«Ero in cura per un problema di pressione alta – racconta Anna – per il quale il mio medico mi aveva somministrato una terapia con un generico. Mi trovavo bene e avevo fiducia in quel farmaco, ma ogni volta che andavo in farmacia con la prescrizione, me ne veniva dato uno diverso. Mi rassicuravano che il principio attivo era lo stesso, che non avrei notato differenze. Ma queste continue sostituzioni mi generavano ansia, diventavo sempre meno motivata alla prosecuzione della cura, riducendo di mia volontà le dosi o mi dimenticavo di assumere la terapia. Così la mia pressione continuava a essere sempre più ballerina, saliva alle stelle con tutte le sue correlate complicazioni».
La testimonianza di Anna rivela come la sostituzione, in corso di terapia, di un farmaco generico con un altro equivalente, possa provocare un peggioramento dello stato di salute e della qualità della vita, l’aumento del rischio di eventi avversi o di nuove complicanze, la diminuzione dell’efficacia della cura. Sì, uno dei principali responsabili sembra essere proprio lo “switch” terapeutico: in pratica cambiare un farmaco generico con un altro equivalente, contenente la stessa molecola, ma prodotto da una azienda diversa. Un evento, quello della scarsa aderenza alla cura, tanto più probabile quanto maggiori sono le sostituzioni farmacologiche che il paziente in trattamento subisce suo malgrado. L’atteggiamento di astinenza terapeutica, totale o parziale, di Anna è un mal comune: condiviso da almeno tre donne su 4, secondo un’indagine condotta dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda) su un campione di 455 intervistate, tradottosi per il 19% soprattutto in errori di assunzione, sospensione o interruzione della cura.
La survey femminile è stata la base per approfondire il tema con una ricerca più ampia – i cui risultati sono stati presentati in un evento organizzato da Onda a Milano, in collaborazione con Doc Generici – condotta in due ASL lombarde, Pavia e Bergamo, fra oltre 14.500 pazienti in trattamento con un generico per problematiche di natura differente: ipertensione, disturbi cardiaci, psichici, reumatologici o dislipidemia, cioè valori elevati di lipidi nel sangue. «Abbiamo arruolato pazienti – spiega Alberico Catapano, Presidente della Società Europea dell’Aterosclerosi – che non avevano avuto alcuna prescrizione nei 12 mesi precedenti allo studio, monitorandoli dall’inizio del trattamento per i 36 mesi successivi in relazione agli “switch” terapeutici e alla conseguente adesione. Ovvero per quanti giorni la terapia veniva seguita rispetto ai giorni effettivamente previsti dalle prescrizioni». Anche da questo studio è emerso che la sostituzione di un generico, attuata dal medico o dal farmacista, genera un deficit terapeutico, differente da patologia a patologia, ma sempre con variabilità importanti, pari a una riduzione del 48% per la dislipidemia, del 36% per il diabete, del 21% per le malattie reumatologiche, del 19% per patologie di area psichiatrica e del 10% in caso di un trattamento contro l’ipertensione.
Oltre allo “switch” terapeutico, altri fattori possono concorrere alla minor aderenza alla cura: ad esempio, specie in pazienti anziani o cronici, la politerapia, cioè più compresse da assumere insieme nell’arco della giornata per trattare più problematiche coesistenti; la durata del trattamento e la scarsa comunicazione tra medico e paziente circa l’importanza della continuità e corretta assunzione della cura; la variazione delle caratteristiche della confezione, della forma e del colore delle pastiglie, riferibili allo “switch” stesso e che possono deprezzare all’occhio del paziente sia l’efficacia della cura sia la professionalità dello specialista.
«La frequenza di sostituzione dei farmaci – commenta Carlomaurizio Montecucco, direttore SC di Reumatologia del Policlinico San Matteo di Pavia – che si è dimostrato un recente fattore di rischio, rispetto agli altri, è facilmente correggibile». «Ed è dovere del medico – aggiunge Roberto Trevisan, direttore dell’Unità di malattie endocrine e diabetologia dell’A.O. Papa Giovanni XXIII di Bergamo – fare ogni tipo di sforzo per aumentare l’aderenza, evitando anzitutto, salvo particolari eccezioni, la sostituzione del generico».
