«Il nostro meraviglioso piccolo se n’è andato: siamo orgogliosi di te, Charlie». Sono le parole pronunciate da mamma Connie che, insieme al marito Chris Gard, in questi lunghissimi mesi, ha lottato, combattuto e sofferto per quelle condizioni fisiche del figlio che non miglioravano e per la barriera creata dai medici del Great Ormond Street Hospital di Londra e dai giudici dei tribunali inglesi, compresa la Corte europea di Strasburgo che, fin dal marzo scorso, aveva proposto di staccare il respiratore che teneva in vita il bambino. Decisione che è stata procastinata perchè i genitori si sono appellati all’Alta Corte britannica che ieri però ha ordinato di staccare il respiratore che teneva in vita il piccolo: si era ormai persa ogni speranza di poterlo curare con terapie sperimentali, proposte da un’equipe di medici internazionali, tra cui uno specialista del Bambin Gesù di Roma, che aveva addirittura ipotizzato di trasferire il piccolo nell’Ospedale romano.
Abbiamo seguito la vicenda con un articolo pubblicato l’11 luglio (→ Dal Bambin Gesù, forse una speranza per il piccolo Charlie) in cui sembrava esserci un barlume di speranza di poter utilizzare una cura sperimentale, mai testata sull’uomo, per bloccare l’evoluzione di questa rara malattia che colpisce il DNA mitocondriale, provocando un progressivo indebolimento dei muscoli e danni cerebrali. Purtroppo le condizioni del piccolo nei giorni scorsi si sono aggravate e non hanno reso possibile il tentativo di iniziare questa terapia. Le vicende legali hanno certamente fatto perdere tempo prezioso per poter mettere in atto una cura che, forse, avrebbe potuto prolungare la vita del piccolo. E la sentenza dei giudici dell’Alta Corte britannica ha pure impedito che Charlie potesse morire nella sua casa, tra le braccia dei genitori, come loro stessi avevano chiesto. E’ stato infatti deciso d’autorità il trasferimento in un hospice, specializzato per i bambini, e Charlie è stato staccato dal respiratore che lo teneva aggrappato alla vita.
Prima di ogni polemica e prima di ogni discussione, una pausa di silenzio è d’obbligo. Affinchè ognuno di noi possa riflettere di fronte al mistero della vita e della morte. La medicina è una scienza che ha dei limiti e non può fare miracoli. La giustizia non sempre tutela i diritti delle persone, in questo caso di un bimbo, che aveva comunque i giorni contati e dei suoi genitori che lo avrebbero voluto curare ad ogni costo e, cessata ogni speranza, almeno accompagnare alla morte nel conforto della loro casa.
Forse la cosa migliore che possiamo fare è una preghiera per questo piccolo Angelo che se ne va in cielo, innocente e libero, come nessuno di noi potrà mai comprendere.
Paola Trombetta