Addio Sharm El Sheikh, Djerba, addio Tunisi o Marrakech. Istanbul. Dimenticate Baku Jakarta. L’Egitto. Ma anche grandi capitali come Parigi, Londra (lo rivela Neil Basu, un dirigente dell’antiterrorismo di Scotland Yard citato dal Times). Più che la crisi può la paura. Troppi i rischi derivati dall’allerta terrorismo, ormai estesa su scala intercontinentale. Il Dipartimento di Stato Usa ha diffuso un “allerta viaggio” per i cittadini americani, mettendoli in guardia sul rischio di potenziali attacchi terroristici in Europa durante l’estate. Nel mirino, ovviamente, anche i campionati Europei di calcio in Francia che si chiuderanno il 10 luglio. Un clima cupo, di terrore, che cresce anche nelle città, e che si è aggravato – non solo in America e in Europa – dopo l’ultima strage di Orlando: 49 morti in un locale gay, a opera di un americano di origine afghana, Omar Mateen.
Ma la paura più palpabile, nell’imminenza delle vacanze al mare, sono le terribili immagini della strage (Isis) di turisti abbattuti a colpi di kalashnikov, tra ombrelloni e lettini nel resort a 5 stelle nel golfo di Hammamet del giugno 2015. A lanciare l’allarme, per possibili attentati sulle spiagge delle vacanze in Italia, Spagna e Francia del sud è l’autorevole quotidiano tedesco Bild.
Di conseguenza non cambiano però solo le mappe turistiche. Stanno cambiando anche le nostre abitudini. C’è chi rinuncia a frequentare luoghi affollati come cinema, caffè, ristoranti e centri commerciali. Chi ha timore a prendere l’aereo, evita treni e metropolitane… A rivelarlo è il sondaggio online, condotto da Eurodap, che ha voluto misurare l’influenza della minaccia terroristica sulla vita quotidiana degli italiani. «Sono le donne ad avere più paura del terrorismo, che ha cambiato il loro approccio alla vita di tutti i giorni», racconta Paola Vinciguerra, psicologa, presidente di Eurodap (Associazione europea per il disturbo da attacco di panico) e supervisore EMDR Italia che analizza questo tema anche nel nuovo libro Terrorismo. Impariamo a vincere la paura (Minerva Edizioni), scritto con Eleonora Iacobelli. «Secondo quanto riferito dal nostro campione, costituito da donne tra i 25 e i 55 anni, il 70% delle intervistate ha dichiarato un’influenza del terrorismo sul movimento in città, sulle scelte delle mete turistiche, ma anche dei programmi giornalieri, come fare shopping nei centri commerciali, andare al cinema, al ristorante, frequentare luoghi aperti e affollati. Quando ci sono di mezzo i figli, la paura aumenta e il controllo di eventuali situazioni pericolose è totale».
La paura è una chiave di lettura importante per capire a cosa mirano i terroristi?
«Non è semplice partire a cuor leggero in questo momento. La minaccia rappresentata dall’Isis e dal terrorismo internazionale spaventa un po’ tutti, e anche se è difficile ammettere di aver paura, la percezione che il mondo sia invaso dai terroristi frena la voglia di viaggiare. In realtà chi ama viaggiare può incorrere anche nella malaria, in uno tsunami, nello scoppio di una guerra civile, e il rischio di rimanere vittime di attentati è sicuramente inferiore ad esempio a quello di subire un incidente automobilistico. Il fatto è che la problematica del terrorismo che sta emergendo e che alimenta lo stato di stress e ansia delle persone, s’insinua su un clima generale di destabilizzazione che ormai ci coinvolge da anni. Dall’allarme alimentare ai rischi ambientali, dalla crisi economica alla criminalità della vita urbana e della salute, dalla notizia dell’omicidio brutale a quella delle nazioni in bancarotta, all’ultima strage statunitense… siamo frastornati da allarmi di ogni tipo. È la sensazione che non ci sono più confini, argini, sistemi protettivi affidabili. Che, insomma, la nostra vita sia esposta a un rischio mai pienamente governabile. Nella nostra pratica osserviamo non a caso un aumento dei pazienti con attacchi di panico, Oggi questa patologia, molto frequente, è aggravata dalla crisi economica, dallo stress “da metropoli”, dall’incertezza verso il futuro, dall’incapacità di gestire e affrontare ostacoli e difficoltà. E’ l’era della paura. Ma è anche l’era della resilienza. L’antidoto alla paura è proprio la capacità delle persone di superare eventi stressanti o traumatici e di uscirne rinforzati. L’Isis e il terrorismo vanno combattuti con tutti i mezzi. Le armi dirette sono dei servizi segreti, delle alleanze di tutti gli Stati. Di fronte a un terrorismo che costituirà purtroppo una futura presenza costante, ci dobbiamo equipaggiare sia sul piano dell’intelligence e della tutela della nostra sicurezza sul piano psicologico».
