Il Natale si avvicina e il carico di zuccheri per il nostro stomaco è già alle stelle? Capita a tutti: una fetta di panettone “in anticipo”, una tavoletta di cioccolato all’arancia, datteri ripieni… Chi può resistere? Lo zucchero piace, fin da neonati. A tal punto da suscitare sul volto dei bebè una espressione gratificata e rassicurata ogni volta che viene loro proposta una bevanda diluita con zucchero. E una ragione c’è: il gusto dolce è infatti innato, il primo a essere riconosciuto dai piccoli, che impareranno solo poi a sperimentare anche quello amaro, acido, salato e così via.
Il dolce, però, piace anche ai grandi, soprattutto alle donne, e non solo per il sapore che lascia in bocca, ma anche perché addolcisce lo spirito, tensioni e stress. Pare infatti che lo zucchero, in frangenti difficili, sia in grado di svolgere una funzione consolatoria, una sorta di effetto cuscinetto utile a mettere una barriera temporanea tra la pesante quotidianità e le emozioni negative vissute dalla persona che ne è coinvolta. Lo attesterebbe uno studio, pubblicato sulla rivista Appetite, condotto dal dipartimento di Psicologia dell’Università di Los Angeles su oltre 2.300 giovani donne, tra i 18 e i 19 anni, interrogate attraverso un questionario sulle scappatoie previlegiate per superare le avversità giornaliere. Di cui lo zucchero era, appunto, una opzione tra le più ricercate.
«La percezione dello stress, in relazione a situazioni critiche – ha spiegato Gianluca Castelnuovo, professore associato di Psicologia Clinica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e clinico-ricercatore all’Ospedale San Giuseppe dell’Istituto Auxologico Italiano, in occasione di un incontro sul tema tenutosi presso la Nutrition Foundation of Italy (NFI) di Milano – risultava minore in chi aveva privilegiato un cibo dolce “di conforto”, rispetto ad altre scelte alimentari».
Il gusto dolce ha però anche un altro valore aggiunto: permette di identificare quegli alimenti ricchi di nutrienti, come i carboidrati ad esempio, che rappresentano una fonte elevata di energia per l’organismo. Insomma, allo zucchero non si può rinunciare, perché serve al buon funzionamento di ogni componente della nostra “macchina biologica perfetta”.
Questo non significa però mangiare zuccheri senza limiti, anzi: l’indicazione resta quella di mantenere un comportamento moderato verso questa sostanza perché l’introduzione eccessiva di zuccheri, aggiunta ad altri alimenti dolci assunti con la dieta, va ad aumentare l’apporto calorico giornaliero totale che nella maggior parte dei casi favorisce l’aumento di peso. «Diversi studi scientifici – ha precisato Andrea Poli, Presidente della NFI – hanno dimostrato che gli zuccheri di per sé non hanno un ruolo significativo nello sviluppo di sovrappeso e obesità». A condizione però che il loro introito, composto da zucchero naturalmente presente negli alimenti e da zuccheri aggiunti, non “pesi” eccessivamente sulla dieta. A fare la differenza sull’obesità sono infatti soprattutto gli zuccheri semplici, quelli con cui vengono arricchiti gli alimenti di produzione industriale – che danno molte calorie, sono fonte di energia a breve termine perché vengono assorbiti rapidamente, e sono preferiti a livello sensoriale – i quali (ad eccezione degli zuccheri naturalmente presenti in frutta, verdura e latte), andrebbero il più possibile limitati, ma non totalmente aboliti. «L’esclusione selettiva di alcuni alimenti, come lo zucchero, per controllare il peso – precisa Castelnuovo – può rendere quella specifica sostanza irresistibile e sortire effetti contrari, inducendo cioè a cadere nell’abuso». O in alcuni casi in una vera dipendenza, una probabilità soprattutto femminile e in donne di età superiore ai 35 anni. L’indicazione generale è dunque quella di ridurre gli zuccheri semplici a meno del 10% dell’apporto calorico totale: studi scientifici hanno infatti dimostrato che la rinuncia giornaliera di 100-150 kilocalorie, in un contesto di vita sano, può aiutare a controllare il peso e il rischio di malattie correlate, primo tra tutti il diabete. Qualche esempio pratico: sostituire i cucchiaini di zucchero ai 2-3 caffè quotidiani con un edulcorante, fa risparmiare circa 48 calorie; evitare una bevanda zuccherata o un aperitivo (o consumarne uno con un dolcificante acalorico) risparmiano 150 calorie; uno yogurt alla fragola edulcorato riduce l’apporto calorico di circa 34 calorie che in una giornata significano all’incirca 220 calorie in meno e molta salute in più. Tanto più che i dolcificanti a basso potere calorico (edulcoranti) sono stati riscattati dalla scienza e dalla ricerca. «Solide evidenze scientifiche – precisa Carlo La Vecchia, Epidemiologo del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità Università degli Studi di Milano – hanno escluso l’associazione tra dolcificanti non calorici, aspartame compreso, e rischio di sviluppo di alcuni tumori come quello al seno e ovaio o del tratto digerente e anche una possibile influenza sul basso peso alla nascita o di altre patologie della gravidanza».
