L’efficacia nutraceutica, non essendo standardizzata come nel caso di un farmaco, non è garantita però in tutti gli individui e in uguale misura. Molto dipende dalla barriera intestinale. «Ossia dalla capacità dell’intestino – precisa la dottoressa – di assorbire in maniera più o meno significativa un determinato nutriente, mettendolo nella condizione di svolgere appieno la sua azione biologica e salutare. Che può essere ulteriormente potenziata dalla biodisponibilità, ossia dalla frazione del nutriente che l’organismo è in grado di assorbire». La biodisponibilità infatti può variare in relazione a tantissimi fattori, dipendenti dalla natura dell’alimento, dal tipo di sostanza contenuta, dall’interazione con altri nutrienti, dalla cottura, dai trattamenti tecnologici subiti nel processo che va dalla produzione alla filiera o, ancora, dalla presenza di fattori antinutrizionali che ne possono limitare l’assorbimento o, viceversa, di altri che lo esaltano.
La biodisponibilità è però influenzata anche dalle caratteristiche intrinseche dell’organismo come l’età della persona ad esempio, il sesso, lo stato nutrizionale e di salute, eventuali intolleranze e la qualità della flora intestinale. Questo significa che un nutraceutico, potenzialmente in grado di proteggere l’organismo dall’eventuale insorgenza di una specifica patologia, anche se contenuto in un alimento in grosse quantità, potrebbe vanificare i suoi effetti se vi sono fattori interferenti sulla biodisponibilità che la rendono bassa. Alcune soluzioni per migliorare la biodisponibilità però esistono: ricorrere all’uso di integratori che siano però rigorosamente “titolati e standardizzati” dall’indicazione in etichetta a garanzia della presenza del nutriente stesso in determinate quantità o, ancora, adottare alcuni pratici accorgimenti. Come nel caso del licopene, contenuto nel pomodoro. «Questa sostanza ha una ridotta azione nutraceutica – precisa la nutrizionista – quando il pomodoro viene consumato crudo, come ad esempio in insalata, perché le sue potenzialità nutraceutiche vengono disperse e diluite dall’acquosità del pomodoro stesso (tutte le verdure contengono mediamente il 90-95% di acqua). Invece il licopene attiva tutti i suoi benefici quando viene concentrato e ristretto dalla cottura». Insomma portare in tavola un piatto di pasta al sugo di pomodoro, a cui si è aggiunto dell’olio extravergine di oliva (ma in questo caso rigorosamente a crudo), ricco di vitamina E che ha azione antiossidante, senza eccedere in quantità per non incidere sull’elevato apporto calorico, è un toccasana per la salute e l’organismo.
Dunque per beneficiare dei nutraceutici, è fondamentale non solo conoscere in quali cibi sono contenuti, ma anche i segreti culinari per mantenerli efficaci: perché ad esempio le vitamine, se cotte, lasciano in pentola il loro potere mentre altre sostanze (come il licopene, lo abbiamo visto) una volta concentrate tramite la cottura, migliorano la biodisponibilità. O, ancora, seguendo le corrette modalità di conservazione perché la luce e le alte temperature possono danneggiare alcuni nutrienti, le vitamine in particolare. O anche di consumo, come nel caso di alcuni polifenoli. Fra questi, è infatti ancora in discussione l’efficacia del resveratrolo in merito al quale ci sono due scuole di pensiero: l’una che vanta le proprietà anti-aging e antiossidanti della sostanza, e l’altro che ne negherebbe l’assorbimento a livello della mucosa intestinale. «Al momento – dichiara ancora la dottoressa – è possibile ritenere che l’estratto del resveratrolo, tolto dal suo alimento naturale, possa perdere parte del suo potere nutraceutico, mentre se ne può beneficiare dall’assunzione attraverso un bicchiere di vino rosso, secondo i dettami della dieta mediterranea».
