«Il gonfiore addominale è il sintomo che avverto in modo costante, seguito da coliche intestinali frequenti, spesso molto dolorose, al punto da provocarmi anche svenimenti. Un continuo fastidio, così potrei definire la mia malattia, capace di influenzare ogni scelta della mia vita quotidiana e di limitarmi fortemente nello svolgimento delle attività di tutti i giorni. Seppure di poco, negli anni ho imparato però a gestirla: ad esempio se dopo pranzo devo uscire, evito di mangiare, rimango a digiuno perché poi rischio di sentirmi male. Non pratico sport ed evito anche di andare in palestra, il più delle volte fonte di stress per il mio corpo. Ho avuto consapevolezza di quanto mi stava accadendo, nel periodo dell’adolescenza, ma la diagnosi certa di soffrire della sindrome dell’intestino irritabile, è arrivata solo negli ultimi 5-6 anni, dopo la prima colonscopia in cui venne appurato che il mio intestino era perfettamente sano. “Purtroppo non c’è cura, occorre imparare a convivere con questo problema”, mi venne risposto alla richiesta di avere una soluzione terapeutica, al mio malessere. Le uniche terapie dalle quali ho avuto giovamento sono quelle con integratori, aiutano ma non mi tolgono i problemi. Il fai da te non l’ho mai provato. A chi si trova in questa condizione patologica, dico che la cosa migliore da farsi è capire, conoscere il proprio corpo e soprattutto porre attenzione ai segnali di preavviso ai sintomi che devono indirizzare, al più presto, all’attenzione del medico». Così Silvia Nardecchia, 37 anni, romana, impiegata presso una società che fa manutenzione strade e igiene per amministrazioni pubbliche, racconta la sua esperienza di malattia, ovvero di quanto sia pesante convivere con la sindrome dell’intestino irritabile (Ibs – Irritable bowel syndrome): non un disturbo psicosomatico, ma una malattia gastrointestinale cronica a tutti gli effetti, in grado di condizionare la vita di chi ne è affetto (oltre il 7 per cento degli italiani, in prevalenza il sesso femminile), fino a sconvolgerla nelle sue manifestazioni più gravi.
Dolore addominale ricorrente, gonfiore, accompagnati da un’alterazione della funzione intestinale (diarrea, stitichezza o un’alternanza delle due condizioni), sono sintomi che la caratterizzano e che, nella maggior parte dei casi, è possibile tenere sotto controllo, con un regime alimentare corretto, imparando a gestire meglio lo stress e assumendo terapie farmacologiche adeguate. Un focus particolare sull’Ibs e sulle problematiche sanitarie che comporta, è stato fatto nel corso del convegno “La sindrome dell’Intestino Irritabile: malattia sociale tra complessità terapeutiche, innovazione e sostenibilità”, tenutosi di recente a Roma presso l’Istituto Superiore di Sanità (Iss), promosso da Public Health & Health Policy, rivista di economia e politica sanitaria.
«Purtroppo, sulle cause di questa patologia sappiamo ancora poco, malgrado siano state riscontrate numerose alterazioni, ognuna delle quali, però, non consente di identificare in modo univoco la malattia», afferma Enrico Stefano Corazziari, professore di gastroenterologia all’Università di Roma La Sapienza. “Molti studi ipotizzano una disfunzione del sistema immunitario, altri puntano il dito sulla ipersensibilità viscerale presente in molti pazienti». L’Ibs, considerata fino a qualche decennio fa una sorta di “proiezione” del cervello sul tubo digerente, è spesso trascurata. La diagnosi il più delle volte è tardiva perché pazienti e medici, spesso tendono a sottovalutare i sintomi. Di fatto vengono poi contrastati in modo inadeguato, con ricorso a rimedi “fai da te” o, ancora peggio, con suggerimenti trovati in rete.
«Oggi è dimostrato che la sindrome dell’intestino irritabile è una vera e propria patologia micro-organica», dichiara Vincenzo Stanghellini, professore ordinario di scienze mediche e chirurgiche all’Università di Bologna. «Come specialisti, abbiamo il dovere di diffondere quest’informazione. È necessario creare una partnership che veda il paziente adeguatamente informato e in grado di fare da ponte tra lo specialista e il medico di medicina generale, essendo così il vero protagonista del proprio percorso di cura». Fondamentale – sottolineano gli esperti al convegno – è quindi che questa patologia “dimenticata”, sia al più presto oggetto di una diversa e maggiore attenzione da parte del Servizio sanitario nazionale che renda più agevole l’accesso ai percorsi diagnostico-terapeutici e, almeno per i casi più gravi, alle terapie rese disponibili dall’innovazione. Sul fronte terapeutico, negli ultimi anni, per il trattamento dell’Ibs, sono stati raggiunti importanti traguardi, con la disponibilità a livello mondiale e anche in Italia, di farmaci innovativi che curano l’intera sintomatologia, come ad esempio la linaclotide che associa un effetto analgesico sul dolore addominale con un miglioramento anche della stipsi. Altre molecole, di aiuto invece per le forme Ibs con alvo diarroico, stanno per arrivare, già autorizzate nella comunità europea ma non ancora in Italia.
di Luisa Romagnoni
L’’intervista completa: