al giorno, per 365 giorni ininterrottamente, aerosol con farmaci per sciogliere il muco, che si accumula nei polmoni a causa della malattia, esercizi di fisioterapia respiratoria e iniezioni di antibiotico per endovena, per evitare infezioni. «Mi svegliavo sempre all’alba per effettuare tutte queste procedure che erano indispensabili per farmi respirare e che ripetevo più volte durante la giornata. Per questo rimanevo sempre a casa e non potevo fare la vita che fanno tutti: correre, nuotare, andare in vacanza. E tanto meno pensare al futuro di una famiglia, ad avere dei figli. Dicevo spesso all’allora fidanzato, oggi mio marito, di lasciarmi perdere e trovare un’altra donna. Ma non ne voleva sapere: è sempre rimasto al mio fianco e diceva che ero io a dargli la carica. Effettivamente, benché la malattia mi avesse rubato tanti anni di vita, non mi sono mai scoraggiata. Dopo le peregrinazioni in diversi centri specialistici, ho deciso con mia mamma di andare in America, alla Yale University. E lì mi avevano consigliato la strada del trapianto di entrambi i polmoni, come unica chance per poter avere una vita normale. In Italia il doppio trapianto polmonare era all’epoca in fase sperimentale. Ma la mia insistenza e determinazione hanno convinto i medici del Policlinico Umberto I di Roma a mettermi in lista d’attesa. E dopo tre mesi sono arrivati gli organi. L’intervento, molto complesso e rischioso, è andato bene. All’inizio mi procurava incubi il pensiero di avere i polmoni di un’altra persona. Ma poi ho avuto sempre un estremo rispetto per questo prezioso “dono” che mi ha permesso di correre, di andare in bicicletta, di nuotare: di fare cioè una vita normale. E per suggellare la mia “normalità” ho deciso, nonostante il parere contrario dei medici che mi avevano in cura, di portare avanti una gravidanza. E cinque anni fa è nata Sofia e la mia rinascita è stata completa!».
Come Valeria sono più di sei mila le persone in Italia affette da fibrosi cistica, di cui il 50% ha meno di 18 anni. La malattia però sta sempre più “invecchiando”: nei prossimi dieci anni ci si aspetta un raddoppio di pazienti in età adulta, per un totale di 8 mila malati.
UNA MALATTIA DEGLI ADULTI
«Se un tempo questa malattia non dava via di scampo ai bambini, oggi ad essere più numerosi sono i giovani e gli adulti (55-60%), perchè con la fibrosi cistica si sopravvive per tanti anni», conferma il professor Baroukh Maurice Assael, direttore del Centro Fibrosi Cistica dell’Ospedale di Verona, intervenuto con un gruppo di specialisti a Roma, in occasione dell’incontro promosso dall’Osservatorio Malattie Rare (www.osservatoriomalattierare.it). «L’assurdo del nostro Sistema sanitario è che i centri di Fibrosi cistica si trovano quasi sempre nei reparti di pediatria degli ospedali. E oggi ci ritroviamo adulti e anziani in questi reparti riservati ai bambini. Per questo diventa fondamentale l’esigenza di trasferire questi pazienti e creare strutture idonee all’interno dei reparti per adulti. Anche perché le esigenze sono molteplici: il 15-20% dei pazienti con FC va incontro alla necessità di trapianto polmonare entro i 30 anni. Altri pazienti (3%) richiedono trapianto al fegato e quelli più gravi hanno bisogno di continui trattamenti con antibiotici per endovena e devono dedicare molto tempo alla fisioterapia respiratoria».
«Il nostro centro di Napoli, ad esempio, dedicato a pazienti adulti, è stato inserito all’interno della geriatria», puntualizza il dottor Vincenzo Carnovale, del Centro di riferimento Fibrosi Cistica dell’Adulto, titolare della Cattedra di Geriatria all’Università Federico II di Napoli. «Il paziente adulto necessita infatti di assistenza da parte di un’équipe di internisti, dallo pneumologo al gastroenterologo, al fisioterapista, fino al chirurgo essendo la fibrosi cistica una patologia multiorgano».
LE CAUSE E I SINTOMI
Quali organi risentono maggiormente di questa malattia? E quali le cause? «La fibrosi cistica è legata alla mutazione di un gene che provoca l’alterata produzione della proteina CFTR, che presiede i meccanismi di regolazione del cloro e del sodio nelle cellule di rivestimento degli organi», spiega la professoressa Vincenzina Lucidi, responsabile della Divisione FC dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. «Il cloro non riesce a diluire il sodio che si condensa negli organi, formando secrezioni anomale di muco (da qui il nome di mucoviscidosi). I più coinvolti sono i bronchi e i polmoni, dove il muco tende a ristagnare, predisponendo il paziente a infezioni anche gravi (Pseudomonas aeruginosa) che possono portare a insufficienza respiratoria grave. Altri organi interessati sono il pancreas, dove si possono formare cisti che creano infiammazione, l’intestino, il fegato e, nel maschio, i dotti deferenti, con rischio di infertilità. E’ questo il motivo per cui molti giovani, affetti da FC, ricorrono alla fecondazione assistita per poter avere figli. In questi casi è oggi consentita la diagnosi pre-impianto per verificare che il feto sia sano».
Nel Veneto è stato avviato di recente anche un progetto pilota di screening al portatore. «Sono stati effettuati 180 mila test in dieci anni in tutto il Nord-Est, su coppie di portatori sani», conferma il professor Assael. «Il risultato? Una drastica riduzione dell’incidenza della malattia: si è infatti passati da uno su 3 mila nati a uno su 15 mila». La prevenzione del rischio è, dunque, fondamentale. Come pure lo screening neonatale, obbligatorio in Italia (Legge 104 del febbraio ’92) per tre malattie (fibrosi cistica, fenilchetonuria, ipotiroidismo congenito), anche se in alcune Regioni non viene sempre praticato. Alle strategie di prevenzione si aggiunge la scoperta di terapie sempre più mirate, come i nuovi farmaci che migliorano la funzionalità delle proteina CFTR. Approvati in questi giorni, sono in attesa di registrazione. «Pur essendo destinati per il momento solo a una piccola percentuale di malati (5%), hanno aperto la strada a una nuova categoria di farmaci che potrebbero in futuro essere utilizzati dall’80% dei malati».
Nel frattempo le cure più diffuse agiscono sui sintomi della FC e sono gli antibiotici, le terapie per aerosol e i broncodilatatori, somministrati con i nuovi device. Un numero sempre maggiore di malati è ancora in lista d’attesa per il trapianto.
«Solo il 25% dei pazienti arriverà al trapianto», conferma Silvana Mattia Colombi, responsabile della Qualità delle cure della Lega Italiana Fibrosi Cistica. «Poichè la malattia sta diventando cronica e aumentano gli adulti, sarà sempre più necessario avere organi a disposizione. Per questo come Lega abbiamo da poco avviato una Campagna di prevenzione, “Un respiro in più”, per finanziare un progetto di “ricondizionamento degli organi”, allo scopo di poter utilizzare anche polmoni in condizioni non ottimali, sottoponendoli a un processo di “lavaggio”. In più stiamo cercando di garantire la costituzione di Centri regionali dedicati alla FC, negli ospedali e non solo in quelli pediatrici. Anche perché, come si è già detto, la FC è sempre più una malattia di persone adulte».
di Paola Trombetta