Romana di nascita, milanese d’adozione, Nicoletta Musacchio è la prima donna alla guida dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD), la più grande associazione scientifica della diabetologia italiana, a cui afferiscono oltre 2.200 diabetologi. E’ responsabile dell’unità operativa di cure croniche e diabetologia territoriale degli Istituti clinici di perfezionamento di Milano, dove coordina e organizza le attività dell’equipe territoriale che comprende 12 diabetologi, 1 dietista e 3 dietologi. Ha fatto parte del gruppo di lavoro “Chronic Care Model” dell’Istituto Superiore di Sanità contribuendo alla messa a punto di modelli di assistenza e gestione della malattia cronica.
In occasione dell’Italian Barometer Diabetes Forum, che si è svolto i giorni scorsi all’Auditorium Ara Pacis Museum di Roma, abbiamo fatto con lei il punto su questa malattia, con un taglio principalmente “di genere”.
Diabete e donne: sono sempre più numerose e sembrano curarsi meglio degli uomini, ma hanno un minor controllo metabolico e maggiori complicanze. Come si spiega questo fenomeno?
“La prevalenza del diabete in Italia è maggiore negli uomini rispetto alle donne (54,5% contro 45,5%), ma le donne hanno un minor controllo metabolico. I dati italiani degli Annali dell’Associazione Medici Diabetologi su 180 mila donne con diabete tipo 2, pur partendo al momento della diagnosi dagli stessi livelli di emoglobina glicata rispetto agli uomini, tendono
poi ad avere un compenso metabolico leggermente peggiore. Nella valutazione delle terapie per il controllo della malattia abbiamo documentato che le donne sono trattate più degli uomini, nel tentativo evidente di ottimizzare il compenso. Il 32% delle donne, infatti, rispetto al 28% degli uomini, ricevono trattamenti più intensivi per il diabete tipo 2. Il peggior compenso metabolico si amplifica con la durata della malattia e con la presenza di gradi di obesità più alti rispetto agli uomini. Anche lo stile di vita, nei suoi aspetti più difficili da misurare, quali alimentazione e attività fisica, può influire in modo decisivo su questi risultati. Per quanto riguarda le complicanze il dato più rilevante è che le donne vanno incontro più di frequente a deterioramento della funzione renale. Questo aspetto richiede grande attenzione nelle donne con diabete, nel senso che non possiamo accontentarci di misurare la microalbuminuria,considerata un marker precoce di danno renale, ma occorre valutare almeno una volta l’anno la funzionalità renale e intensificare i trattamenti con ace-inibitori che possono rallentare l’evoluzione del deterioramento renale”.
E’ vero che le donne diabetiche hanno un maggior rischio cardiovascolare, tre volte più degli uomini?
“E’ noto che le donne con diabete hanno perso la protezione ormonale degli estrogeni e sono quindi colpite da infarto miocardico tanto quanto gli uomini: in sostanza le donne con diabete hanno ottenuto “pari opportunità di rischio di infarto” rispetto ai maschi. Ed è altrettanto noto che negli ultimi 25 anni le malattie di cuore si sono ridotte in tutta la popolazione, grazie alla lotta ai fattori di rischio, ma non nei diabetici, e addirittura sono aumentate nelle donne con diabete (soprattutto lo scompenso cardiaco). Le donne sono più obese, più anziane, hanno una durata di malattia lievemente maggiore, hanno un peggior compenso metabolico del diabete, anche se fumano di meno (11% contro 22%), ma soprattutto hanno un peggiore controllo dell’assetto lipidico già dall’esordio del diabete e lo mantengono per tutta la durata della malattia, indipendentemente dall’età, nonostante ricevano una qualità di cura identica a quella degli uomini. Inoltre il 7,2% in meno delle donne raggiunge il target desiderato di colesterolo LDL (< 100) e il 6,3% in più delle donne ha valori decisamente elevati (> 130 mg7dl), nonostante maschi e femmine siano trattati nello stesso modo con statine. Non c’è quindi minore attenzione alla terapia, ma ci sono risultati peggiori. E’ possibile che ci sia una certa resistenza alle statine nelle donne, così come è dimostrata una certa resistenza all’acido salicilico nella prevenzione secondaria dell’infarto miocardico nelle donne con diabete tipo 2. Per questo è indispensabile aumentare l’attenzione e il monitoraggio dell’assetto lipidico nelle donne diabetiche ed è necessario intensificare la cura per raggiungere i target di colesterolo LDL e per ridurre il rischio cardiovascolare. Nessuna differenza invece è emersa nel controllo dei valori di pressione tra uomini e donne ed anche per questo fattore di rischio le donne sono più trattate, anche con 2 e 3 farmaci, per ottenere il controllo ottimale”.
