Il primo tratto che le accomuna è l’affermazione professionale: nell’arte, nello sport, nell’imprenditoria, nella medicina, in famiglia nel ruolo di mamme e di mogli. Poi se le incontri, le guardi, le ascolti e conosci le loro storie ne cogli la sensibilità, la determinazione, la creatività, il vivere e concepire la vita in modo unico, profondo. Spicca così il loro tratto distintivo: essere donne “eccellenti” che hanno scelto di investire talento e qualità, facendosi portavoce di valori umani di solidarietà, attenzione al prossimo, prodigalità e fede. Sono le 30 donne vincitrici del Premio Internazionale Standout Woman Award 2016, voluto dall’Associazione Donne Magistrato Italiane (ADMI) in memoria di Graziana Campanato, donna magistrato, già presidente della Corte d’Appello di Brescia, venuta a mancare il 24 dicembre scorso che, con la sua professione e in vita, ha sempre lottato per sconfiggere e abbattere ogni barriera di discriminazione e diseguaglianza, soprattutto femminile.
Un messaggio che oggi continua attraverso le azioni e le progettualità delle donne “Standout”, impegnate a diffondere il valore della femminilità, affinché ogni donna possa avere il “suo” volto e conquistare il “suo” posto in ambito professionale, sociale e umano. Tutte le storie di queste 30 donne sarebbero meritevoli di essere raccontate, ma ne abbiamo scelte cinque: quelle che parlano soprattutto di solidarietà all’infanzia, alla vita fragile e indifesa o a margine.
Riccarda Zezza, milanese, è concreta, determinata, sensibile, moglie e madre. Esigente con se stessa ha saputo mettersi in gioco, imparando dai propri errori sui quali ha edificato trasformazioni imprenditoriali innovative per mamme della new generation. Alla fine del 2012 co-fonda nel capoluogo lombardo “Piano C”, il primo spazio in Italia per far incontrare donne e lavoro: in pratica facendo conciliare la felicità (di sentirsi madre e moglie) con la produttività. Da questo binomio è nato il “Maam – Maternity is a master”, una filosofia condivisa da una squadra di donne e da aziende moderne, che valorizza le abilità della donna, specialmente quelle acquisite dopo una gravidanza, in controtendenza al pensiero dominante in cui la maternità è vista spesso come un limite all’affermazione professionale e non un talento su cui fare leva e far sfruttare. Una donna 2.0 insomma.
Poi c’è Paola Bonzi, insegnante e formatrice, forte come la roccia; non l’arresta neppure il suo limite: la cecità che l’ha colpita quando aveva 23 anni. Una vita, la sua, spesa per la vita nel sostenere donne e bambini desiderati, amati e nati tra mille difficoltà. Molti accolti presso il Centro aiuto alla vita (Cav) della clinica Mangiagalli di Milano, da lei fondato, diretto a titolo volontaristico, e forse ispirato da una personale difficoltà: «Una gravidanza difficile, la seconda – racconta – durante la quale ho conosciuto la solitudine della donna incinta con problemi». A loro, a queste donne, offre tutta se stessa, anche la sua oscurità: «Non è mai uguale – dice – perché si colora di giallo, rosso, nero. A volte diventa luminosità eccessiva: sono fenomeni cerebrali. E la mia vita non è assolutamente al buio! La ritengo in salita e spero di arrivare in cima». Ha un solo rammarico: non poter vedere i nipotini, che ama tantissimo e che sono il suo stimolo ed entusiasmo, e non essere totalmente autonoma. Tutti apprezzano il valore di Paola, anche Milano, che le ha conferito, anni addietro, il prestigioso Ambrogino d’oro, il premio che viene attribuito dalla città ai cittadini che si sono distinti in vari campi, per azioni e contributi di qualità. Con il suo dono di generosità ha “illuminato” e protetto la vita di tanti piccoli.
Donatella Meneghini, lombarda di Brescia, madre premurosa, moglie, instancabile lavoratrice in una nota azienda del bresciano, crea nel 2011 “Mamma Mia”, un parco giochi al coperto simile ai playground americani dove i bambini possono divertirsi in modo costruttivo e creativo. Il suo progetto più recente, del 2013, è però “LAAS – Lonati Anglo American School”, una scuola dell’infanzia primaria (da quest’anno anche secondaria di primo grado), privata rivolta a bambini italiani e stranieri, nel cui coordinamento e organizzazione è personalmente coinvolta. La sua scuola è oggi riconosciuta come un’eccellenza nell’ambito dell’istruzione nazionale e che punta, nel futuro, a offrire ai piccoli alunni una formazione “continua”, oltre le scuole dell’obbligo, fino all’istruzione superiore. «Al centro vi è lo studente – dichiara Donatella – e tutto l’impegno è teso completamente a fornire agli alunni gli strumenti per raggiungere il pieno potenziale in qualità di attivi cittadini del futuro». Una mamma e una donna di intelletto.
Brigitta Schwemberger, abita invece a Merano: è bella, sorridente, gioiosa. In ogni istante della sua vita che è dedita a Giorgia, ormai 25enni: sua figlia, disabile dalla nascita. Lei e Giorgia vanno ovunque, sole e sempre insieme, su di un’auto appositamente attrezzata: le trovi a cantare al concerto di Morandi all’Arena di Verona, in pellegrinaggio a Lourdes o a Mejugorie, in preghiera a Roma dal Papa. «Abbracciarti mano nella mano – sussurra amorevolmente Brigitta alla sua ragazza – ma soprattutto amarti è la cosa più bella che mi potesse capitare, è l’emozione più dolce che la vita mi potesse regalare». Così con atti e parole profondi si esprime la grandezza di una mamma. Lei è il volto laico dell’amore gratuitamente donato.
Non ultimo c’è Maria Maddalena, di Vicenza, oggi Suor Annacecilia, da quando nel 1950 ha deciso di prendere i voti ed entrare all’Istituto Beato don Luigi Palazzolo, dell’ordine delle suore delle Poverelle. Dopo alcuni anni spesi a fare la maestra d’asilo a Piangaiano, in provincia di Bergamo, nel 1974 si reca insieme ad altre tre consorelle ad Aboisso, in Abidjan, per aprire la prima Missione in Costa D’Avorio. Là, in collaborazione con i Padri “Stimatini” di Verona, nella sua prima azione missionaria si dedica ad assistere “gli ultimi degli ultimi”, in particolare le donne, e a offrire un’educazione ai bambini; poi riceve l’incarico di fare l’animatrice religiosa nelle carceri, scoprendo una nuova dimensione della carità cristiana. Fino all’ultimo impegno: l’accoglienza di bambini abbandonati o orfani; un’azione cominciata con il ritrovamento di una bimbetta abbandonata per tradizioni ancestrali e proseguita nel tempo anche per volere del vescovo di Abidjan che ha invitato le consorelle a trattenere i piccoli senza casa nella missione fino all’età di tre anni circa per poi riaffidarli ai parenti dei Clan di appartenenza. «In quella terra – racconta Suor Annacecilia – sono rimasta 35 anni, poi nel 2009 a causa della salute cagionevole sono dovuta rientrare in Italia, ma il mio cuore è rimasto là: ha il “mal d’Africa”. Ho però avuto la fortuna di essere destinata nella piccola comunità di Paladina, sempre nei dintorni di Bergamo, dove insieme ad altre due sorelle svolgo la mia missione andando a trovare i malati e portando loro la santa Eucaristia. Una carità diversa ma sempre gratificante e dono di Dio». Una vita, la sua, predestinata all’amore. Mai un premio “standout”, straordinario appunto, fu più meritato.
di Francesca Morelli