Donne uccise da mariti, fidanzati, ex partner. Il numero delle vittime è talmente alto da giustificare la definizione di femminicidio che ormai popola le nostre cronache quotidiane. Il motivo, sempre lo stesso a quanto sembra: non voler la fine di un rapporto, la libertà femminile. E molto si discute delle vittime, delle loro paure, delle loro reticenze, oppure di quante volte avevano già denunciato le violenze. E non si affronta invece ancora abbastanza un altro aspetto del problema: la psicologia dei maschi che picchiano, maltrattano e uccidono. Cosa c’è nella loro mente? Un film-formazione racconta ai medici come nasce un femminicidio. Un uomo afflitto da un disturbo di personalità si trova a dialogare con il suo alter-ego allo specchio per cercare di ricostruire l’omicidio della sua fidanzata. In questo duello tra le sue due personalità emergono ricordi, in forma di flashback, sepolti nel suo inconscio che lentamente vanno a svelare la vicenda in un crescendo emotivo e di tensione. È questa la trama di “Echoes”, cortometraggio diretto da Andrea La Mendola, vincitore di tanti premi in prestigiose rassegne internazionali come il “Santa Monica Film Festival” e i “Los Angeles Movie Awards”, incentrato proprio sul drammatico tema della violenza sulle donne. Il cortometraggio è collegato a un corso FAD (Formazione a Distanza) promosso dal provider Sanità in-Formazione, in partnership con Consulcesi Club (offre assistenza legale e formativa a oltre 70mila medici, è tra la prime in Europa), proprio per aiutare il personale medico a diagnosticare e prevenire sintomi e segnali di disturbi psichici che possono sfociare in manifestazioni di violenza quali, ad esempio, lo stalking i maltrattamenti, l’omicidio.
«Di fronte alla escalation della violenza, dopo un 2016 che ha visto salire a 117 gli episodi di femminicidio e registrare 3,5 milioni di vittime di stalking (fonte ISTAT), assume sempre maggiore importanza il lavoro di prevenzione che possono fare i medici, individuando sintomi e segnali di stati patologici che possono sfociare in feroci atti di violenza», osserva il responsabile scientifico del corso, il professor Vincenzo Mastronardi, psichiatra e criminologo clinico, titolare della cattedra di Psicopatologia Forense presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Roma “La Sapienza”. «La riflessione sulla violenza di genere e il femminicidio da una prospettiva sociale e politica è largamente dibattuta, a nostro avviso, però ci sembra necessaria, anche un’attenta analisi psicologica. Lungi dal giustificare gli atti di violenza o in qualche modo “discolpare” i colpevoli, questa prospettiva può essere di grande aiuto proprio per ottenere una comprensione migliore del fenomeno e per contrastarlo più efficacemente. I cosiddetti femminicidi non arrivano inaspettati, all’improvviso, ma sono preceduti da una serie di comportamenti che costituiscono altrettanti segnali di rischio e quindi possono essere analizzati e riconosciuti».
Non c’è però il rischio che la “psicologizzazione” della violenza, la sua riduzione a “patologia individuale da curare”, porti a lasciare in ombra, come nodo profondo, la natura culturale e strutturale della violenza maschile? «Siamo convinti che le due spiegazioni (sociale/politica e psicologica) siano compatibili, e che anzi sia importante lavorare su entrambi questi aspetti. Dietro la violenza c’è sempre un disagio, spesso negato e rimosso grazie alla complicità della cultura maschilista che lascia emergere l’istinto violento e disattiva i freni inibitori».
Un uomo violento è quasi sempre un uomo cresciuto in un ambiente violento, una persona che non ha acquisito gli strumenti necessari a gestire la propria rabbia ed emotività, che non ha imparato a negoziare il controllo e il potere in modalità sane e condivise. È quanto emerge dagli studi di ricerca più recenti in ambito internazionale: «Nella stragrande maggioranza dei casi, c’è un’incapacità di stare nella relazione, di gestire conflitti, solitudini, paure d’abbandono», conclude Mastronardi. «A tutto questo, bisogna aggiungere una diffusa incapacità a provare, esprimere, governare le proprie emozioni in maniera adeguata, a saper riconoscere l’altra/o, a entrare in relazioni empatiche…, arrivando fino alla crisi di autostima e valori esistenziali che fa leva su un disagio diffuso, reale e lo interpreta in un modo distorto».
di Cristina Tirinzoni
I centri “per lui”, contro la cultura della sopraffazione e dell’abuso
Se l’obiettivo più importante rimane cambiare la cultura della violenza all’interno della società, in modo da operare sulle radici del fenomeno e interrompere la sua “trasmissione” alle nuove generazioni, è altrettanto fondamentale aiutare gli uomini violenti, maltrattanti, abusanti. I centri che offrono supporto agli uomini violenti, a chi li “subisce” e a chi è preoccupato per loro, non sono ancora molto numerosi in Italia ma si stanno gradualmente diffondendo. Sono quei posti dove si affacciano gli uomini che hanno raggiunto la consapevolezza di fare del male. Sono luoghi dove gli uomini si lasciano aiutare, centri dove trovano ascolto e attraverso percorsi riabilitativi seguiti da esperti psicologi psicoterapeuti e sociologi, ricevono gli strumenti per cambiare. Perché cambiare si può, con la conquista della consapevolezza del suo problema. L’Italia in questo campo si è mossa con grande ritardo rispetto al panorama internazionale. Ma qualcosa negli ultimi anni è cambiato, e il quadro è oggi in pieno movimento. Perché senza un “lavoro” sugli uomini, è impossibile estirpare la piaga della violenza di genere. Da segnalare anche gli interventi nelle carceri con i maltrattanti, gli stalker, i sex offender: alla casa di reclusione di Bollate, di San Vittore, di Opera, ma anche al Regina Coeli di Roma. Quando la donna trova il coraggio di denunciare, il partner viene spesso condannato a pochi anni di detenzione che tra indulti e sconti di pena finiscono per essere un periodo irrisorio. E il numero sui recidivi degli autori di violenza è straordinariamente alto: otto uomini su 10 ripetono l’abuso, su altre donne. Il lavoro della giustizia risulta quasi inutile. Perché il carcere da solo non è una risposta al problema: ci vogliono terapie psicologiche per i violenti affinché diventino capaci di amore e di rispetto per le donne. Per avere la mappa dei centri dedicati, in tutta Italia, basta entrare in internet e cercare alla voce “centri per uomini maltrattanti”. C.T.