Obesità e malattie cardiovascolari sono in aumento. Si mangia troppo e male: si vive più a lungo, ma si vive peggio. Un’alimentazione eccessiva e spesso squilibrata è alla base di quei processi infiammatori “silenti” che sono la principale causa di insorgenza di malattie croniche e invecchiamento cellulare. Per combatterle si può ricorrere alla “Positive nutrition: i pilastri della longevità”, come cita il titolo del libro di Barry Sears, biochimico americano, ideatore della Dieta Zona, scritto con Benvenuto Cestaro e Giovanni Scapagnini (Sperling & Kupfer; pag. 264), presentato in occasione del 4th International Congress Science in Nutrition, organizzato a Milano dalla Fondazione Paolo Sorbini, con il patrocinio di Regione Lombardia.
Cosa si intende per “Positive nutrition”? «Il termine deriva da un concetto della psicologia del “pensare positivo”, un approccio per vivere al meglio ed essere felici», spiega Giovanni Scapagnini, professore associato di Biochimica clinica presso il Dipartimento di Medicina e scienze della salute dell’Università del Molise. «Per questo non dobbiamo pensare alla dieta in modo restrittivo, con l’idea della privazione, di dover eliminare certi cibi. Piuttosto dovremmo pensare agli alimenti come fonte di sostanze che fanno bene all’organismo, quasi fossero farmaci che “curano” e migliorano lo stato delle singole cellule. Si pensi ad esempio agli acidi grassi omega-3, fondamentali dalla vita fetale in poi per lo sviluppo e la salute del sistema nervoso e di quello vascolare. Altri “nutrienti positivi” sono i polifenoli, che includono i flavonodi, gli isoflavoni, i tannini, il resveratrolo, le antocianine, contenuti soprattutto nella frutta e nella verdura. Queste sostanze stimolano i sistemi di riparazione cellulare, potenziano le difese antiossidanti endogene, ed inibiscono l’azione di molecole infiammatorie». I cibi diventano dunque “terapie naturali” e sono in grado di combattere quegli squilibri metabolici che provocano spesso stati infiammatori, all’origine di alcune malattie tra le più diffuse malattie croniche e soprattutto dell’invecchiamento cellulare.
«L’infiammazione può essere un’arma a doppio taglio», conferma Barry Sears, presidente della Inflammation Research Foundation. «Da un lato permette di difenderci da microbi e batteri. Dall’altro può attaccare i nostri stessi organi, accelerando l’insorgenza di malattie croniche. Per questo è importante tenerla a bada e lo si può fare soprattutto a tavola, mantenendola entro una zona controllata, con valori né troppo alti, né troppo bassi, riducendo l’apporto calorico in modo moderato. Una dieta corretta dovrebbe prevedere l’assunzione di carboidrati (40%), proteine (30%) e grassi (30%). Tra le scelte da privilegiare: carni bianche o pesce; carboidrati a basso carico glicemico (verdure non amidacee e frutta); aggiunta di grassi con piccole quantità di olio extravergine di oliva (circa 5 ml)». «In una dieta antinfiammatoria sono ovviamente da eliminare tutti i cibi che provocano infiammazione», puntualizza Benvenuto Cestaro, docente di Chimica biologica e Biochimica della Nutrizione alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano. «Tra questi gli acidi grassi idrogenati (prodotti da forno, di pasticceria, fast-food, margarina), gli acidi grassi saturi (carni rosse, latte, burro, formaggio) e gli acidi grassi omega 6 (da cui deriva l’acido arachidonico). Da privilegiare invece gli acidi grassi monoinsaturi (olio di oliva) e soprattutto i polinsaturi omega-3. Gli studi più recenti hanno evidenziato anche i benefici antinfiammatori degli omega-7, contenuti in abbondanza nell’olio di noce, nelle mandorle e nel cacao».
Altri lavori scientifici confermano gli effetti degli omega-3 e dei polifenoli nella cura del diabete. «Abbiamo da poco presentato un paio di studi alla Food and Drug Administration che dimostrano gli effetti degli omega-3 e della vitamina D ad alte dosi nella cura dei pazienti diabetici», aggiunge il professor Camillo Ricordi, direttore del Diabetes Research Institute and Cell Transplant Center dell’Università di Miami. «In alcune sperimentazioni si è visto che, usandoli in combinazione, si riesce a rallentare la progressione del diabete di tipo 1 e forse anche la progressione di alcune patologie autoimmuni come la colite ulcerosa». In questi casi il cibo diventa una vera e propria “terapia”. «Da qui il concetto di “Nutrizione funzionale”», spiega la dottoressa Sara Farnetti, specialista di Medicina interna e malattie del metabolismo e Assistant professor presso la Division of cellular Transplantation, Nutrition and Diabetes Programs alla Miller School of Medicine dell’Università di Miami. «Il cibo può diventare uno strumento preventivo e anche terapeutico: agisce come fosse un ormone che fa funzionare i meccanismi molecolari. Per stare bene in salute e affrontare una sana longevità, dobbiamo imparare a riprogrammare i nostri ormoni a tavola: il primo passo è ridurre l’insulino-resistenza, cercando di mantenere bassa l’insulina ad ogni pasto, assumendo alimenti come il cacao e le mandorle, che la tengono sotto controllo. Il secondo passo è combinare gli alimenti in modo “funzionale”, per agire in modo sinergico sui vari organi e apparati, riducendo accumuli di grasso che attivano quegli stati infiammatori, che sono alla base di patologie cardiovascolari, disturbi gastro-intestinali, metabolici e anche di malattie degenerative e tumori. Per mantenere gli alimenti “funzionali” è importante anche il metodo di cottura. Per esempio, la cottura in olio extravergine d’oliva delle verdure, abbinate alla pasta, è utile per ridurre il colesterolo: da un lato attiva la funzione biliare che elimina il colesterolo; dall’altro aiuta a modulare gli ormoni, primo fra tutti l’insulina, che influisce sulla produzione endogena di colesterolo LDL. Al contrario il bollito, che potrebbe sembrarci un metodo di cottura sano, in realtà ci fa perdere tanti nutrienti. Insomma, la cottura può cambiare il destino terapeutico degli alimenti. Uno tra i tanti esempi è la cipolla: da cruda ha azione ipoglicemizzante, mentre cotta sono iperglicemizzanti perché le cotture rendono più disponibili gli zuccheri contenuti».
di Paola Trombetta