Sono un centinaio i tipi di tumore che possono essere individuati precocemente con un particolare test, denominato SCED (Solid Cancer Early Detection) o anche “biopsia liquida”. Con un semplice esame del sangue si possono evidenziare anche poche cellule (1-10 in un ml di sangue) quando ancora la massa tumorale non è visibile ai mezzi diagnostici, e analizzare così più di 50 geni e 2mila mutazioni dei tumori solidi. «La maggior parte di questi tumori sono asintomatici nelle fasi iniziali, ma i processi di divisione cellulare e di proliferazione possono rilasciare nel sangue tracce di DNA cellulare del tumore», spiega il dottor Luca Quagliata dell’Istituto di Medicina, Genetica e Patologia dell’Università di Basilea, dove è stato validato questo test. «Uno dei più importanti studi di patologia biomolecolare, di recente presentato al congresso ASCO (American Society of Clinical Oncology) di Chicago, ha analizzato campioni di sangue di 15mila pazienti con 50 diverse forme di tumori (polmone, mammella, colon-retto e altri) e ha confermato il ruolo predittivo di questo test».
A chi potrebbe essere allora consigliato? «Alle persone che hanno familiarità per alcuni tipi di tumori, o presenza in famiglia di alterazioni genetiche, come BRCA 1 e 2 o P 53», risponde il dottor Mario Rosselli, direttore dell’Oncologia Medica dell’Università Tor Vergata di Roma, dove ci sono i laboratori per effettuare queste analisi del sangue. «Ma anche a quei soggetti che hanno condizioni precancerose o presenza di fibroadenomi, come quelli alla mammella, per valutarne l’evoluzione. Questo test viene anche proposto per monitorare i cambiamenti di una massa tumorale e per proporre eventuali opzioni di trattamento. E’ particolarmente utile nella pratica clinica per evidenziare nel tempo la comparsa di resistenze alle terapie a bersaglio molecolare e poter ottimizzare così la cura». «Per questo il test deve essere prescritto dall’oncologo e non esclude il ricorso a metodi diagnostici tradizionali e un’eventuale biopsia del tessuto da analizzare», aggiunge il dottor Daniele Mazzocchetti, della Bioscience Genomics, l’azienda che ha sperimentato il test e che è presente con i suoi laboratori all’Università Tor Vergata di Roma, al San Raffaele di Milano e all’Ospedale di San Marino. «Attualmente non è ancora rimborsato dal SSN e i costi sono intorno alle 700 euro per il livello diagnostico iniziale e 1.500 per un livello più approfondito».
di Paola Trombetta
Il cancro alla prostata riconosciuto con l’olfatto canino
È stato presentato di recente alla Commissione Salute e Ricerca del Parlamento Europeo uno studio sulle potenzialità dell’olfatto canino nel diagnosticare il tumore alla prostata. Lo studio è stato avviato nel 2012 dal dottor Gianluigi Taverna, responsabile del Dipartimento di Urologia di Humanitas Mater Domini di Castellanza, in collaborazione con Fabio Grizzi dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e il colonnello Lorenzo Tidu, responsabile della Sezione di Medicina e Diagnostica canina del Centro Militare Veterinario di Grosseto (CeMiVet) e il patrocinio dallo Stato Maggiore della Difesa. La ricerca, pubblicata su prestigiose riviste internazionali, tra cui l’Annual Report on Prostate Diseases 2015 pubblicato dalla Harvard Medical School, si propone di verificare le potenzialità del sistema olfattivo canino nella discriminazione di odori organici umani complessi, al fine di sviluppare nuovi strumenti utili per la diagnosi precoce della neoplasia prostatica.
La prima fase dello studio ha analizzato i campioni di urine di oltre 900 persone, suddivise tra soggetti affetti da tumore prostatico e un gruppo controllo di pazienti sani o affetti da patologie non tumorali. È emerso che cani rigorosamente addestrati sono in grado di riconoscere la presenza di tumore della prostata con un’accuratezza del 98%, annusando un campione di urina ottenuto da soggetti affetti da tumori. «La scoperta interessante riguarda il fatto che il tumore alla prostata produce delle sostanze volatili specifiche, “VolatileOrganicCompounds” (VOCs), che il cane è in grado di riconoscere con estrema attendibilità. La sfida futura sarà quella di capire cosa il cane annusi, quale metabolismo cellulare o tissutale produca l’odore e/o sviluppare nuove tecnologie in grado di riconoscere i VOCs tumorali», spiega il dottor Taverna. P.T.