Poco sale, nelle quantità consigliate, ma iodato. È la raccomandazione degli esperti in occasione della Settimana Mondiale della Tiroide, dal 18 al 25 Maggio. Un’indicazione valida per ciascuno e in qualsiasi momento della vita, dopo il primo anno di età, ma soprattutto in fasi del ciclo vitale “speciali”. Come nel caso della donna in dolce attesa, quando il fabbisogno di iodio è più che raddoppiato, passando cioè dai 150 microgrammi giornalieri ai circa 250-300. Un aumento che è una necessità: perché lo iodio è il componente essenziale degli ormoni tiroidei i quali devono lavorare per due per soddisfare le esigenze di mamma e bambino: la ghiandola del piccolo infatti inizierà a funzionare in autonomia solo dal quarto mese in poi. Ma la ragione dello iodio in più è soprattutto salutare, perché grazie a un apporto adeguato di questo elemento non solo è possibile prevenire molte malattie tiroidee – dal gozzo, all’ipotiroidismo congenito, ai noduli, al tumore – che hanno una prevalenza al femminile, ma si protegge già in utero la crescita del feto. «Gli ormoni tiroidei – spiega Francesco Vermiglio, Professore Ordinario di Endocrinologia all’Università di Messina e membro della SIE (Società Italiana di Endocrinologia) – sono indispensabili al corretto impianto della placenta e alla sua normale formazione e consentono di tutelare lo sviluppo cerebrale del bambino». Uno studio inglese ha infatti dimostrato che mamme, che si erano assicurate nel primo trimestre di gravidanza giuste quantità di iodio, avevano partorito bimbi intellettivamente più vispi e con Q.I. più alto.
Fondamentale è dunque (per tutti e per le mamme in particolare) seguire una iodoprofilassi, utilizzando sale iodato, introdotto con la dieta: laddove i livelli non raggiungessero le quantità necessarie, come nelle persone allergiche o intolleranti e in diete di esclusione come quella vegana ad esempio, con integratori a base di questa sostanza. «Fra gli alimenti da previlegiare – precisa Mohamed Maghnie, Presidente SIEDP (Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica) e Responsabile dell’Unità Operativa di Endocrinologia Clinica e Sperimentale dell’Istituto Gaslini di Genova – latte e latticini, uova, pane, pesce di mare». Eppure le donne sullo iodio non sembrano ancora bene informate: un’indagine condotta dalla SIEDP tra 700 genitori (di cui 132 papà) tra ottobre 2014 e aprile 2015 in 10 Regioni italiane e in alcune tra le maggiori città del territorio, ha attestato che una donna su 3 non solo non è a conoscenza del fatto che in gravidanza il fabbisogno di iodio cresce vertiginosamente, ma nove su 10 non si preoccupano neppure che il proprio bimbo lo assuma con l’alimentazione, convinte che il sale marino contenga già di per sé un’adeguata quantità di iodio o ignorando che il 30% di iodio si disperda con la cottura.
Così, per cercare di limitare l’incidenza di patologie tiroidee, che sono determinate nella maggior parte dei casi proprio da una carenza iodica, sono iniziate misure preventive. Dal 2005 esiste infatti una legge che prevede la vendita obbligatoria di sale iodato, con il chiaro obiettivo di avviare un programma di iodoprofilassi su scala nazionale. Un’azione che nell’arco di 10 anni ha in parte migliorato lo sviluppo e la diffusione delle malattie tiroidee, senza tuttavia aver raggiunto ancora i risultati attesi. «Negli anni ’80-’90 – dichiara la dottoressa Antonella Olivieri, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Nazionale per il monitoraggio della Iodoprofilassi in Italia (OSNAMI) dell’Istituto Superiore di Sanità – la prevalenza di gozzo nei bambini in età scolare superava anche il 20% contro il 6-9% attuali, ma l’obiettivo è portare questo tasso al di sotto del 5%. Stesse intenzioni sono rivolte anche all’ipotiroidismo congenito, che è la più frequente endocrinopatia dell’infanzia, e che conta un caso su 2400 nati, con incidenze molto inferiori solo a Bolzano con un bimbo su 3400, perché dal 1982 la città ha avviato con successo un’azione di iodoprofilassi. Questo miglioramento ci incoraggia a continuare, seppure ci sia ancora molto da fare, per raggiungere gli obiettivi posti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e soprattutto per poter apprezzare la riduzione del carico di patologie legata alla carenza iodica nutrizionale».
