È il sesto tumore più diagnosticato nelle donne e purtroppo quello con la percentuale più alta di mortalità (60-70%) che lo rende tra le prime cinque cause di morte nelle donne di età tra 50 e 69 anni. Anche se di poco, sembra comunque in diminuzione l’incidenza e la mortalità.
«Colpisce la donna anche sotto il profilo psicologico in quanto ne ferisce profondamente la femminilità e l’identità», puntualizza Nicoletta Cerana (nella foto a sinistra), presidente di ACTO onlus che ha aderito, insieme a un centinaio di Associazioni di 31 Paesi, alla Giornata Mondiale dell’ 8 maggio (vedi news con le iniziative). «Queste ferite psicologiche mettono a dura prova la capacità delle pazienti di affrontare la sofferenza fisica e di rispondere al meglio alle cure. Occorre pertanto aiutarle a superare non solo la malattia, ma anche i drammatici mutamenti estetici del corpo che ne accompagnano il percorso. Per questo, insieme a Roche, abbiamo promosso la Campagna: “Sguardi d’energia” che si avvale, a partire da oggi, di un partner d’eccezione, ZAO Organic Make-up, una linea di cosmetici bio, per realizzare ambulatori di maquillage all’interno dei numerosi centri oncologici».
In Italia 50 mila donne convivono con un tumore ovarico; le nuove diagnosi sono circa 6 mila all’anno. Secondo un’indagine condotta da ACTO onlus, 6 italiane su 10 non conoscono questa patologia, oltre il 70% ignora i sintomi e non sa a quali esami ginecologici dovrebbe sottoporsi per scoprirla in tempo. Per tale motivo la diagnosi nella maggior parte dei casi arriva tardi, quando la malattia è in fase avanzata. Per fare il punto sull’importanza della diagnosi precoce e capire come funzionano le nuove terapie, abbiamo intervistato la professoressa Nicoletta Colombo (nella foto a destra), direttore del Programma di Ginecologia Oncologica all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e professore associato di Ostetricia e Ginecologia all’Università di Milano-Bicocca.
Come incide la diagnosi tempestiva rispetto alla prognosi nelle donne colpite da questa patologia?
«Il tumore dell’ovaio rappresenta il 30% di tutti i tumori maligni dell’apparato genitale femminile, ma ne rimane la prima causa di morte. Questa neoplasia è ancora oggi poco conosciuta, persino dagli stessi medici, perché i sintomi sono aspecifici. I pochi segni in qualche modo collegati all’insorgenza di un carcinoma ovarico, quali gonfiore e dolore addominale, e difficoltà ad andare in bagno, se persistenti, dovrebbero indurre la donna a parlare con il proprio ginecologo, il quale a sua volta dovrebbe almeno considerare la possibilità di un tumore ovarico e sottoporre la paziente ad una visita ginecologica accurata e subito dopo a un’ecografia transvaginale. Qualora il dubbio fosse confermato, sarà opportuno eseguire una TAC e un prelievo di sangue per il dosaggio di alcuni marcatori tumorali come CA-125. Proprio perché si tratta di un tumore silente e subdolo, il 75-80% dei carcinomi ovarici diagnosticati sono già in fase avanzata di malattia. La diagnosi, quindi, solitamente è tardiva e arriva quando la malattia determina la comparsa di ascite, con un aumento repentino del volume dell’addome, oppure quasi per caso durante un normale controllo ginecologico. Ovviamente, una diagnosi tempestiva, quando la malattia è ancora allo stadio iniziale (I e II), sarebbe fondamentale. Infatti, quando il tumore è limitato all’ovaio, la prospettiva di guarigione cambia completamente e la sopravvivenza a 5 anni è del 70-90%».
Quali obiettivi terapeutici si pone lo specialista per la paziente con tumore ovarico nei diversi stadi?
«Nel carcinoma ovarico in stadio iniziale (I e II) l’obiettivo dell’approccio terapeutico è la guarigione, mentre nel tumore in stadio avanzato (III e IV) solo un 30% dei casi può guarire; per il restante 70% gli specialisti devono puntare sulla cronicizzazione, che oggi è possibile grazie alle migliori terapie disponibili. Dopo la diagnosi è fondamentale che la donna venga seguita da un Centro ad alta competenza per questo tumore. La prima tappa del percorso di cura è l’intervento chirurgico, che deve ridurre la maggior quantità possibile di massa tumorale. Il passo successivo è la chemioterapia di prima linea, che deve essere sempre prescritta. In qualche caso selezionato, la chemioterapia può essere somministrata prima dell’operazione, se il tumore è molto esteso o le condizioni generale della donna non sono buone; in tal modo il tumore si riduce e l’atto operatorio viene semplificato. Dal punto di vista dei trattamenti, l’evento più importante degli ultimi 20 anni è stato senza dubbio l’arrivo dei nuovi farmaci anti-angiogenici, che agiscono in modo mirato sul processo di vascolarizzazione: sappiamo che il tumore, per svilupparsi e crescere, libera una serie di sostanze, tra cui fattori di crescita vascolari, che stimolano la neoformazione di vasi. I farmaci anti-angiogenici agiscono in modo mirato sul fattore che promuove la crescita dei vasi sanguigni, limitando così la progressione del tumore e la metastatizzazione. Bevacizumab, il primo di questi farmaci a essere utilizzato contro il tumore ovarico, è in grado di assicurare tempi più lunghi in assenza di malattia, oltre al fatto di non essere gravato dagli effetti collaterali della chemioterapia. Grazie ai progressi della ricerca in ambito ginecologico, oltre agli anti-angiogenici, per le pazienti affette da tumore ovarico e con mutazione BRCA1 e 2, sono oggi disponibili anche nuove terapie, come i PARP inibitori, capaci di ridurre drasticamente la progressione del tumore. Sta per partire uno studio internazionale, al quale dovrebbero partecipare circa una decina di centri italiani, sul trattamento in prima linea del tumore all’ovaio con aggiunta di farmaci immunoterapici al bevacizumab e alla tradizionale chemioterapia. In particolare si sta sperimentando atezolizumab, che inibisce la molecola PD-L1 che blocca la risposta immunitaria. In questo modo dovrebbe essere potenziata la reazione anticorpale contro le cellule tumorali. L’immunoterapia con questo anticorpo monoclonale ha già dato incoraggianti risultati in alcuni tipi di tumori, soprattutto melanoma e polmone. E si spera che anche nel tumore all’ovaio funzioni e ne riduca la mortalità».
È vero che in questi ultimi dieci anni la mortalità per questo tumore e l’incidenza si sono, anche se lievemente, ridotte?
«Certamente la sperimentazione di nuove terapie ha migliorato la prognosi, riducendo anche se di poco (0,7%) la mortalità per questo tumore. E le nuove ricerche fanno ben sperare, anche se il tumore all’ovaio rimane uno dei più aggressivi e mortali nelle donne di età compresa tra 50 e 69 anni. Quando alla diminuzione di incidenza (1,4%) il merito è soprattutto legato all’utilizzo della pillola contraccettiva: nei Paesi dove la contraccezione è praticata da più tempo, si è evidenziata una più evidente diminuzione di incidenza di questo tumore. In Italia è stato di recente condotto uno studio dall’Istituto Mario Negri che conferma questi dati internazionali. Per avere questi benefici, il periodo di utilizzo della pillola dovrebbe essere di almeno 5 anni e più».
di Paola Trombetta