Tra le alternative più interessanti e naturali allo zucchero, vi sono i glicosidi estratti da Stevia, una pianta originaria del Paraguay e del Brasile, utilizzata negli yogurt, nelle bevande alla frutta, nei prodotti da forno, nelle marmellate, che ha un potere dolcificante 2-300 volte superiore allo zucchero, ma con un apporto calorico e nutrizionale quasi nullo. «Stevia – ha precisato la dottoressa Ilenia Grandone, Medico specialista in Scienza dell’Alimentazione presso il Dipartimento di Diabetologia, Dietologia e Nutrizione clinica dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni – sembrerebbe avere effetti positivi anche sul senso di sazietà e influenzare positivamente l’insulinosensibilità». Senza tuttavia perdere in appetibilità, aspetto fondamentale per chi è costretto a rinunciare per sempre agli zuccheri semplici o essere una motivazione per chi è a dieta a mantenersi a regime. È importante ricordare che i prodotti con edulcoranti ipocalorici, una volta aperti, vanno tenuti in frigorifero perché non hanno lo stesso “effetto mantenimento” generato dallo zucchero.
Non tutti i dolcificanti “naturali” sono però uguali, tanto che alcuni apportano solo qualche caloria in meno dello zucchero. «Come ad esempio il miele – continua Grandone – che per circa l’80-90% è costituito da zuccheri semplici, quelli da evitare perché rapidamente assorbibili. Inoltre ha un potere calorico lievemente più basso, ovvero 100 calorie in meno per 100 g, rispetto allo zucchero. Si parla dunque di quantità importanti, che diventano poco significative se rapportate ai 5-10 g di zucchero aggiunti al caffè. Inoltre il miele, oltre al glucosio contiene anche fruttosio, lo zucchero della frutta, che se aumentato talvolta potrebbe essere dannoso, come nel caso di trigliceridi alti, diabete e altre patologie metaboliche. Il restante 20%, la parte che nel miele non è zucchero, ha proprietà antibatteriche e antiossidanti ma il consumo, anche in questo caso, dovrebbe essere molto più elevato di quello giornaliero per coglierne i benefici».
Lo stesso va detto per gli sciroppi d’acero, di mais, di malto o di riso o per lo sciroppo d’uva (utilizzato nelle marmellate o negli yogurt) la cui riduzione calorica e i conseguenti vantaggi non possono essere reali su irrisorie quantità giornaliere. «Tra questi dolcificanti “naturali” – aggiunge la dottoressa – meglio a questo punto previlegiare quelli di produzione locale, come lo zucchero d’uva».
Non è comunque possibile dire che tra i dolcificanti, diversi dello zucchero, uno sia migliore o che abbia proprietà benefiche superiori a un altro. L’importante, per non superare le quote zuccherine raccomandate, qualunque sia il tipo di zucchero usato, è leggere l’etichetta. «Oggi – conclude la dottoressa Franca Marangoni, Responsabile Ricerca NFI – vanno indicate la quota sia degli zuccheri naturalmente presenti negli alimenti sia di quelli aggiunti, anche per le porzioni mono uso, aiutando in questo modo a stimare la quantità di zuccheri totali giornaliera che si potrebbe consumare. Ad esempio, in una dieta da 2000 calorie, nei 50 g di zuccheri aggiunti, sono ammessi un alimento per la prima colazione, lo zucchero che si aggiunge ai caffè e una bevanda dolce». Salvo le correzioni del caso, perché prodotti industriali o naturali diversi possono dare un apporto zuccherino molto differente, allo stesso modo in cui avviene per la frutta dove, ad esempio, la pesca – tra i frutti meno dolci – fornisce 6-7 g di zucchero per 100 g, contro la dolcissima uva, i fichi o i cachi che possono apportare fino a 15 g e oltre di zucchero.
di Francesca Morelli