Sapere scegliere e trattare i cibi nella maniera giusta è dunque importante ma lo è ancora di più proteggere la salute dell’intestino che incide sull’adeguato assorbimento dei nutraceutici, nutrendolo ad esempio con i prebiotici, ossia molecole ad azione trofica o i probiotici, batteri veri e propri la cui azione sinergica aiuta la colonizzazione di batteri buoni per l’intero organismo. «È ormai noto che molti dei nutrienti e delle vitamine che riusciamo a trasformare derivano dall’azione di determinati ceppi di batteri intestinali. Ma non solo: si sa anche che uno stato di sovrappeso e obesità può associarsi a un’alterazione della flora microbica intestinale, la quale può essere aiutata a mantenersi in salute, consumando con regolarità latte fermentato, yogurt arricchito in bifidobatteri che prevengono la disbiosi (disequilibrio della flora intestinale) da cui sembrano derivare anche alcuni problemi al sistema immunitario o di malassorbimento di tutti i nutrienti (carboidrati, proteine e grassi)».
Nessun nutraceutico andrebbe escluso dalla dieta, ma ve ne sono alcuni che non dovrebbero mancare dalla dieta femminile. «La donna – aggiunge la dottoressa Cancello – dovrebbe garantirsi fin dalla prima infanzia, nell’accrescimento e in gravidanza la giusta quota di calcio e di vitamina D con l’introduzione di alcuni alimenti funzionali arricchiti da queste due sostanze, particolarmente indicate anche in menopausa, la cui azione può rallentare il rischio di insorgenza di osteopenia e osteoporosi molto frequenti in questa fascia di età. Sempre dopo i 50 anni o nella post menopausa, quando l’organismo è meno efficiente nel metabolizzare i grassi, si potrebbe ricorrere all’uso dell’estratto di riso rosso fermentato, un nutraceutico fra i più recenti e di comprovata efficacia, che contiene una sostanza (monacolina K) che contribuisce ad abbassare i livelli del colesterolo. Questi infatti possono aumentare sia a causa di una dieta troppo ricca di grassi o sbilanciata, ma anche per una predisposizione genetica o per una familiarità (ipercolesterolemia familiare) che, se di grado lieve-moderato, può essere controllata con un nutraceutico prima del ricorso alla statina».
Per la donna in gravidanza, molto importante è il ruolo di acido folico contenuto in carni animali, asparagi, broccoli, carciofi, cavolfiori, legumi, arance e uova, e acidi grassi della serie omega3 (DHA) e omega 6 presenti in pesce, semi di lino, alghe e oli algali, noci che vanno integrati nella dieta se si escludono i cibi ad alto contenuto. «Corretti livelli di acido folico e acidi grassi omega 3/omega 6 – commenta la specialista – riducono il rischio di anomalie di chiusura del tubo neurale e deficit di acuità visiva nel nuovo nato. L’effetto del DHA è inoltre sinergico a quello dell’acido folico in gravidanza. Alcuni studi hanno dimostrato una maggior incidenza di depressione post-partum nelle donne con bassi livelli di DHA o scarso consumo di olio di pesce».
Non vi è invece alcuna molecola nutraceutica nota che si associ a un ridotto rischio per certi tipi di tumori femminili, la cui prevenzione più efficace è data dall’azione combinata di un corretto stile di vita e alimentare. «E’ consigliato monitorare sempre il peso e introdurre nella dieta – chiosa la Cancello – un giusto apporto di fibre che riducono la densità calorica degli alimenti, limitare la frequenza delle carni rosse e conservate, privilegiando i cibi freschi e non eccedere in zuccheri semplici per non creare quindi picchi glicemici nel sangue». Tanto più che vi è evidenza scientifica che una dieta a basso indice glicemico possa avere effetti positivi dopo l’intervento, specie in caso di trattamento chemioterapico. «Studi in vitro – conclude la nutrizionista – dimostrano che le cellule cancerose hanno un metabolismo glucidico stretto, ovvero che per proliferare hanno bisogno di zuccheri semplici come il glucosio. Ridurre quindi dalla dieta zuccheri semplici a favore di carboidrati complessi (contenuti ad esempio in cereali integrali) e introdurre più proteine, sembra ottimizzare l’azione del chemioterapico nel ridurre incidenza delle recidive. Dunque in caso di un tumore, specie se mammario e in trattamento, l’indicazione è di rivolgersi a un nutrizionista per la correzione della dieta secondo le singole necessità».
di Francesca Morelli