Cosa può fare, ciascuno di noi, per reagire alla paura?
« La paura la si supera riconoscendola e accettandola. Per poi imparare a gestirla. Cercando di fare una vita normale, il più difficile degli esercizi. Uscire e viaggiare come sempre sono le nostre armi più potenti contro ogni forma di terrorismo. A dimostrare che la vita deve andare avanti anche di fronte alla violenza più efferata. Valutiamo il rischio terrorismo senza bloccarci. Più ci blocchiamo e più aumenterà il nostro senso di minaccia, cerchiamo di non dimenticarlo. Più si tenta di esercitare il controllo, meno se ne ottiene e aumentano insicurezze, paure e ossessioni. Ogni cosa che evitiamo per paura indebolisce il rapporto di fiducia con noi stessi. Pensiamo invece a tutto ciò che di bello potrebbe avvenire, spostiamo anche la nostra attenzione e le energie a costruire, per raggiungere i nostri obiettivi. Un altro consiglio è quello di scaricare le tensioni con l’esercizio fisico: è sufficiente anche una passeggiata, preferibilmente nella natura, per restituirci un po’di serenità e farci tornare in contatto con noi stessi. Se però questo tipo di ansia si “deposita” su un soggetto già ansioso per natura, scatenando pensieri ossessivi e fobie di vario tipo, meglio chieder aiuto a un esperto. Informiamoci sì, ma in modo consapevole. Le immagini violente, le urla in tv, gli alert senza filtro terrorizzano e non aiutano ad avere un quadro più realistico e, dunque, a essere più razionali. Questa esposizione mediatica rende vulnerabili e l’effetto è contagioso: è come vivere e rivivere di continuo la tragedia».
Viaggi in aereo, partecipazioni a eventi in luoghi affollati possono diventare causa di stress: come fronteggiarlo?
«Impariamo a usare la “respirazione”. Profonda diaframmatica. Serve a ossigenare il cervello, con una introduzione di ossigeno maggiore di una respirazione superficiale: permette una maggiore eliminazione dal nostro corpo di anidride carbonica, sostanza responsabile di attivare, nel sistema limbico, l’attività dell’amigdala (che interviene nella regolazione delle emozioni e soprattutto delle risposte di ansia e di paura) con conseguente alterazione del cortisolo (conosciuto come “ormone dello stress”). Si può cercare di ridurre la tensione, condividendo, per esempio, le nostre sensazioni con un vicino sul treno o in aereo: parlare. Non esiste mezzo migliore per allentare l’ansia che condividerla. Scopriremo, infatti, di non essere gli unici a sperimentare l’ansia, ma che questa è ben presente in tanti di noi».
A poche ora dagli attacchi terroristici, task force di psicologi dell’Associazione EMDR Italia sono partiti per Tunisi e poi per Bruxelles e Parigi per assistere i superstiti, i feriti, i familiari che hanno perso i loro cari, gli amici. In che cosa consiste la tecnica EMDR?
«Acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing cioè desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, EMDR rappresenta una delle maggiori novità apparse nel panorama scientifico della psicoterapia che risulta particolarmente rapida ed efficace per il trattamento dei disturbi post traumatici, come è già stato riconosciuto dall’Oms nel 2013. Questa metodologia è stata creata nel 1987 da una psicoterapeuta americana, Francine Shapiro, e agisce sul ricordo del trauma attraverso i movimenti oculari. In parole semplici: quando si vive un’esperienza traumatica e dolorosa, il ricordo di quel vissuto traumatico si congela un po’ come se si fermasse il tempo: il ricordo continua a cortocircuitare nel nostro cervello, generando ansia e una serie di sintomi spiacevoli. Attraverso la stimolazione oculare, il materiale mnestico viene “trasportato” dalla corteccia prefrontale, zona dove il ricordo rimane disturbante, alla corteccia occipitale dove viene scongelato, e disattivato nelle sue componenti emotive e ansiogene. Dopo la terapia EMDR i pazienti ricordano l’esperienza vissuta ma sentono che fa ormai parte del passato».
