Forse c’è una speranza, anche se molto flebile, di mantenere in vita e poter migliorare le condizioni, che purtroppo da giorni appaiono disperate, del piccolo Charlie Gard, ricoverato al Great Ormond Street Hospital di Londra e al centro delle polemiche delle cronache di questi giorni. Si tratta di un protocollo di cura sperimentale, proposto dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma e sottoscritto da alcuni Istituti di ricerca internazionali che si occupano di Malattie rare. Dopo la disponibilità ad accogliere nell’Ospedale romano il piccolo Charlie, o di trasferirlo addirittura negli Stati Uniti, avendo ottenuto ieri la cittadinanza americana, si pensa anche di tentare questa terapia nell’Ospedale londinese dove il bimbo è ricoverato, anche perché il trasposto potrebbe comportare troppi rischi. A patto che l’Alta Corte inglese ne autorizzi la somministrazione.
La malattia di Charlie si chiama sindrome da “deplezione del Dna mitocondriale”. È una malattia genetica rara e colpisce solo poche decine di bambini nel mondo, alcuni dei quali da qualche anno sono curati con queste terapie sperimentali. Interessa i mitocondri, piccoli organelli che rappresentano però le centrali energetiche delle cellule. Ne esistono tre forme che colpiscono rispettivamente i muscoli, il sistema nervoso centrale, il fegato e il cervello. Nel caso di Charlie, viene tenuto in vita perché collegato a una macchina che mantiene le sue funzioni vitali. «Il protocollo di terapia da noi sottoscritto e condiviso da altri istituti a livello internazionale, consiste nella somministrazione di molecole, deossinucleosidi esogeni, simili ai “mattoni” del Dna, con mitocondri funzionanti che dovrebbero sopperire quelli alterati», puntualizza il professor Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. «La particolarità di queste molecole è che sono in grado di superare la barriera emato-encefalica e quindi potrebbero avere un effetto sull’encefalopatia che ha colpito Charlie. La sperimentazione di questa terapia ha dato buoni risultati in vitro, ma non ha ancora avuto riscontri nell’uomo. Per questo occorre la massima cautela nel prospettare soluzioni che non hanno ancora un riscontro clinico. Potrebbe essere però un estremo tentativo e Charlie sarebbe il paziente ideale. L’importante è che le condizioni del piccolo non siano così disperate perché l’organismo deve comunque essere in grado di reagire a queste sostanze che verranno somministrate. Siamo in attesa dell’autorizzazione dall’Alta Corte britannica per poter avviare questo protocollo sperimentale e poter dare un contributo alla ricerca, ma soprattutto alla vita di questo bambino».
«La missione del nostro Ospedale è proprio quella di mettere a disposizione della comunità scientifica le ricerche e le sperimentazioni condotte dai nostri ricercatori, con la soddisfazione dei risultati raggiunti, ma anche con la consapevolezza di riconoscere che nessuno è padrone della vita», ha sottolineato la presidente dell’Ospedale Bambino Gesù, Mariella Enoc, alla Conferenza di presentazione del resoconto sanitario e scientifico 2016, che si è svolta i giorni scorsi presso la Pontificia Accademia delle Scienze, alla presenza del Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin e del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin. «Dietro i numeri del bilancio dell’anno passato, ci sono i ragazzi curati e salvati, ci sono le tante malattie senza nome che qui vengono diagnosticate, ci sono i tanti bambini che non avrebbero potuto ricevere nessuna cura se l’Ospedale Bambino Gesù non avesse loro aperto le porte, ma soprattutto il cuore».
Per dare solo qualche cifra dell’attività di questo ospedale, nel 2016 sono stati eseguiti 339 trapianti di organi, di cui 167 di midollo, 67 di valvole cardiache, 29 di rene, 26 di fegato, 22 di cornea, 12 di cuore, 9 cuori artificiali, 11 membrana amniotica, 5 di polmone. Oltre alle normali procedure chirurgiche (circa 27mila interventi nel 2016) e altrettanti ricoveri ordinari. Per non parlare delle viste ambulatoriali e dei casi umanitari di pazienti stranieri seguiti. E soprattutto dei 9.600 pazienti “rari”, seguiti e assistiti dall’Ospedale che è stato nominato Centro di riferimento dell’Unione Europea per l’impegno sulle Malattie rare. E speriamo che anche il piccolo Charlie possa avvalersi di questa alta professionalità, accompagnata, non dimentichiamo, dalla profonda umanità presente in questo ospedale.
di Paola Trombetta