Lenti a contatto con acido ialuronico, anche per l’occhio secco

Di giorno al lavoro e nel tempo libero, durante l’attività sportiva o in relax alla Spa, di sera per le grandi occasioni. Per molti miopi, soprattutto donne, le lenti a contatto sono il mezzo visivo preferibile all’occhiale, per maggiore comodità, ma soprattutto perché garantiscono una migliore “visione quadrangolare” dell’ambiente circostante. Indossandole quasi 24 ore su 24, senza essere del tutto consapevoli che un uso scorretto, prolungato o inadeguato delle lenti può portare a conseguenze anche gravi per l’occhio. Il quale deve superare anzitutto un test di compatibilità all’uso della lente, ottenendo una sorta di “patentino di idoneità” che si consegue con una visita oculistica specialista. Ne hanno discusso gli specialisti, intervenuti a Roma al recente Congresso annuale della SOI (Società Oftalmologica Italiana).

«Per utilizzare le lenti a contatto è indispensabile una visita da un medico oculista – spiega il professor Pasquale Troiano, Consigliere SOI (Società Oftalmologica Italiana) – e non è sufficiente rivolgersi a un tecnico: non ha infatti le competenze adatte per  verificare la presenza di eventuali fattori di rischio che potrebbero escludere l’utilizzo di lenti a contatto o richiederne un uso modulato, riducendo ad esempio il numero di ore di applicazione, soprattutto in caso di persone allergiche. Una volta verificata l’idoneità, sarà il medico oculista a orientare il paziente verso la tipologia di lente più adatta: rigida, morbida o gas-permeabile, in base alle esigenze dell’occhio. La lente a contatto morbida, disponibile a ricambio giornaliero, settimanale, quindicinale, mensile e trimestrale (e mai oltre questo termine) è la più indicata e impiegata nella maggior parte di miopie. Quella rigida è di norma riservata a casi che già presentano qualche difficoltà visiva, come ad esempio l’occhio con cheratocono, cioè con una deformazione della cornea tale non poter essere corretta da una lente morbida».
Ma ancora non basta: occorre infatti verificare, con una successiva visita dopo sei mesi dalla applicazione della lente e in seguito con cadenza periodica annuale, se l’occhio sia davvero “confidente” con il tipo di lente scelta, ovvero se abbia instaurato con quel “corpo estraneo” un rapporto di “idoneo benessere”.

Una regola valida anche nel caso in cui si indossano le lenti più innovative oggi disponibili, quelle cioè in grado di correggere anche la presbiopia, ovvero la difficoltà di visione nitida da vicino che può subentrare dopo i 40-45 anni. Tra queste ci sono le “multifocali” le quali, seppure correttive di entrambi i problemi, hanno un alto tasso di abbandono, poiché come gli occhiali multifocali possono dare difficoltà di adattamento e disturbi di messa a fuoco e di tollerabilità. Di recente sono in commercio le lenti “afocali”, di brevetto italiano e rivoluzionarie: superano i problemi generati dalle lenti multifocali, e hanno un particolare meccanismo d’azione che in circa 15 minuti consente al suo portatore di apprezzare i sensibili benefici di una visione sia da vicino sia da lontano, senza incorrere in importanti effetti collaterali. «Si tratta di lenti con aggiunta di acido ialuronico – precisa il professore – che viene rilasciato sull’occhio a piccole dosi per effetto della compressione esercitata dalla palpebra durante l’ammiccamento, mantenendo così la superficie oculare costantemente umidificata. La lubrificazione non solo aumenta il livello di tolleranza della lente, ma ne consente l’uso anche agli over 40 con problemi di “occhio secco”, un’altra condizione che comincia a manifestarsi proprio in questa fascia di età, e che fino ad oggi escludeva la possibilità di applicare le lenti a contatto».

