«Ritengo di essere stata fortunata, nonostante la mia malattia, l’artrite reumatoide, con la quale convivo da più di 40 anni. La diagnosi infatti è avvenuta a 14 anni, benché i primi sintomi fossero comparsi fin da bambina. Fatica fisica, difficoltà a muovermi, dolori alle articolazioni. E molti medici hanno sottovalutato questi sintomi, considerandomi semplicemente una bambina “pigra”. Finché un reumatologo “illuminato” fece la diagnosi di artrite reumatoide, un’infiammazione progressiva delle articolazioni che, se fosse stata diagnosticata prima, non avrebbe forse avuto le conseguenze irreversibili che purtroppo ha lasciato». È con rammarico che Antonella Celano, presidente di APMAR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare), racconta la storia della sua malattia invalidante, alla quale però si è abituata fin da bambina. «Mi considero fortunata, pensando ai molti casi di donne che, invece, si trovano all’improvviso di fronte ai sintomi invalidanti. Non riuscire a indossare le calze, ad allacciare le scarpe, ad aprire una bottiglia, gesti quotidiani che normalmente si fanno senza pensarci, è drammatico per chi si ammala all’improvviso di una forma particolarmente aggressiva che spesso costringe le persone a lasciare il lavoro. Ad essere compromessi sono anche i rapporti affettivi e la sessualità. E, in alcuni casi, si deve persino rinunciare a un eventuale progetto di maternità che, con questa patologia, diventa molto difficile da realizzare, anche perché richiede di sospendere alcune terapie. Uno studio americano ha addirittura dimostrato che, nelle donne con artrite reumatoide, il matrimonio finiva nel 70% dei casi. Per fortuna oggi abbiamo farmaci in grado di bloccare l’evoluzione della malattia e di consentire una vita quasi normale. Lo stato d’animo con cui la si affronta è fondamentale: l’importante è non sentirsi troppo medicalizzati o condannati! I farmaci esistono, sono efficaci e consentono una qualità di vita quasi normale che ti fa dimenticare di essere malata». «Per capire come stanno i miei pazienti, chiedo loro quante volte al giorno pensano alla malattia», puntualizza il professor Luigi Sinigaglia, Direttore della Reumatologia, del Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Gaetano Pini-CTO di Milano. «Se mi rispondono che se ne dimenticano spesso, vuol dire che sono sulla via della guarigione. Oggi esistono farmaci biologici mirati, sempre più personalizzati per i diversi tipi di malattia, che possono essere somministrati con successo anche nelle forme più aggressive e a rapida evoluzione».
GIORNATA MONDIALE DEL 12 OTTOBRE
Questo messaggio incoraggiante è stato dato in occasione dell’evento: “Artrite Reumatoide: una malattia dai mille volti. Dalla gestione della cronicità alla lotta alla forma precoce e aggressiva”, realizzato con il contributo di Bristol-Myers Squibb, alla presenza delle principali Associazioni di persone con malattie reumatiche: ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici), APMAR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatiche e Rare), AMRER (Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna) per la Giornata Mondiale del 12 ottobre. L’evento è stata l’occasione per raccontare cosa vuol dire convivere con una malattia subdola, dal decorso rapido e invalidante, come cambia la qualità dei rapporti sociali e professionali e quali sono le maggiori criticità. Uno spaccato della realtà vissuta dai pazienti nelle singole Regioni d’Italia è stato presentato da APMAR il 12 ottobre in Senato, dove si è tenuto il convegno: “Le malattie reumatologiche e i 21 Sistemi Sanitari Regionali”. E domenica 15 ottobre, APMAR sarà in Piazza di Spagna a Roma per la Campagna #Diamoduemani dove si farà sperimentare ai visitatori, con simulatori, le condizioni che vivono le persone con malattie reumatiche (vedi Calendario Eventi).
COS’È L’ARTRITE REUMATOIDE?
