DI COSA PARLANO LE DONNE DALLO PSICOLOGO?

«Molte donne si rivolgono allo psicologo perché vogliono migliorare il proprio stile di vita e l’autostima. Sono animate dal desiderio di conoscere se stesse, di crescere, creare relazioni positive, raggiungere la reciprocità e autenticità nel rapporto con l’uomo. E nell’attenzione all’ascolto e alla parola trovano uno spazio per tornare a prendersi cura di sé, riscoprendo il significato profondo e vitale del proprio essere donna». Così ha esordito Chiara Santi, psicologa, psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico con studio a Imola, consigliera CdA e coordinatrice della “Commissione Politiche Femminili” Enpap (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi), quando le abbiamo chiesto di aiutarci a comprendere quali sono le sofferenze psichiche delle donne, oggi più ricorrenti, in base alla sua esperienza clinica.

I dati dicono che sono le donne, più degli uomini, a rivolgersi allo psicoterapeuta. E che l’82% degli oltre100mila psicologi italiani è donna. Come lo spiega?
«La tendenza alla femminilizzazione è un dato comune a tutte le cosiddette professioni di aiuto. Sicuramente i termini cura, rispetto, intimità, sofferenza, relazione disponibilità, rimandano subito a una cultura che per tradizione è abitata dalle donne. Se vanno più comunemente dallo psicologo rispetto agli uomini, non è perché sono più in difficoltà; penso invece dipenda soprattutto da una certa “familiarità”, da un certo grado di con-fidenza delle donne all’introspezione, a esprimere i propri problemi, il proprio mondo emotivo, a mettersi in discussione. Sono le donne che hanno una specifica attitudine a raccontarsi tra loro. Un desiderio di dirsi, narrarsi, ascoltarsi. Condividono confidenze e soprattutto emozioni. Noi donne non abbiamo paura di parlare dei nostri sentimenti, e abbiamo anche il coraggio di chiedere aiuto quando ne sentiamo bisogno. E oggi le forme del malessere femminile possono celarsi dietro molti sintomi: angoscia, sonno disturbato, ansia, depressione, momenti di panico, sbalzi di umore, piccole fobie, senso di vuoto, rabbia, apatia, iperattività. Attacchi al corpo sentito come imperfetto e inadeguato, disturbi dell’alimentazione».

Cosa raccontano le donne oggi dallo psicologo?
«Vengono a parlare di quel che le rende inquiete, insoddisfatte inespresse e infelici, talvolta nonostante i riconoscimenti, nonostante la “presunta” emancipazione e il raggiungimento di una serie di faticosi traguardi. Parlano di quella sensazione che qualcosa manca, che le cose non sono al loro posto. Quel vuoto che ci portiamo dentro, segno tangibile della nostra vulnerabilità e dei nostri limiti. E’ molto facile nella società di oggi che manda messaggi così ambigui per le donne sentirsi come attraversate da un sentimento di esilio, lontananza, senso di mancanza».

Mancanza da cosa?
«Dal sentirsi complete, o dallo stare bene con se stesse. Le donne che un tempo erano relegate a ruolo di “angelo del focolare” oggi possono affermarsi nella carriera, scegliere di fare figli o non averne, sposarsi, convivere o restare single. Un bel passo in avanti senza dubbio, ma anche una situazione che pone loro davanti a una serie di interrogativi: Che cosa faccio? Sarà la scelta giusta? Qual è la mia vera vocazione? Mi aspetto troppo da un uomo? Non si può essere felici anche senza un bambino?… Costruire un’idea di sé coerente e soddisfacente appare una sfida alla quale, in certe situazioni, non siamo pronte a rispondere. Affiorano i sensi di colpa e un sentimento di inadeguatezza. Dubbi sulla propria desiderabilità, sul valore, sull’attitudine materna. Una novità degli ultimi anni è l’abbassamento dell’età delle donne che si rivolgono a uno psicologo, per attacchi di panico e ansia. Nella maggior parte dei casi si tratta di ragazze che, fin da giovanissime, vivono sotto pressione. Al lavoro, in famiglia e tra gli amici. Sempre concentrate su un obiettivo: dimostrare a tutti che sono le migliori. Per farlo, devono riuscire a mettere a tacere le emozioni. Non si danno tempo per pensare, devono solo fare, produrre, correre. Fino a che l’ansia le paralizza».