Dagli studi presentati al recente Congresso di Boston, sembra che i farmaci anti-diabete (sitagliptin e saxagliptin) non siano responsabili dell’aumentato rischio cardiovascolare o di scompenso cardiaco. Ma i farmaci antidiabete non dovrebbero al contrario ridurre anche questo rischio? In alternativa i diabetici devono assumere anche farmaci per proteggere il cuore?
“I farmaci per il diabete vengono studiati soprattutto per controllare la glicemia con meccanismi diversi e ottenere un controllo metabolico ottimale: e questo potrà contribuire a ridurre anche il rischio cardiovascolare, insieme ad altri fattori, come colesterolo Ldl, pressione arteriosa, fumo e indice di massa corporea. L’FDA richiede comunque che i nuovi farmaci siano “sicuri” per il cuore per poter essere utilizzati: per questo vengono fatti questi studi, di cui sono stati presentati i risultati a Boston. E’ evidente che, se compaiono complicanze cardiache, il diabetico deve assumere i farmaci più adatti a curare il cuore (beta-bloccanti, ace-inibitori e sartani, calcio-antagonisti, ecc). C’è la speranza di individuare molecole che abbiano una protezione cardiaca, oltre a controllare il diabete”.
Esistono differenze “di genere” nelle terapie del diabete? Anche i dosaggi potrebbero essere differenti?
“La letteratura internazionale ha dimostrato più volte che le donne sono meno trattate con farmaci per la protezione cardiaca: ASA, ACE-Inibitori, B-Bloccanti, Statine. Ma questo non avviene nei servizi di diabetologia del SSN in Italia: lo abbiamo dimostrato nei diabetici di tipo 2 e nei 28.800 diabetici di tipo 1 di cui abbiamo pubblicato i dati nel 2014. Questi ultimi sono trattati con insulina, con più iniezioni al giorno o con il microinfusore (sistema di infusione continua di insulina sottocute): le donne con diabete tipo 1 hanno più difficoltà a raggiungere il compenso metabolico ottimale, nonostante siano più trattate con le nuove tecnologie per il diabete, come il microinfusore di insulina (20% donne rispetto al 14% degli uomini) che è considerato un trattamento più intensivo. Per ora non abbiamo dati sui dosaggi dei farmaci. Certo nelle donne con il tipo 1, più giovani delle donne con il tipo 2, la difficoltà di ottenere un buon compenso è probabilmente influenzata dalle tante interferenze ormonali che caratterizzano la vita delle donne (menarca, ciclo mestruale, gravidanza, menopausa). La ricerca farmacologica, fino a 10-15 anni fa, è stata sempre condotta prevalentemente su soggetti di genere maschile, sia la ricerca sull’animale che sull’uomo, e i risultati sono poi stati automaticamente applicati anche alle donne. Ci sono invece già evidenze di possibili risposte diverse del genere femminile a molti farmaci (statine, ASA) e questo non si può escludere per altri farmaci del diabete, insulina compresa. Occorreranno studi di genere più accurati per eliminare queste differenze. L’ OMS ha ora imposto che ogni studio su nuovi farmaci abbia una percentuale rappresentativa di donne, per ottenere risultati “di genere”.
La maggior parte dei diabetici usa metformina per il controllo della glicemia. E’ vero che questo farmaco riduce il rischio di tumore al seno e quali studi sono stati pubblicati a riguardo?
“Questo ambito è ancora molto controverso e necessita di studi più approfonditi e soprattutto mirati. Si può dire solo che sembra esserci un effetto protettivo della metformina nei confronti del rischio di sviluppare il cancro del seno, soprattutto nelle donne in menopausa con diabete. Ma sono dati tutti da confermare e necessitano di studi specifici e mirati”.
Diabete e obesità: un fenomeno in crescita, in particolare nelle donne. Esiste una correlazione tra queste “patologie” e la menopausa? Quali i suggerimenti?
