Immunoterapia: la nuova cura per i tumori polmonari avanzati

Quarantamila nuovi casi di tumore al polmone, solo nel 2016, di cui il 30% tra le donne. Un dato in aumento nella popolazione femminile, complice la maggiore abitudine al fumo, anche tra le giovanissime, che espone una donna su 36, insieme ad altri fattori di rischio quali la familiarità con la malattia, specifiche mutazioni genetiche (in particolare PDL1), l’esposizione ad alcune sostanze tossiche come amianto, radon, metalli pesanti e inquinamento atmosferico, al potenziale sviluppo di malattia nell’arco della vita. Al punto che il tumore del polmone resta per la donna (in una su 44) la terza causa di morte e in generale tra i tumori di più difficile cura, a causa delle manifestazioni tardive, per lo più in fase avanzata.

Nuove speranze di cura per il tumore al polmone potrebbero essere rappresentate dall’immunoterapia: alcune delle forme di malattia più critiche, come quella che gli esperti definiscono “localmente avanzata”, cioè ancora confinata al torace, ma che potrebbe avere intaccato i linfonodi mediastinici, rendendola per estensione o difficoltà chirurgica inoperabile. «Il tumore al polmone localmente avanzato – spiega Ugo Pastorino, direttore della struttura complessa di Chirurgia Toracica dell’Istituto Nazionale Tumori (INT) di Milano – è un tumore difficile, con una percentuale di sopravvivenza a 5 anni inferiore al 20% e un rischio di recidiva locale (5%) o a distanza (60%) piuttosto elevato. Spesso presenta metastasi che non sono visibili neppure con strumenti di imaging diagnostica avanzata». «In questi casi i farmaci immunoterapici, come il più recente durvalumab – precisa la dottoressa Marina Garassino, responsabile della Struttura Semplice di oncologia Medica Toraco-Polmonare di INT, intervenuta al recente “Meeting post ESMO Italy”, promosso a Milano da Women for Oncology – potrebbero invece agire riattivando il sistema immunitario che, dopo le  prime fasi di insorgenza del tumore, tende a non reagire più al trattamento, a riconoscere nuovamente la malattia e ad attivare le proprie difese, contrastando in maniera specifica e diretta il tumore». Diversi studi avrebbero già dimostrato l’efficacia dei farmaci immunoterapici, ma si vuole andare oltre: capire se nelle fasi o nelle tipologie di tumore più critiche, come quello localmente avanzato appunto, possano anche riuscire a controllare l’insorgenza e sviluppo di recidive. Sull’argomento è tuttora in corso uno studio innovativo, il primo nel suo genere, di cui si attendono presto i risultati.

I farmaci immunoterapici, efficaci ma complessi per la somministrazione, richiedono che il trattamento venga attuato in centri altamente specializzati. «E’ fondamentale rivolgersi a strutture di eccellenza – raccomanda Pastorino – in cui sia presente un’ Unità di Chirurgia Toracica e dove i singoli casi vengano discussi da un’équipe multidisciplinare composta da un pool di più esperti con diverse competenze come pneumologo, radiologo, medico nucleare, oncologo, radioterapista e chirurgo». «L’interazione e la collaborazione tra queste diverse figure professionali – conclude Garassino – è in grado di garantire il più efficace trattamento disponibile per ogni paziente, a favore anche di una migliore ottimizzazione delle risorse del sistema sanitario nazionale». Le aspettative sono infatti che questi farmaci, di cui Durvalumab aprirà la lista, diventino rimborsabili.

Ma non è tutto, perché i farmaci immunoterapici, secondo i dati presentati in occasione  del congresso ESMO (European Society of Medical Oncology), svoltosi a Madrid il mese scorso, sarebbero in grado anche di aumentare la sopravvivenza libera da progressione di malattia, tanto più se combinati a chemioterapia (pembrolizumab con pemetrexed e carboplatino), portandola a circa 18 mesi, con una riduzione della mortalità fino anche al 40%. Un dato particolarmente evidente in tumori polmonari non a piccole cellule (NSCLC) non squamosi, con o senza espressione PD-L1, al punto che AIFA (Agenzia italiana del Farmaco) avrebbe approvato l’uso di alcuni di questi farmaci (pembrolizumab) non solo nel trattamento di prima linea, ma anche in pazienti già sottoposti a chemio senza successo, con risultati che si attestano superiori alla chemioterapia stessa: ovvero sopravvivenza del 70% (vs 50% della chemio), riduzione del rischio di morte del 40% e del 50% di progressione di malattia, e sopravvivenza libera da progressione di malattia “triplicata”a 1 anno, con punte anche del 48% rispetto al 15% della chemioterapia. Non si può parlare, nonostante i dati positivi, di abbandono della chemioterapia nel trattamento del polmone: tuttavia l’immuno-oncologia in specifiche situazioni può costituire un’alternativa importante al trattamento chemioterapico.

Infine, sempre da ESMO, si avrebbero attestazioni di efficacia nel trattamento di forme di carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) localmente avanzato o metastatico con mutazione EGFR, un altro indicatore di malattia, con osimertinib, oggi considerato un nuovo standard terapeutico. Il quale godrebbe di migliore tollerabilità e risposta al trattamento nettamente superiori rispetto ad altri regimi attualmente utilizzati (erlotinib o gefitinib). Osimertinib è approvato in oltre 50 Paesi, compresi gli USA, l’UE, il Giappone e la Cina, anche come terapia di seconda linea in caso di NSCLC avanzato in progressione, dopo un precedente trattamento.

di Francesca Morelli

 

Novità anche per la fibrosi polmonare idiopatica

Oltre al tumore al polmone, ci sono altre gravi malattie che lo possono colpire, come la fibrosi polmonare idiopatica (IPF), una malattia con prognosi infausta e mortalità del 50% a 3 anni dalla diagnosi. Oggi però un nuovo farmaco, il Nintedanib, usato in combinazione con pirfenidone, sembrerebbe efficace (rispetto al solo Nintedanib) nel rallentare la progressione della malattia, secondo i dati emersi da uno studio randomizzato di 12 settimane (INJOURNEY), pubblicati sull’American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, garantendo un profilo di sicurezza e tollerabilità della terapia associata in linea con quelli di singoli farmaci già noti. Possibili alcuni effetti collaterali, giudicati comunque gestibili nella maggior parte dei pazienti, come diarrea, nausea e vomito, più probabili se il nuovo farmaco viene combinato a pirfenidone. «I risultati dello studio – ha dichiarato Carlo Vancheri, Professore ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Università di Catania e Direttore del Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Rare del Polmone – sono rassicuranti e a favore di ricerche su regimi d’associazione a base di nintedanib nel trattamento della IPF». Dunque, la speranza è ora affidata alla ricerca.  F. M.

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