«Laura, 38 anni, aveva un tumore al seno. Dopo l’intervento allo IEO, poiché abitava lontano da Milano, è stata trattata con chemioterapia tradizionale in un ospedale vicino a casa. Ma dopo il primo ciclo di antracicline, ha avuto uno scompenso cardiaco fulminante che l’ha costretta a interrompere la chemio. E valori molto elevati (4 mila) del marcatore BNP di danno cardiaco anziché i 100 della norma. Dopo diversi ricoveri, è stata seguita nell’ambulatorio di Cardioncologia dello IEO dove finalmente si è riusciti a trovare una terapia giusta, con una combinazione di diversi farmaci che hanno controllato la malattia cardiaca. Oggi il suo cuore sta molto meglio, con una frazione d’eiezione del ventricolo sinistro, che è indice di funzione cardiaca, pari al 54% (i valori normali vanno dal 55% in su), rispetto al 15% all’epoca della chemioterapia. Adesso Laura sta bene e, se il suo tumore avesse recidive, potrebbe essere trattata con la chemioterapia, con l’aggiunta di una combinazione di farmaci per proteggere il cuore».
Come Laura, il 35% dei pazienti oncologici potrebbe sviluppare problemi cardiovascolari a causa dei trattamenti antitumorali: le malattie di cuore sono infatti la principale causa di morte nelle pazienti con tumore al seno, dopo i 50 anni.
Ne abbiamo parlato con la dottoressa Daniela Cardinale, direttore dell’Unità di Cardioncologia dell’Istituto Europeo di Oncologia, il primo centro in Italia ad avere un’unità dedicata alla cura delle patologie cardiovascolari nei pazienti oncologici, che ha messo a punto precisi protocolli di trattamenti, che saranno presto utilizzati in altri 21 centri in Italia.
Cosa si intende per Cardioncologia e perché l’esigenza di questa nuova disciplina?
«Cardioncologia è una neologismo coniato dai medici dello IEO per definire un nuovo ambito clinico e di ricerca medica, a cavallo tra le due discipline di cardiologia e oncologia. Abbiamo sentito l’esigenza di creare questa nuova disciplina perché molto spesso gli oncologi ignorano le problematiche cardiovascolari che i farmaci antitumorali possono provocare. E spesso il malato oncologico muore per i danni cardiovascolari piuttosto che per le conseguenze del tumore. A volte, invece, muore perché vengono interrotte le cure per controllare il tumore, proprio a causa della malattia cardiaca. La cardiotossicità delle cure oncologiche, soprattutto dei farmaci chemioterapici, è un problema che, nella pratica clinica viene diagnosticato troppo tardi, quando già c’è un danno funzionale al cuore. Per questo abbiamo sviluppato un nuovo approccio, per individuare in anticipo gli eventuali problemi cardiaci e somministrare farmaci in grado di bloccarli».
Ci sono campanelli d’allarme che potrebbero far pensare a un danno cardiaco, durante la somministrazione di farmaci antitumorali?
«La nostra Unità di Cardioncologia ha messo a punto procedure specifiche che prevedono la valutazione di alcuni biomarcatori cardiaci: la proteina Troponina e l’ormone BNP. Quando questi composti si alterano nel sangue è segnale evidente di sofferenza cardiaca e lo abbiamo evidenziato nel 15% dei pazienti, che nel nostro Istituto sono prevalentemente donne con tumore al seno, trattate con antracicline e trastuzumab. In questi casi viene somministrata, in associazione alla chemio, una terapia preventiva con Ace-inibitori e Beta-bloccanti per proteggere il cuore. Questo protocollo di trattamento ha permesso di azzerare, in dieci anni, l’incidenza di malattie cardiovascolari nelle pazienti trattate con chemioterapia».
Ci sono terapie oncologiche più dannose di altre per il cuore?
«Tutti i nuovi farmaci oncologici vengono oggi testati anche per un’eventuale tossicità cardiaca. Le chemioterapie tradizionali (antracicline), già usate nel passato, hanno evidenziato un elevato rischio di danno cardiaco. E, nelle donne con tumore al seno Her +, anche l’anticorpo monoclonale trastuzumab può determinare cardiotossicità. Le terapie ormonali (anastrozolo, letrozolo, exemestane) possono alterare il profilo lipidico e aumentare il rischio tromboembolico. L’immunoterapia sembra invece avere effetti meno tossici sul cuore. Anche la radioterapia può avere effetti dannosi: negli anni si è visto che le donne irradiate al seno sinistro hanno un maggior rischio cardiovascolare di quelle al seno destro. Più compromettente a livello cardiaco è la radioterapia mirata al mediastino, la zona dove si trova il cuore, come nel caso dei linfomi».
E’ dunque fondamentale valutare sempre il rischio di cardiotossicità per ogni paziente che inizia una terapia antitumorale, soprattutto in presenza di malattie cardiovascolari.
«Essendo in aumento le persone che vivono più a lungo e sopravvivono anche a malattie oncologiche (i cosidetti “survivors”), che hanno però maggiori comorbilità, non possiamo permetterci di dover rinunciare a trattarle con terapie più efficaci, ma a volte più aggressive. Per questo è fondamentale l’approccio medico integrato tra oncologo e cardiologo per curare il paziente in modo più efficace e sicuro. Il protocollo speciale per questi pazienti prevede una stretta sorveglianza cardiaca, attraverso i biomarcatori, ma soprattutto il monitoraggio constante dell’oncologo e del cardiologo. Con questo protocollo di cura, che prevede l’uso di farmaci protettivi sul cuore come Ace-inibitori e Beta-bloccanti, sono stati trattati nel nostro Istituto 350 pazienti con malattie cardiache preesistenti al tumore, con risultati molto incoraggianti: le cure oncologiche sono state somministrate senza alcun impatto negativo sull’apparato cardiovascolare. Ci auguriamo che questo protocollo venga applicato nei 21 centri che hanno aderito a questa nostra proposta, da estendere a tanti altri centri, per garantire le migliori condizioni di cura a tutti i malati oncologici».
di Paola Trombetta