“Il rapporto tra obesità e diabete è ben noto: l’aumento dell’obesità nei primi ventanni del terzo millennio si accompagna all’aumento di diabete tipo 2. Quindi la prima lotta contro il diabete è anche contro l’obesità, adottando stili di vita sani. I dati degli annali dell’Associazione Medici Diabetologi ci dicono che il 70% delle donne con diabete tipo 2 è in sovrappeso o obesa contro il 65 % dei maschi: la differenza è soprattutto evidente in quella percentuale di donne con un indice di massa corporea superiore a 35 (18,8% donne verso 10% uomini). Per trattare l’obesità non abbiamo farmaci, ma solo educazione a stili di vita sani e su questo occorre lavorare dalla parte delle donne. Certamente la menopausa gioca un ruolo molto importante. Un aspetto non secondario è legato alla posizione sociale della donna: diversi studi sociologici hanno dimostrato nel genere femminile una diversa attenzione alla malattia con una tendenza a minimizzare i sintomi, con maggior prevalenza della depressione e dell’obesità e maggiore sedentarietà. Pur essendo le persone che si fanno carico della salute di tutta la famiglia, le donne tendono a trascurare se stesse. A questa sottostima si associa la possibile inerzia da parte degli operatori sanitari nell’indurre un trattamento efficace o un giusto riconoscimento della gravità della patologia, per quanto riguarda le malattie cardiovascolari. L’impegno di tutta la comunità diabetologica è quello di alzare l’attenzione al profilo di rischio cardiovascolare nel sesso femminile, di intensificare le terapie efficaci vincendo l’inerzia terapeutica e di comunicare l’importanza di raggiungere i target metabolici per ridurre il rischio cardiovascolare globale nelle donne con diabete anche attraverso uno stile di vita adeguato: sana alimentazione e attività fisica quotidiana”.
di Paola Trombetta
OBESITA’ E DIABETE: UNA RELAZIONE PERICOLOSA
“Nel nostro paese il 10% della popolazione è obeso e il 40% in sovrappeso, ma le proiezioni dell’OMS, l’Organizzazione mondiale della sanità, entro 15 anni, portano quasi al raddoppio della prevalenza di obesità che, sommata al sovrappeso, interesserà circa il 70% della popolazione>, spiega Paolo Sbraccia, presidente della Società italiana dell’obesità, in occasione dell’Italian Barometer Diabetes Forum, promosso dall’Università Tor Vergata e da Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation, con il contributo di Novo Nordisk, che si è svolto i giorni scorsi a Roma. <A livello mondiale, l’OMS stima che circa il 58% di diabete, il 21% di malattie coronariche e quote comprese tra l’8 ed il 42% di certi tipi di cancro siano attribuibili all’obesità> prosegue Sbraccia. Gli fa eco Michele Carruba che sostiene come sovrappeso e obesità rappresentino il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale e i decessi attribuibili all’obesità siano almeno 2,8 milioni l’anno nel mondo. Tutto questo si traduce in un costo individuale, sociale, sanitario ed economico che rischia di divenire insostenibile. <In termini assoluti, un obeso severo o molto severo costa 450-550 euro in più all’anno rispetto a una persona normopeso>, sostiene Antonio Nicolucci, coordinatore del Data Analysis Board di IBDO Foundation. <Un importante contributo al costo dell’obesità è determinato dalla presenza di diabete. Il sovrappeso e l’obesità rappresentano infatti la causa principale di diabete di tipo 2, a sua volta associato ad un più elevato rischio di malattie cardiovascolari. In particolare, al di sotto dei 55 anni, l’obesità grave aumenta di 16 volte il rischio di avere il diabete. Sopra i 65 anni la prevalenza di diabete passa dal 12,5% fra i normopeso al 38,7% fra i grandi obesi”.
L’Italian Barometer Diabetes Forum di quest’anno, in relazione alle tematiche di Expo, è stata l’occasione per focalizzare l’attenzione sulle problematiche dell’obesità nella popolazione italiana, in paticolare nelle persone con diabete. Durante il Forum è stata presentata la candidatura della città di Roma al Cities Changing Diabetes per il 2017. Si tratta di un ambizioso programma volto a far fronte alla sfida che il diabete pone nei grandi centri abitati, con l’intento di mettere in atto un cambiamento nel modo con cui il diabete viene trattato e curato. I grandi centri urbani sono infatti i più colpiti dall’epidemia di diabete. Il progetto vuole coinvolgere attivamente le autorità nell’analisi delle ragioni responsabili della crescita della malattia e nell’individuazione di specifici interventi volti a contrastarne l’avanzata. Partito da Città del Messico nella primavera del 2014, approdato in Europa, a Copenhagen, ha fatto tappa a Houston negli USA, a Shangai e Tianjin in Cina. (P.T.)