VACCINARSI PER VIVERE PIU’ A LUNGO

L’Italia è uno dei Paesi più longevi del mondo, assieme a Germania e Giappone, con un numero, triplicato in dieci anni, di utracentenari (oggi sono 16.500), con netta prevalenza delle donne. Su un totale di 21 milioni di persone considerate anziane, 6 milioni sono nella fascia d’età compresa tra 65 e 74 anni (10,6% della popolazione), più di 4 milioni sono 75-84enni (7,6% della popolazione), oltre 1 milione e 700mila sono ultra 85enni. Ma invecchiare non basta: è necessario riuscire a invecchiare bene. A partire dalla prevenzione di quei fattori, comprese le malattie infettive, che possono far precipitare la condizione di fragilità dell’anziano. Di questo si è discusso al Ministero della Salute, nell’ambito del convegno “La longevità nasce dalla prevenzione. Il contributo della vaccinazione per la salute dell’anziano”, promosso da Italia Longeva, la rete nazionale di ricerca sull’invecchiamento e la longevità attiva, istituita dal Ministero della Salute con la Regione Marche e l’IRCCS INRCA – Istituto Nazionale Ricerca e Cura Anziani. Un evento che si inserisce tra le iniziative della Settimana europea dell’Immunizzazione, a partire dal 20 aprile.

L’età rappresenta di per sé fattore di rischio, a causa del fisiologico declino delle funzioni di difesa del sistema immunitario, oltre ad associarsi a un aumento delle comorbidità. «Esistono semplici regole di vita quotidiana, dallo stile di vita, alla sana alimentazione, al conservare una rete sociale per essere sempre attivi», ha dichiarato il professor Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva. «Elemento fondamentale per mantenersi in salute è la prevenzione: in particolare, vaccinare significa prevenire e ridurre la presenza di condizioni croniche, di alto impatto sulla mortalità e sulla qualità di vita della persona anziana».
Solo qualche esempio: in Italia linfluenza è ancora oggi la terza causa di morte per patologia infettiva, dopo AIDS e tubercolosi. Ogni anno vengono colpite in media 4 milioni di persone. Negli anziani la malattia può causare complicanze tali da rendere necessario il ricovero ospedaliero, portare alla perdita di autosufficienza e, in casi estremi, alla morte. Sono circa 8.000 all’anno i decessi provocati dall’influenza, di cui l’80% è rappresentato da anziani. Alti tassi di mortalità si registrano anche per la polmonite pneumococcica, causa del 2% dei ricoveri ospedalieri con degenza superiore ai 10 giorni. Anche l’Herpes zoster, più conosciuto come “Fuoco di Sant’Antonio”, è una patologia ad alto impatto sulla popolazione anziana. «E’ destinata a soffrirne almeno una volta nella propria vita 1 persona su 4, in 2 casi su 3 dopo i 50 anni», puntualizza il professor Giancarlo Icardi, direttore Dipartimento di Scienza della Salute dell’Università degli Studi di Genova. «L’infezione, causata dalla riattivazione del virus della varicella contratto da bambini, colpisce ogni anno circa 157 mila persone in Italia. Il 20-25% dei pazienti over 50 sviluppa inoltre la sua complicanza più temibile, la nevralgia post-erpetica, un dolore neuropatico talmente forte e che può durare per anni e impedire il proseguimento di una vita normale. Il rischio di contrarre questa infezione è superiore, da 2 a 8 volte, nelle persone che soffrono di diabete, malattie autoimmuni, insufficienza renale, tumori. Per questo la regione Liguria ha inserito la vaccinazione contro l’Herpes dopo i 65 anni e sarebbe addirittura auspicabile a partire dei 50 anni».

Secondo un’indagine realizzata dal Censis, la popolazione ha una conoscenza piuttosto imprecisa delle vaccinazioni come strumento di prevenzione di molte malattie, di cui proprio l’età avanzata rappresenta un fattore di rischio. Dagli ultimi dati disponibili per la stagione antinfluenzale 2013-2014, risulta infatti che solo il 55,4% della popolazione di età pari o superiore a 65 anni si è vaccinata, realizzando un tasso di copertura ben al di sotto degli obiettivi di sanità pubblica indicati da OMS e Consiglio Europeo, che sono del 75% come soglia minima e del 95% come soglia ottimale. Gli anziani sono poco interessati anche ad altre vaccinazioni, ugualmente importanti, come quella contro la polmonite da pneumococco (lo è soltanto uno su 3). La scelta di vaccinarsi viene piuttosto presa di volta in volta in base a diversi fattori tra cui la percezione del rischio e il livello di informazione. «Il problema principale è proprio la percezione del rischio», ha affermato la dottoressa Ketty Vaccaro, responsabile del settore Welfare e Salute del Censis. «Se l’informazione è insufficiente, è fondamentale il consiglio del medico curante».

«La vaccinazione rimane comunque lo strumento più efficace per la prevenzione delle malattie infettive», conferma Walter Ricciardi, professore di Igiene dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. «È importante fare corretta informazione ai cittadini, sottolineando che la vaccinazione rappresenta una risorsa, non una minaccia, che contribuisce a far guadagnare anni in buona salute. I malintesi comunicativi concorrono a determinare un calo delle vaccinazioni, osservabile ad esempio nel caso della vaccinazione anti-influenzale, mai così bassa come negli ultimi anni (-30%). Del resto nel Piano nazionale di Prevenzione vaccinale, sono raccomandati diversi vaccini per l’infanzia e l’adolescenza, mentre un’unica vaccinazione, quella anti-influenzale, è consigliata per gli ultra-65enni».

di Paola Trombetta

Articoli correlati