Quali sono i disagi più ricorrenti, portati nella stanza dell’analista?
«Può essere il disagio di chi è riuscita ad avere molte soddisfazioni professionali, ma in questo successo lavorativo sente di sacrificare una parte di sé. Chi ha puntato tutto sul lavoro si sente fragile perché oggi è minacciata nel campo principale da cui traeva soddisfazione. L’onda lunga della crisi esaspera fragilità e tensioni interiori. Le donne single che desiderano creare legami stabili, si chiedono perché sia così difficile. Separazioni logoranti e abbandoni repentini spesso turbano la serenità e l’equilibrio emotivo. Anche l’accudimento dei figli, gestito in solitudine, e una responsabilità genitoriale che non si può condividere con l’ex-partner, possono essere fattori sfibranti. E, ancora: amare troppo, trovare partner che non corrispondono, non riuscire a staccarsi da partner che fanno soffrire, non riuscire a dimenticare la perdita di un amore. E’ l’amore uno dei motivi che spinge a chiedere il parere di uno specialista. Perché la relazione è una faccenda che tocca profondamente l’essere femminile».

Qual è questo disagio?
«Il conflitto tra il bisogno di relazione a due e l’autorealizzazione, tra una dipendenza mal vissuta e un’indipendenza intensamente desiderata ma non sempre possibile. Per un verso le donne hanno acquisito dalla tradizione una definizione del proprio essere come “naturalmente dipendente”, radicalmente bisognoso della conferma maschile e, dunque, insussistente al di fuori della relazione significativa con l’uomo. Ma, nel contempo, quasi sempre inconsciamente, si ribellano a questa dipendenza. La ribellione si traduce in un malessere più o meno profondo, sotteso da una depressione, attacchi di panico. In altri casi, invece, la dipendenza viene totalmente negata e sostituita con una sessualità compulsiva e un’anoressia affettiva».

E come si possono superare queste incertezze?
«Nutrendo la nostra autostima. Una buona autostima non ci darà la possibilità certa di trovare un nuovo lavoro, ma ci consentirà di mantenere vive e attive le nostre energie e risorse che sono fondamentali per affrontare le difficoltà della vita, focalizzarsi su pensieri positivi per ricercare potenzialità nascoste che ignoravamo. Autostima e immagine corporea sono tra loro legate. L’autostima è importante anche nell’intricata equazione di una relazione sentimentale. Sminuirsi porta a sentirsi grati di essere amati malgrado… manca la reciprocità, ci mette in una condizione di dipendenza rispetto al partner, ci spinge ad accettare qualsiasi legame, anche quelli sbagliati, e talvolta violenti».

Si inciampa sempre sulla scarsa autostima…
«Purtroppo è qualcosa che sentiamo ancora. E contro cui ancora combattiamo, al di là di quello che scriviamo e ci raccontiamo. La maggior parte delle donne non si piace. Donne molto capaci, hanno spesso la sensazione di essere inadeguate. Cosa fa nascere in noi la sensazione di non “meritare”, “di non essere all’altezza”? Naturalmente sono in gioco una serie complessa di fattori: la personalità del soggetto, i traumi subiti… ma dipende anche dai modelli che abbiamo introiettato nonostante il nostro affannoso tentativo di allontanarci dai pregiudizi discriminanti».

Occorre insomma superare gli stereotipi culturali che alimentano un’immagine “svalutativa”?
«Non c’è dubbio che i modelli di genere oggi sono più liberi e meno rigidi di un tempo ma il  peso del contesto sociale e culturale, che ha storicamente relegata la donna in una posizione subalterna, impregnano la psicologia femminile: a livello conscio e inconscio. Un esempio. Non ci piace competere? Detestiamo dover lottare contro qualcuno per ottenere qualcosa? Succede spesso alle donne (a cui si insegna sin da piccole ad essere dolci, gentili, rispettose, a reprimere la manifestazione istintiva dell’aggressività, dell’autonomia personale). E diciamo “sono fatta così”… Prendendo coscienza dei condizionamenti culturali, ma anche familiari, potremmo scoprire qualcosa di essenziale, qualcosa che cambia tutto, il senso di noi, dei rapporti, della vita». 

Un consiglio per tutte? 
«Quello di intrattenere un continuo dialogo coi propri desideri e bisogni più profondi, per trovare cosa ci fa stare bene. In questo spazio interiore finalmente ritrovato, risiede la forza per riprendere in mano la propria vita e liberarsi dei condizionamenti sociali e familiari. Con la consapevolezza che ognuno di noi è un essere unico, con una vita irripetibile. E non esiste un’unica identità, definita una volta per tutte, ma è sicuramente più complessa, più flessibile, una complessità che riflette i labirinti della vita. Affrontando le proprie ombre. Accettando che i dubbi non scompaiano mai, di non sapere tutta la verità dei propri sentimenti».

di Cristina Tirinzoni

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