VIAGGI E VACANZE FANNO BENE AI RAGAZZI E AL RAPPORTO GENITORI-FIGLI

Vogliono viaggiare: andare all’estero, immergersi in altre culture per alimentarsi di esperienze nuove, percepite come un’occasione di crescita e conoscenza. Pur preservando, quando possibile, le proprie sicurezze: ad esempio un mezzo di trasporto tra quelli abitualmente utilizzati, preferibilmente l’auto o l’areo, che dia loro affidabilità (ma paradossalmente tendono a non indossare la cintura di sicurezza), o scegliendo come prima meta del loro espatrio una località in Europa, in Francia, Germania, Spagna o Svizzera. Sono alcune dei desiderata emersi da un’indagine nazionale, #TeenandTravel, condotta tra oltre 2mila ragazzi di terza media (12-14 anni) dal Laboratorio dell’Adolescenza e dalla Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (Sima) in collaborazione con diverse istituzioni che si occupano di viaggi o tutela dei giovani quali la Società Italiana di Cure Primarie Pediatriche, l’Osservatorio permanente sui giovani e Alcool e l’Avis.

Un’esigenza, quella del viaggio di evasione, sentita nella primissima adolescenza soprattutto dalle ragazze, dopo la voglia di un abito nuovo e dell’ultimo modello dello smartphone. Più tardivi e casalinghi i ragazzi che invece, a 12 anni, evadono dalla routine facendo attività sportive con gli amici (anche se nelle grandi città lo sport extra-scolastico sta diventando un lusso che non sempre ci si può concedere), condividendo qualche interesse con i compagni o “navigando” tra videogiochi e internet. «A questa età – spiega la dottoressa Alessandra Marazzani, responsabile dell’area psicologica “Laboratorio Adolescenza” – sono soprattutto le ragazze a sentirsi più coinvolte dalla relazione e dalla necessità di entrare in una dimensione sociale. Tanto che il primo viaggio verso spazi aperti, anche se virtuali, è rappresentato proprio dal telefono e dalla possibilità degli strumenti social oggi offerti, come Ask, Snapchat, Istagram e WhatsApp che consentono di essere sempre connessi con il mondo esterno, di uscire di casa, di essere visti e di sentirsi parte di un gruppo instaurando una relazione che inizia con lo stare insieme. I maschi si aprono all’idea del viaggio dai 16 anni in avanti, quando l’evasione si carica anche di un desiderio di trasgressione e di andare oltre il proprio limite».

Nonostante le proprie speranze e aspettative in tema di viaggi e vacanze, spesso gli adolescenti devono però fronteggiare le ansie e i timori dei genitori, dai più banali, come quelli correlati ai pericoli dei mezzi di trasporto. «Sarebbe invece opportuno – commenta Maurizio Tucci, Presidente del “Laboratorio Adolescenza” – che i genitori, avendone la possibilità, invitassero i loro figli a utilizzare ogni mezzo di locomozione per evitare che già da bambini e adolescenti costruiscano delle barriere psicologiche verso il sereno utilizzo di alcuni di essi rivelandosi, col tempo, un possibile handicap per la vita sociale, relazionale e lavorativa». Un’altra ansia dei genitori è il timore di problemi di salute in vacanza, di incidenti stradali o di essere derubati di oggetti personali (come il telefono su cui oggi vengono memorizzate tutte le informazioni), fino a comportamenti iperprotettivi, specialmente nei confronti delle ragazze, che vietano alle giovanissime di compiere viaggi in autonomia. Un’esperienza, quest’ultima, che in genere per le donne (rispetto al maschio) è rimandata alla maturità e all’ingresso di studi universitari. «Circa questa libertà femminile – commenta Tucci – molto sembra però dipendere dalla famiglia di origine: se il nucleo familiare è composto da entrambi genitori italiani, il timore che le ragazze non se la sappiano cavare in contesti di difficoltà è maggiore rispetto a figli di uno o due genitori stranieri, più aperti all’idea del viaggio e al fattore esperienza».

Sono di norma i genitori a scegliere il tipo di vacanza, al mare o ai monti, condividendo poi con i figli la preferenza del luogo, mentre nei confronti dei figli adolescenti occorrerebbe porsi in un atteggiamento di ascolto più generoso: «È fondamentale sapere come i ragazzi passano o desiderino passare il tempo libero – precisa il dottor Piernicola Garofalo, Presidente Sima – perché è un indicatore di attività creativa, ovvero rappresenta per il giovane l’opportunità per imparare a costruirsi qualche cosa da solo, esprimendo quanto di positivo c’è in loro stessi. Per un genitore è importante sapere con chi il proprio figlio va in vacanza e con chi invece vorrebbe andare, come sta, e soprattutto per quale ragione porti anche in un luogo di libertà, qual è la vacanza, ansie e timori, pensando se gli adulti non possono essere in parte responsabili di questo stato ansiogeno dei ragazzi». Ansie e timori che possono essere legati anche alla scelta del luogo: «Al mare – aggiunge Marazzani – i genitori non pongono limiti ai ragazzi perché si muovono in un territorio conosciuto, ma nel momento in cui si va verso una meta non nota, si è portati a porre ai giovani dei paletti che tolgono pensiero, libertà e fantasia, cioè tutto quel che costituisce l’aspetto desiderante per i ragazzi che passano da esseri pensati dai genitori a esseri pensanti con una propria volontà e autonomia».
Mentre il segreto, la chiave di volta, per coltivare un rapporto genitori-figli empatico, anche in una fase delicata come quella della prima adolescenza e in situazioni nuove, come la vacanza, è aiutarli a definirsi come esseri pensanti in viaggio verso la propria formazione e la vita: «Non si deve guardare la vacanza come un moto a luogo, quindi “dove andiamo” – conclude Simona Tedesco, direttore di Dove e mamma di un tredicenne – ma come un “perché” e un “che cosa” ci si porta a casa da un’esperienza condivisa genitori-figli. Una concezione che ha un duplice valore: quello da un lato di mettere le basi per iniziare a educare e a capire ciò che i figli amano e vorrebbero fare; dall’altro quello di considerare il viaggio come un investimento di cultura, sulla persona, sul rapporto genitori-figli. Infatti se l’obiettivo della vacanza è un viaggio, indipendentemente dalla destinazione vicina o lontana, in quel frangente, il rapporto tra genitori e figli diventa più stretto e intimo, rispetto a un soggiorno al mare in cui si continua a condurre vite parallele, ma non in comunione». Ecco che allora un viaggio può diventare un momento di famiglia, di genitorialità unita. Come sempre più di rado si vede accadere.

di Francesca Morelli

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