Ulteriore punto a favore delle lenti afocali è l’impiego monouso, necessario perché il rilascio di acido ialuronico si esaurisce nell’arco della giornata. Il tempo troppo ridotto dell’usa-e-getta non permette la proliferazione sulla superficie della lente di batteri e virus, rischio che invece aumenta in relazione al tempo di permanenza della lente a contatto con l’occhio, che potrebbe così essere più esposto a un eventuale peggioramento di forme di cheratiti (infezione della cornea), ma anche a problemi di natura infettiva, irritativa, fino al rischio di contrarre funghi come lo pseudomonas, per il quale attualmente non c’è cura.
Ma non solo: lasciar “respirare l’occhio” senza la lente, consente l’ossigenazione del bulbo: «Pertanto è necessario lasciare qualche ora gli occhi senza lenti a contatto durante la veglia, applicandole il più tardi possibile dopo il risveglio e rimuovendole il prima possibile prima di dormire, anche nel caso del pisolino pomeridiano», conclude Troiano. «Si evita così che una condizione di ipossia cronica della superficie oculare possa condurre a una serie di problematiche anche importanti».

Infine è fondamentale non trascurare neppure la manutenzione delle lenti a contatto: «Prima di indossarle – conclude Troiano – o maneggiare tutto ciò che riguarda la loro conservazione, come i flaconi e i contenitori, occorre lavare, ma anche asciugare accuratamente le mani perché l’acqua non è sterile, utilizzando di preferenza tovagliette usa e getta in carta, evitando gli asciugamani e i getti d’aria che, come rilevato da alcuni studi, possono essere contaminati da una notevole carica batterica». E soprattutto al minimo segnale di disturbo agli occhi, non indossare le lenti e rivolgersi al proprio oculista per allontanare il rischio di problemi prevenibili.

di Francesca Morelli

 

Nel 2050 l’italiano medio sarà sempre più miope

Lo ha confermato il primo congresso scientifico “Milanopia” che si è tenuto di recente a Milano, annunciando anche che si tratta di una condizione visiva destinata a evolversi nell’Homo-smartphone, complice appunto l’impiego costante di dispositivi che richiedono un’attività visiva ravvicinata, ambienti chiusi, scarsa esposizione all’aria aperta e alla luce naturale. Così il 20% della popolazione italiana, oggi miope, entro il 2050 salirà a circa il 75-80% raggiungendo tassi pari a quelli del resto dell’Europa e interessando in particolare i giovanissimi in età scolare, anni in cui la miopia inizia a svilupparsi. E che, se non adeguatamente trattata fin dall’insorgenza, potrebbe portare in età adulta a più forti percentuali di miopia, con perdite di visus oltre le 6 diottrie, a loro volta causa potenziale dello sviluppo di distacco della retina, glaucoma, maculopatie. Tuttavia ci sono buone notizie, perché dalla scienza arrivano promettenti attestazioni di cura legati alla dopamina, una sostanza prodotta dal corpo e stimolata anche dall’esposizione alla luce, con effetti benefici soprattutto sui bambini e ragazzi fra i 6 e i 14 anni. «Questo mediatore chimico presente nella retina – spiega il professor Paolo Nucci, promotore del congresso e direttore della Clinica Oculistica Universitaria dell’Ospedale San Giuseppe di Milano (MultiMedica) – rende meno elastica la sclera dell’occhio, cioè la membrana cartilaginea che invece nel miope tende a espandersi. È stato scoperto che associando una terapia a base di atropina, una sostanza in grado di aumentare il rilascio di dopamina, che può essere instillata sotto forma di collirio alla sera prima di dormire, a uno stile di vita più all’aria aperta, è possibile arrivare a ridurre il rischio di miopia del 75% in circa sette bambini su 10». Un’altra possibile soluzione terapeutica e correttiva per i piccoli? L’uso delle lenti a contatto, efficaci nel correggere la miopia infantile. Merito della pellicola lacrimale, con un film lipidico e uno strato mucoso più densi.
F. M.

 

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