E’ una malattia che colpisce una persona ogni 200, per un totale di oltre 300mila soggetti in Italia, per il 75% dei casi di sesso femminile e nel pieno della vita attiva. «Si tratta di una patologia infiammatoria di origine autoimmune ad andamento invalidante, caratterizzata da deformazione e dolore che possono portare fino alla perdita della funzionalità articolare», spiega il professor Sinigaglia. «Ciò comporta impedimenti nella vita di tutti i giorni: dal lavoro al tempo libero, dalla cura personale alle attività domestiche. La malattia genera costi umani e sociali particolarmente gravosi: si calcola che in Italia oltre il 25% dei pazienti sia parzialmente limitato nel tempo libero e nel lavoro e il 4% sia affetto da disabilità completa. L’artrite reumatoide è una malattia multiforme in quanto può variare per modalità di esordio, decorso clinico, caratteristiche sieroimmunologiche e risposta ai trattamenti. Rispetto ad altre forme di artrite, in quella precoce e aggressiva, l’infiammazione della membrana sinoviale, che riveste l’interno di tutte le articolazioni, comporta un precoce danno agli altri tessuti, soprattutto alla cartilagine e all’osso, ma anche a tendini e legamenti arrivando, nel giro di un paio d’anni, alla mancata funzionalità del distretto articolare. Questa forma di malattia, che interessa il 40% dei pazienti, si associa a una maggiore disabilità e a una più alta mortalità per manifestazioni extra-articolari, in particolare per patologia cardiovascolare, che colpisce soprattutto le donne tra i 40 e i 50 anni, con una riduzione di sopravvivenza dai 3 ai 10 anni. Questi dati ci aiutano a comprendere quanto la diagnosi precoce possa cambiare le sorti dei pazienti».
RITARDI NELLA DIAGNOSI E IMPORTANZA DELLE TERAPIE
«La realtà ci descrive all’opposto ritardi di 7-12 mesi e più, tra diagnosi confondenti e pazienti che si curano per mesi con farmaci sintomatici», fa notare Antonella Celano, Presidente APMAR. «Da un lato c’è la difficoltà della persona a decifrare i segnali del corpo, interpretare il dolore e gli altri campanelli d’allarme quali gonfiore, tumefazione, intorpidimento. Dall’altro, c’è la difficoltà per il medico di medicina generale, primo interlocutore del paziente, a indirizzarlo al reumatologo. Questo è dovuto alla mancanza, in molte aree del Paese, di una rete assistenziale efficace che garantisca un accesso rapido alla visita specialistica. Al contrario, riuscire a intercettare in tempo la malattia, con le cure oggi disponibili, vuol dire non rischiare l’invalidità e poter vivere una vita “normale”». Alla luce della variabilità dell’artrite reumatoide, gli specialisti ritengono fondamentale rilevare in tempi rapidi alcuni marcatori biologici, che consentono di distinguere all’esordio le forme a evoluzione potenzialmente più grave e identificare l’approccio terapeutico appropriato. «È il caso del Fattore Reumatoide e degli ACPA (anticorpi anti-peptide ciclico citrullinato), presenti di frequente nel siero di pazienti con artrite reumatoide che, se associati ad altri fattori, sono in grado di predire la possibilità di rapida progressione della malattia, fino all’80%», aggiunge il professor Sinigaglia. «In questi casi è determinante una strategia terapeutica tempestiva: coloro che iniziano la terapia entro i primi 3 mesi dall’esordio evidenziano una migliore prognosi in termini di danno radiologico e tasso di remissione». «Per questo, il principale compito delle Associazioni è quello di informare e sensibilizzare il paziente rispetto alla precocità di intervento e all’adesione alla cura che consentono di prevenire le disabilità e i danni extra-articolari», conferma Daniele Conti, Coordinatore AMRER. «Ciò deve andare di pari passo con la condivisione degli obiettivi terapeutici tra il paziente e l’intero team di cura, composto da medico di medicina generale, reumatologo, fisioterapista, terapista occupazionale, infermiere. Il modello delle Reti, presenti in alcune regioni tra cui l’Emilia Romagna, è proprio finalizzato a consentire ai diversi professionisti di agire in maniera sinergica e individuare interlocutori chiari, per ridurre al minimo il disorientamento del paziente e contrastare il ricorso a “Dottor Google” per ottenere informazioni sulla malattia». «L’artrite reumatoide, inoltre, è ancora penalizzata rispetto alla vita lavorativa», aggiunge Ugo Viora, Direttore generale ANMAR. «In Italia, infatti, non esiste una normativa che incentivi i datori di lavoro ad adeguare gli ambienti per agevolare i dipendenti, costretti in molti casi ad abbandonare il lavoro. Manca un sostegno, soprattutto alle donne, le più colpite a livello fisico ed emotivo nel rapporto col nucleo familiare, così come un supporto psicologico, demandato nella maggior parte dei casi al privato». In questo contesto, le Associazioni di pazienti giocano un ruolo determinante per far sì che le necessità dei malati reumatici, vengano prese in considerazione nella programmazione sanitaria. Diagnosi più tempestive, trattamenti personalizzati, accesso più ampio e uniforme alle terapie sul territorio nazionale sono le istanze portate avanti dalle Associazioni.
di Paola Trombetta