«Avevo 28 anni quando sono comparsi i primi sintomi: soprattutto affanno e mancanza di respiro mentre salivo le scale. Non ho dato importanza: anzi mi sono iscritta a una palestra perchè pensavo di dovermi allenare di più. Poi mi sono sposata e due anni dopo ero incinta. Al quinto mese di gravidanza ho avuto una fortissima emottisi e sono andata in scompenso cardiaco. Ho partorito pre-termine con cesareo e per fortuna mia figlia era sana. Ma dopo diversi esami, la diagnosi infausta: ipertensione arteriosa polmonare, una malattia di cui si sapeva molto poco, se non che aveva una sopravvivenza di pochi anni. Ero letteralmente sconvolta! Avere appena avuto una bimba e non essere sicura di poterla vedere crescere, andare a scuola, è stata un’esperienza davvero traumatizzante! E invece ho visto mia figlia diventare adulta, andare all’università, sposarsi e sono persino diventata nonna! Purtroppo oggi alle donne affette da ipertensione arteriosa polmonare viene sconsigliata la gravidanza, per i gravi rischi che potrebbe comportare. All’epoca non si conosceva questa malattia, non c’erano farmaci per curarla, nè centri specializzati, o associazioni di pazienti a cui rivolgersi. Per mia fortuna, data la giovane età, sono stata inserita in uno studio clinico all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna per la sperimentazione di un farmaco, somministrato per endovena, che ha rallentato il decorso del mio male. Ero comunque in lista d’attesa per il trapianto di entrambi i polmoni, intervento che avvenne nel 2002. Da allora sono sempre stata bene, nonostante i farmaci antirigetto che sto assumendo da tanti anni. E ho voluto impegnarmi nelle iniziative promosse dall’Associazione Pazienti della mia città, Udine, per aiutare quanti si trovano nelle mie stesse condizioni. Oggi sono anche presidente dell’Associazione Pazienti Europea (European Pulmonary Hypertension Association- www.phaeurope.org) diffusa in 33 Paesi che promuove molte attività di informazione e sensibilizzazione, come la Giornata mondiale dell’Ipertensione Arteriosa (5 maggio)». Così Pisana Ferrari (nella foto), oggi manager 60enne che viaggia in mezzo mondo, facendo una trentina di voli all’anno, ha raccontato la sua malattia, oggi condivisa in Italia da circa 3 mila persone.
«Si tratta di una patologia che pochi conoscono: è considerata “rara” e “orfana di diagnosi”, perché spesso viene diagnosticata dopo anni dalla comparsa dei sintomi», fa notare Leonardo Radicchi, presidente AIPI (Associazione Ipertensione Polmonare Italiana). «Anche nel mio caso i primi campanelli d’allarme (affanno e mancanza di respiro) sono stati sottovalutati. Ero considerato un bambino “pigro” e la diagnosi iniziale è stata “asma da stress”. Ci sono voluti diversi anni per riuscire ad avere una diagnosi corretta. Ed altrettanti per trovare una cura efficace e mirata. Per sensibilizzare le persone e i medici, in particolare quelli di famiglia, a questa malattia abbiamo aderito, come Associazione, alla Giornata Mondiale, in occasione della quale sono state presentate in anteprima alcune scene del cortometraggio “A corto di fiato”, realizzato dal giornalista Marco Strambi, con il patrocinio delle due associazioni AIPI e AMIP (Associazione Malati di Ipertensione Polmonare, e il contributo di MSD Italia. Fino al 31 maggio si potranno inviare le proprie testimonianze di malattia, registrate in video. Per informazioni: www.acortodifiato.it».
«Oggi consideriamo un grande successo il fatto che l’ipertensione polmonare sia stata inserita nei nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e speriamo che questo riconoscimento sia effettivo in tutte le Regioni per quanto riguarda la diagnosi e le terapie, in modo che ciascun paziente possa ricevere le cure migliori possibili», aggiunge Vittorio Vivenzio, presidente dell’Associazione AMIP.
«Esistono cinque forme di ipertensione polmonare che non sempre vengono diagnosticate e comunque dopo una media di almeno due anni», conferma il professor Michele D’Alto, responsabile del Centro sull’Ipertensione polmonare della Cardiologia dell’Ospedale Monaldi di Napoli. «Spesso il paziente deve sottoporsi a diversi esami (ecocardiogramma, spirometria, Tac al torace, scintigrafia polmonare) prima di individuare la malattia e poter trovare una cura. Oggi per alcune forme di ipertensione polmonare, come quella arteriosa, che prima aveva come unica possibilità di cura il trapianto, esistono nuovi farmaci che hanno nettamente migliorato (dal 50 al 75% a cinque anni) la sopravvivenza».
Tra le opzioni terapeutiche, il riociguat, capostipite di una nuova classe di farmaci da poco in uso clinico. «Si tratta di un principio attivo che aumenta la produzione di guanosil-monofosfato ciclico, un enzima correlato alla secrezione di ossido nitrico, che contribuisce a mantenere dilatate le pareti dei vasi arteriosi polmonari», spiega il professor Carmine Dario Vizza, responsabile del Centro Ipertensione polmonare del Policlinico Umberto I – Università La Sapienza di Roma. «Nell’ipertensione polmonare entrambe queste sostanze sono carenti».
Questo farmaco si è rivelato promettente anche nei pazienti over-70 che non posso subire un intervento chirurgico, quale l’endoarteriectomia polmonare, che è in grado di rimuovere l’ostruzione delle arterie polmonari. «Quando eseguivo questi interventi su 100 pazienti, 75 erano tecnicamente operabili, ma 25 avevano come unica possibilità il trapianto, che negli over-70 diventava però rischioso», puntualizza il professor Andrea Maria D’Armini, responsabile dell’Unità di Cardiochirurgia e Trapianti intratoracici e dell’Ipertensione polmonare del Policlinico San Matteo di Pavia. «Oggi per questi malati, si può utilizzare questa nuova opzione terapeutica che sembra dare buoni risultati anche nei casi di ipertensione polmonare cronica tromboembolica persistente o ricorrente, dopo intervento chirurgico».
di Paola Trombetta