Tenere sotto controllo i livelli degli ormoni tiroidei e quindi gli effetti correlati è possibile con un più attento monitoraggio, soprattutto delle donne in età fertile, attraverso esami poco costosi e tollerabili dal SSN: «E’ sempre bene effettuare il dosaggio del TSH, FT4, e degli anticorpi anti-tireoperossidasi – aggiunge Paolo Beck-Peccoz, Professore Ordinario di Endocrinologia all’Università di Milano – e un’ecografia tiroidea in caso di necessità o in presenza di un nodulo. La patologia tiroidea all’inizio infatti dà pochissimi sintomi e molti aspecifici – anche stati irritativi o maggiore stanchezza – che non consentono una diagnosi certa». Mentre una maggiore attenzione a questi pochi parametri tiroidei ha un’evidente ricaduta sulla prevenzione di gozzo, noduli, malattie autoimmuni, quali l’ipotiroidismo (tiroidite cronica di Hashimoto) o l’ipertiroidismo (morbo di Graves-Basedow), sulla diagnosi precoce e sulla salute dei nascituri. E vale proprio la pena di non dimenticarlo!
di Francesca Morelli
ORA ESISTONO LINEE GUIDA ANCHE PER L’ETA’ PEDIATRICA
In occasione della Settimana Mondiale della Tiroide, sono state presentate le nascenti Linee Guida Pediatriche per la patologia tiroidea. Interessano l’età compresa dai 0 ai 18 anni e sono state accolte favorevolmente dalla comunità scientifica perché, fino ad oggi, per il trattamento del tumore della tiroide, una delle patologie più frequenti nella fascia pediatrica e adolescenziale (il secondo più frequente fra le ragazze), o di qualunque altra malattia tiroidea si seguivano le indicazioni terapeutiche per l’adulto. «Mentre le differenze sono sostanziali – ha spiegato Mohamed Maghnie, Presidente SIEDP (Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica) e Responsabile dell’Unità Operativa di Endocrinologia Clinica e Sperimentale dell’Istituto Gaslini di Genova. Ad esempio la frequenza dei tumori o dei noduli in età pediatrica è inferiore a quella dell’adulto, con percentuali rispettivamente del 10-13% contro il 20%, ma la cui malignità è molto più alta, circa del 25% per gli adolescenti rispetto al 5-10% dell’adulto. Questo implica un comportamento diverso, perché diversa è la natura dei tumori». Partendo da questo assunto, grazie alle linee guida pediatriche, oggi si sa che i bambini e gli adolescenti sono meritevoli di attenzione se presentano un’asimmetria del collo o un nodulo evidente e palpabile che deve essere esaminato con un’ecografia e/o un’agobiopsia, eseguite da mani esperte, e poi avviato eventualmente verso la terapia appropriata. «Prima di decidere di asportare la tiroide – continua il professor Maghnie – un nodulo benigno deve raggiungere una certa dimensione e dare sintomi particolari, e nel caso essere poi trattato in centri esperti che operano almeno 30 casi all’anno». In età adolescenziale, sempre con una prevalenza al femminile, sono altrettanto frequenti anche l’ipotiroidismo congenito o la tiroidite autoimmune per cui ha un peso significativo la familiarità. «L’indicazione in questi casi – conclude il Professore – è di segnalare al pediatra la familiarità fin da subito affinché possano essere messe in atto alcune misure di prevenzione legate alla carenza iodica con un conseguente impatto significativo sulla riduzione dei fattori di rischio». (F. M.)
