«Tutto è iniziato con sporadici annebbiamenti della vista e riduzione del campo visivo. Ma ho sempre dato la colpa al fatto che soffrivo di pressione alta. A un certo punto, però, la mia pressione è diventata ballerina: soprattutto di notte si abbassava all’improvviso. E i miei sintomi visivi erano peggiorati. A questo punto mi sono rivolta all’oculista. Dopo un’accurata visita, con valutazione del campo visivo e della pressione oculare, ecco la diagnosi: glaucoma, una malattia grave che mai avrei pensato di avere e che, a lungo andare, potrebbe anche portare alla cecità. Per fortuna oggi esistono cure in grado di rallentare la progressione della malattia». Così Luisa, che ha 60 anni, racconta la scoperta, quasi casuale, cinque anni fa, della sua malattia che oggi per fortuna risponde bene alle terapie.
Il glaucoma è una malattia cronica caratterizzata da un danno progressivo del nervo ottico e dalla conseguente alterazione del campo visivo. Colpisce circa un milione di persone in Italia ed è la causa del 12% dei casi di cecità, con una prevalenza di 5 a 1 nelle donne, soprattutto dopo i 50 anni: e questo fa ipotizzare chegli estrogeni siano fattori protettivi, come dimostrano alcuni studi condotti su donne in terapia ormonale sostitutiva che sembra proteggere dall’insorgenza di questa malattia. «Il principale fattore di rischio è l’aumento della pressione oculare, anche se non mancano casi di pazienti con pressione oculare normale», puntualizza il professor Luciano Quaranta, direttore del Centro per lo Studio del Glaucoma dell’Università degli Studi di Brescia, intervenuto a Roma al Congresso dell’Associazione Italiana per lo Studio del Glaucoma (AISG), in occasione della Settimana Mondiale del Glaucoma (12-18 marzo). «Diversi studi hanno dimostrato che la riduzione della pressione oculare nei pazienti con glaucoma è in grado di rallentare significativamente la progressione della malattia, ma non sempre riesce a fermarla. Le strategie per ridurre la pressione oculare includono l’uso di colliri con principi attivi in grado di diminuire la produzione di umore acqueo o di aumentarne il deflusso dall’occhio, trattamenti laser o chirurgia». Tra le novità terapeutiche sono oggi disponibili in Italia un collirio, a base di travoprost, con una nuova formulazione che ha ridotto del 25% la quantità di principio attivo; e la combinazione (brinzolamide/brimonidina tartrato) che riduce la pressione interna dell’occhio in modo più efficace della sola monoterapia. «Questa associazione si distingue dalle precedenti in uso per l’assenza di betabloccanti», fa notare il professor Stefano Gandolfi, ordinario di Malattie dell’Apparato visivo all’Università degli Studi di Parma. «Un vantaggio per i pazienti che hanno problemi respiratori o gravi disturbi del ritmo cardiaco, per i quali l’uso dei betabloccanti potrebbe peggiorare la loro situazione clinica. Per questo è opportuno ribadire che il glaucoma, pur non potendo guarire, può essere controllato. E la terapia è tanto più efficace quanto la diagnosi è precoce. Ecco dunque perché è importante effettuare una visita specialistica oculistica completa dopo i 45 anni, da ripetere ogni 4/5 anni».
Un nuovo filone di ricerca. I più recenti studi hanno evidenziato che non sempre la riduzione della pressione oculare è di per sè sufficiente a rallentare l’evoluzione della malattia. Sulla base di queste osservazioni si tende oggi a considerare il glaucoma come una forma di neurodegenerazione primaria delle cellule ganglionari retiniche. Negli ultimi anni, alla luce delle similitudini tra il glaucoma e altre neurotticopatie, la ricerca si è concentrata sulla funzione mitocondriale e sulle sue alterazioni. Il glaucoma porta a morte precoce le cellule ganglionari attraverso diversi meccanismi tra cui lo stress ossidativo, la neuroinfiammazione e la disfunzione mitocondriale. «Le cellule ganglionari retiniche sono ricche di mitocondri necessari a produrre energia per la conduzione nervosa. La riduzione nella produzione di energia e l’aumento della produzione di radicali liberi a livello mitocondriale è da considerarsi un meccanismo chiave nell’eziopatogenesi del glaucoma», spiega il professor Quaranta. «Ecco perché nuove ricerche stanno puntando ad altri approcci terapeutici che agiscano proprio sulla cellula ganglionare della retina per impedirne la degenerazione». Tra le varie sostanze ad azione anti-ossidante e bio-energetica, il Coenzima Q10, noto anche come ubiquinone, è considerato promettente per il trattamento del glaucoma. «Si tratta di una molecola simile a una vitamina presente in molte cellule a livello mitocondriale. Alcuni studi clinici hanno dimostrato che il Coenzima Q10 esercita un’attività neuroprotettiva ed è stato ampiamente studiato in varie forme di malattie neurodegenerative come il Parkinson, l’Alzheimer, la corea di Huntington e la SLA», aggiunge il professor Quaranta. Il coenzima Q10 è oggi riconosciuto dalla comunità scientifica come un possibile approccio nel contrastare i complessi meccanismi di danno causati dal glaucoma.
Per confermare l’importanza di questo nuovo approccio terapeutico, in occasione della Settimana Mondiale del Glaucoma, è stato annunciato – nel corso di un Simposio svoltosi nell’ambito del primo Congresso dell’Associazione Italiana Studio Glaucoma (AISG) a Roma – l’avvio del primo studio italiano indipendente sulla neuroprotezione nel glaucoma che sarà coordinato del professor Quaranta. Lo studio durerà tre anni e coinvolgerà più di 600 pazienti e 14 centri per il trattamento del glaucoma in tutta Italia. L’obiettivo dello studio è quello di verificare se effettivamente l’aggiunta del Coenzima Q10 alla terapia ipotonizzante sia in grado di rallentare la progressione del danno anatomico e funzionale indotto dal glaucoma. «I soggetti con malattia in fase iniziale o moderata sono spesso asintomatici e sviluppano disturbi della visione negli stadi più avanzati della malattia», conclude il professor Quaranta. «Per questo è necessario studiare strategie che possano funzionare in sinergia con i farmaci ipotonizzanti, per rallentare la progressione della malattia verso le forme più gravi di disabilità visiva fino alla cecità».
di Paola Trombetta