Immagini choc, vittime, persone disperate. Come spiegare ai più piccoli la violenza del terrorismo?
«La verità va raccontata, sarebbe sbagliato mascherarla, nel tentativo di proteggerli, ma è bene renderla accettabile alle menti in maturazione dei bambini, senza esagerare con le spiegazioni, nella convinzione di “fare meglio”. Perché i piccoli sanno, ascoltano, percepiscono le atmosfere. Occorre poi tutelarli da immagini e contenuti eccessivamente aggressivi o violenti. Così, quella che può sembrare una banalità, non lasciare il bambino solo davanti alla televisione, è il migliore consiglio. E’ importante mettersi accanto ai piccoli e parlare. Dedicando loro tutto il tempo di cui hanno bisogno. In questo modo ci si offre come guida per aiutarli a decodificare le immagini, ma anche le loro stesse emozioni che devono essere comprese e contenute, e soprattutto condivise. Al contempo, occorre dare loro forti rassicurazioni, spiegando che i fatti tragici avvenuti sono eccezionali, e rassicurarli che le persone a loro vicine non li lasceranno mai soli e li proteggeranno da ogni tipo di pericolo. La maggior forma di sicurezza per un bambino si sviluppa all’interno di un clima familiare sereno, che garantisca una quotidianità rassicurante».
Quali sono le strategie che noi tutti, in quanto cittadini, possiamo mettere in atto, a livello comunitario?
«Non esiste più il senso di comunità. Abbiamo invece bisogno di sentirci in connessione con gli altri: la solidarietà è la forza con cui si riescono ad affrontare anche le situazioni peggiori. È l’esperienza che ci dice ciò: in occasione di disastri naturali ed eventi drammatici abbiamo assistito a reazioni che appartengono alla natura umana, come la generosità, l’eroismo, il coraggio, la fratellanza. Il problema è che l’insicurezza del nostro tempo rafforza il sospetto e la diffidenza, la paura dell’altro anziché la fiducia. Non ce ne accorgiamo, ma il nostro sguardo sul prossimo è già cambiato: notiamo come è vestito, come parla, il colore della pelle. Continuiamo a vivere in una specie di allarmata diffidenza. Il rischio è che queste sensazioni di angoscia, ansia e insicurezza sfocino anche in fenomeni irrazionali di xenofobia o razzismo, anche nei confronti di chi con l’Isis non c’entra nulla. Credo che nei prossimi anni dovremo fare tutti lo sforzo di imparare a conoscere e riconoscere le differenze e a valorizzarle, rispettandoci. Credo occorrerà lavorare nella scuola e con le famiglie per insegnarlo ai nostri ragazzi».
di Cristina Tirinzoni
COME EVITARE CHE LE REAZIONI DIVENTINO ATTACCHI DI PANICO
Il nostro cervello è una macchina ben organizzata. La paura è un’emozione fondamentale che fa parte del Dna. E’ fondamentale il ruolo dell’amigdala, la parte più primitiva del cervello, una sorta di sentinella che ci avvisa e ci protegge dal pericolo con un interrogativo, il più primitivo, avendo sempre come base la nostra sopravvivenza: “è una vera minaccia?”. Se la risposta è affermativa l’amigdala invia messaggi di emergenza e tutte le parti principali del cervello; provocando in noi degli effetti: il cuore comincia a correre, la respirazione avviene in modo più rapido, sudiamo, liberiamo ormoni dello stress (adrenalina). Poi ci sono le parti più “recenti” del cervello destinate alla capacità di autocontrollo e di programmazione: le zone frontali e prefrontali. Le bombe provocano un’inevitabile paura collettiva: questa risposta è fisiologica. Ed è giusto che sia così, la paura è sacrosanta. Queste reazioni, tuttavia, dovrebbero essere temporanee, altrimenti si rischia che da fisiologica la condizione diventi patologica. Che cioè la paura si trasformi in ansia generalizzata, o nelle sua forma più acuta in attacchi di panico. Si comincia ad avere timore a uscire, a frequentare il solito ristorante, a prendere l’aereo. Per poi finire per chiudersi in noi stessi, attivando una spirale di apprensione e angoscia, che si autoalimenta. L’ansia, contrariamente alla paura, non viene da un dato oggettivo di realtà, ma da dentro, e si allarga all’idea di un pericolo vasto, indistinto, non circoscritto, a cui spesso non riusciamo a dare un volto. Ecco perché è importante saper controllare tutto questo. (C.T.)