A MAGGIO, LA CAMPAGNA #TIROIDEINPRIMOPIANO
Nel corso della Settimana Mondiale della Tiroide raggiungerà il suo culmine anche la campagna #Tiroideinprimopiano, che durerà per tutto il mese di maggio, indetta dalla Fondazione Cesare Serono con il contributo incondizionato di Merck Serono e il patrocinio di alcune tra le maggiori società scientifiche di riferimento quali AIT – Associazione Italiana della Tiroide, AME – Associazione Medici Endocrinologi, SIE – Società Italiana di Endocrinologia, SIEDP – Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica e dal CAPE – Comitato Associazione di Pazienti Endocrini.
La campagna, condotta attraverso il web, ha l’intento di raggiungere il più vasto campione possibile di popolazione, informandola sul problema tiroide, attraverso la compilazione di due questionari, reperibili al sito www.tiroideinprimopiano. Il primo guida gli utenti a una corretta autovalutazione di eventuali sintomi, indici di disturbi tiroidei, favorendo il necessario consulto con uno specialista, una diagnosi precoce e cure tempestive. Il secondo è dedicato a patologie tiroidee già conclamate e ha lo scopo di far emergere eventuali carenze nel percorso diagnositico.
Tiroide in Primo Piano invita anche a partecipare alla campagna con un selfie, accompagnato da una farfallina, simbolo della tiroide, postandolo sul proprio profilo Facebook o Twitter scrivendo #Tiroideinprimopiano. I migliori fra quelli pervenuti potranno partecipare a uno shooting fotografico professionale con un famoso fotografo di celebrities ed essere protagonisti di una mostra di ritratti d’autore online. (F. M.)
MEETING INTERNAZIONALE A ROMA E FIRENZE
Dal 7 al 9 maggio, Roma e Firenze sono state le “capitali della tiroide” con meeting internazionali che hanno rilevato come la problematica sia in crescita nel mondo, specie tra la popolazione femminile. Tanto che, secondo i dati dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), il carcinoma della tiroide nella donna che oggi rappresenta il quarto tumore più frequente, entro il 2020 potrebbe diventare il secondo più diffuso dopo quello al seno. «La maggiore incidenza», spiega Sebastiano Filetti, Professore di Medicina Interna presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza”, in occasione del primo meeting congiunto ITOG (International ThyroidOncology Group) – EORTC (EuropeanOrganisation for Research and Treatment of Cancer), «è in gran parte dovuta all’aumento di diagnosi scaturite da programmi di screening di prevenzione per altre cause, come quella cardiovascolare ad esempio. A questo aspetto vanno però aggiunti anche fattori ambientali la cui influenza, al momento, è ancora da indagare e chiarire». Come? Ad esempio attraverso l’istituzione di network fra i maggiori centri USA ed Europei, la promozione di nuove sperimentazioni cliniche con farmaci biologici in tumori metastatici della tiroide che non rispondono alle terapie tradizionali, o la creazione di un Atlante del Genoma del Cancro, in particolare del carcinoma papillare della tiroide, presentato in occasione dei meeting. «Questo atlante e gli studi correlati – conclude Filetti – ha permesso di suddividere questa specifica categoria di tumori in sottogruppi, fornendo informazioni basilari per andare verso una medicina individualizzata. Sarà possibile cioè identificare, con un’analisi genetica del tumore, quali pazienti presentano tumori più aggressivi e quali hanno maggiori probabilità di rispondere a determinati trattamenti adattando così, in base al rischio individuale, le scelte diagnostiche, terapeutiche e chirurgiche». Ad esempio, in ambito terapeutico, si è discusso dei limiti della terapia sostitutiva con levotiroxina in caso di ipotiroidismo o di asportazione chirurgica della tiroide, e delle possibili alternative terapeutiche rappresentate soprattutto da nuovi farmaci. O ancora della diagnosi, cura e trattamento dell’ipoparatiroidismo illustrate tutte nel volume Hypoparatyroidism, della professoressa Maria Luisa Brandi e del professor E. M. Brown.(F. M.)