La scena si presenta ormai ovunque: tra i tavoli di un ristorante, in metro, al parco, al cinema. Tutti con lo smartphone in mano. La testa china sullo schermo, troppo presi a “interagire” con il cellulare più che con la persona che ci sta accanto e ci sta parlando. L’impulso di vedere chi ha scritto e di rispondere agli sms, alle mail o ai messaggi di Whatsapp è più forte di tutto. Anche dell’attenzione da dedicare al partner. Gli studiosi, impegnati a osservare questo fenomeno dell’era digitale in rapida (e maleducata) ascesa, per definirlo precisamente, hanno coniato un nuovo termine: phubbing. Deriva dall’unione di phone (telefono) e snubbing (trascurare): indica infatti l’atto di trascurare qualcuno, mentre si è in sua compagnia, per controllare compulsivamente lo smartphone.
Il phubbing è più diffuso di quanto si pensi. Tutti ne siamo stati contagiati, chi più chi meno. Ne abbiamo parlato con Albana Loka, psicologa, responsabile e direttore tecnico della sede S.I.I.Pa.C di Bolzano (Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive).
Il phubbing è una forma di maleducazione? Una nuova dipendenza? O cos’altro?
«Questo fenomeno racconta soprattutto la difficoltà che oggi abbiamo a stare nelle relazioni. Ci sentiamo soli, ma abbiamo paura dell’intimità. Mentre i legami richiedono impegno, le connessioni digitali – cellulari, tweet e-mail – ci danno l’impressione di essere sempre in compagnia di qualcuno, senza sforzi, muovendo solo un dito. Insicuri nelle relazioni, che sono per loro natura complicate, cerchiamo nella tecnologia dei modi per instaurare rapporti e al tempo stesso proteggerci da essi. I legami sono stati sostituiti dalle “connessioni” che ci fanno sentire in compagnia, senza che gli altri ci chiedano nulla in cambio. Insomma il phubbing è più un sintomo che una causa. Esprime, ma non risolve, questo problema di fondo: la relazione con l’altro».
Non è corretto allora prendersela con lo smartphone?
«La tecnologia, di per sé, non è da demonizzare: ha facilitato enormemente la gestione di molti aspetti della nostra vita e il valore delle potenzialità che ci offre ogni giorno è prezioso. E nemmeno il nostro comportamento è da demonizzare, ma da osservare e comprendere. Le tecnologie digitali esercitano il loro potere seduttivo in modi sempre più accattivanti. Un motivo per cui ci dedichiamo al phubbing è che rivolgere l’attenzione al telefonino ci toglie dall’imbarazzo di tante situazioni tipiche delle relazioni, come il non saper cosa dire, il dover affrontare emozioni che preferiremmo evitare, il dover guardare negli occhi gli altri. Lo smartphone ci offre tante “vie di fuga”: ogni volta che la conversazione perde d’intensità e interesse, per evitare l’imbarazzo di una pausa, di un silenzio durante una conversazione… Ma a volte ci immergiamo nello schermo del nostro cellulare per rispondere a un bisogno sempre crescente di una sovrastimolazione di novità ».
Cosa possiamo fare?
«Non si può tornare indietro, ormai lo smartphone è parte integrante della nostra mente, quindi di noi stessi, ma come ogni altra tecnologia, va relativizzato, dominato, utilizzato criticamente. Si tratta di trovare un rapporto più equilibrato. Tra i momenti dedicati al cellulare e quelli dedicati alla comunicazione, quella verbale, semplice, per recuperare forme di dialogo e interazione più “umana”. La responsabilità di qualsiasi eccesso è unicamente nostra e non del dispositivo. C’è un tempo per connettersi e un tempo per disconnettersi».
Non sappiamo più comunicare guardandoci in faccia?
«Distrarsi temporaneamente mentre si conversa, spostare lo sguardo o allentare l’attenzione dalla persona con cui si è in relazione, non è mai stato sinonimo di patologia. Però, sempre più spesso sento dire: “Preferisco messaggiare che parlare”. Di fatto ci guardiamo sempre meno negli occhi mentre, paradossalmente sono i nostri cellulari, a guardarci (display e schermi sempre accesi), a parlarci (social network e messaggi). La connessione però non è dialogo: manca l’attenzione emotiva all’altro. Ma possiamo tornare a incrociare i nostri sguardi se li solleviamo per un attimo dallo schermo».
Secondo diversi studi la disattenzione causata dall’uso del cellulare contribuisce a creare nella coppia insoddisfazione, inadeguatezza, frustrazione ansia da abbandono…
«È il Phubbing che porta una crisi in una coppia, o è il malessere di fondo nella coppia che spinge ad abusare dello smartphone? Entrambe le spiegazioni sono plausibili. Naturalmente, cosa sia la causa o l’effetto non può essere determinato con certezza. Ci sono diversi motivi per cui le coppie insoddisfatte scelgono la zona confort del telefonino per comunicare con il partner: così non ci si deve impegnare né riflettere sul rapporto».
Quindi la connessione costante è un modo di sfuggire ai problemi reali nella coppia?
«Se ci accorgiamo che lo smartphone è diventato una presenza ingombrante nella nostra relazione, persino nel letto, forse è il momento di chiederci se non sia il campanello d’allarme di qualcosa che non va. Spesso molte coppie – o uno dei membri – si adagiano. Si abbandonano a una stanca sopravvivenza sulla quale aleggia il fantasma della noia. La routine esiste, ma spesso non si fa abbastanza per contrastarla».
di Cristina Tirinzoni