Opinione condivisa anche dagli altri specialisti: «Un nuovo paziente che inizia un trattamento specifico, specie per patologie croniche, come ad esempio quelle cardiovascolari – precisa Alberto Margonato, direttore della divisione di Cardiologia clinica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano – va avviato a un trattamento con farmaco generico piuttosto che “branded”». «Precisando sulla prescrizione “NON SOSTITUIBILE” – ribadisce il professor Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di psichiatria e direttore del dipartimento di neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano. È infatti cruciale, indipendentemente dalla patologia da trattare, che venga mantenuto sempre lo stesso “brand di generico” con il quale il paziente ha iniziato la cura e raggiunto esiti positivi, al fine di ridurre i fattori che possono influire sulla (non) aderenza alle cure». Un aspetto tanto più importante in ambito psichiatrico dove studi osservazionali hanno accertato che quasi il 50% dei pazienti in terapia sospende il trattamento nei primi 3 mesi ed il 70% nei primi 6, mentre è fondamentale che il trattamento duri almeno 6 mesi, specie in casi di depressione, in virtù dell’alto rischio di recidiva a cui si attribuiscono elevati costi economici e sociali. O anche in pazienti con diabete le cui manifestazioni sono per lo più asintomatiche, e dove una sospensione di trattamento può significare complicanze cardiovascolari importanti, talvolta letali e/o morte prematura. «Mentre è accertato – aggiunge Trevisan – che quasi un diabetico su 2 non assume correttamente la terapia, qualunque sia il farmaco che gli viene prescritto».
Adesione terapeutica significa anche risparmio, per la spesa pubblica, di costi clinici, economici e sociali dovuti a un peggioramento della patologia, e per il paziente di costi economici, oltre che di qualità della vita: «Un prodotto generico “branded” (di marca) – precisa Giorgio Colombo del dipartimento di Scienze del farmaco, dell’Università degli Studi di Pavia – richiede il pagamento di un ticket a carico del paziente, contrariamente al generico puro che è un onere del Sistema Sanitario Nazionale». Spesa e/o ticket che, moltiplicati per tutti i branded assunti e da acquistare, contribuiscono anch’essi per l’elevato costo finale, a diminuire l’aderenza alla cura. Dunque, “branded” o generici? I secondi il cui assioma sembra essere traducibile in “meno costi e più salute”.
di Francesca Morelli
E’ NATA LA “APP” DEI BUGI@RDINI
Anche il bugiardino, il foglietto illustrativo dei farmaci, si fa “digital” per garantire più sicurezza terapeutica ai suoi utilizzatori. Una semplice “app”(licazione), disponibile per smartphone Android e Iphone, consente oggi di ricevere sul proprio cellulare, o su ogni altro dispositivo elettronico dove verrà scaricata, aggiornamenti, variazioni, modifiche subiti da farmaci soggetti a prescrizione o di automedicazione e coi quali si è in terapia. Un’idea della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (FOFI), che ha ricevuto il patrocinio dell’Aifa (Agenzia Italiana del farmaco), nata innanzitutto da una necessità operativa: «La nuova normativa italiana – ha spiegato il Senatore Andrea Mandelli, presidente FOFI – prevede che quando un farmaco viene “aggiornato”, anziché ritirare il medicinale e provvedere a un nuovo confezionamento, il farmacista proceda a stampare direttamente il nuovo foglietto e a consegnarlo al paziente». Un’operazione non sempre agevole né per il paziente né per il farmacista, ed ecco allora una soluzione ecologica, efficace e sicura che non solo velocizza la pratica di informazione ma che sta al passo con le necessità di una società sempre più digitale. La “app” ha però come primario obiettivo quello di tutelare da un uso scorretto dei farmaci: «Può capitare – continua il Presidente della FOFI – che il paziente, una volta aperta la confezione, smarrisca il foglietto illustrativo del medicinale, andando incontro a dei rischi di assunzione pericolosa, in particolar modo se si tratta di terapie che non vengono prese abitualmente. Rischi che oggi è possibile evitare grazie a questa applicazione che permette di recuperare sempre e comunque il foglietto illustrativo».
Come funziona il servizio? Dopo aver scaricato la “app”, è necessario effettuare una registrazione gratuita con pochi passaggi (inserimento del codice fiscale, di un indirizzo mail e una password a scelta) che darà libero accesso ai bugiardini elettronici. «Quando il farmacista dispensa un farmaco – conclude Mandelli – nel momento in cui la confezione viene passata al lettore ottico, il software gestionale della farmacia segnala che il foglietto illustrativo ha subito una modifica. Se il paziente dispone di uno smartphone in cui è installata “l’app”, comunicando attraverso il tesserino sanitario, o direttamente, il suo codice fiscale o l’indirizzo e-mail al farmacista, riceverà immediatamente il nuovo foglietto. Lo stesso invio, in caso non si sia registrati al servizio o non si disponga di un cellulare adeguato, può essere fatto però anche a un indirizzo mail».
Al momento nel database dei bugiardini sono disponibili solo farmaci con foglietti aggiornati, ma a breve verranno caricati i restanti: un aggiornamento che renderà utile l’applicazione anche per risalire a qualsiasi foglietto smarrito delle confezioni. Il “Bugiardino Digitale”, fatto non trascurabile soprattutto per i farmacisti, può operare con tutti i principali software in uso nelle farmacie italiane, a garanzia di un servizio al cittadino a diffusione quanto più capillare possibile. Inoltre il servizio ai cittadini è altresì completato da una “web app” accessibile all’indirizzo www.bugiardinodigitale.it, in cui reperire ulteriori informazioni.
(Francesca Morelli)