Di recente è lo “spazio fisico” a dare molte preoccupazioni: sono di questi giorni le notizie di aggressioni a Napoli delle baby gang a coetanei, accoltellati per rubar loro uno smartphone o senza un apparente motivo. Notizie terribili, che scuotono il paese e le istituzioni. Ma anche il “cyber-spazio” non è da meno quanto a danni provocati e per questo va attentamente monitorato. A lanciare l’allarme sono i pediatri, che raccomandano: “Mamme e papà, condividete il “cyber-spazio” con i vostri figli. Non lasciate che Internet, e la rete in generale, diventino un’occasione di isolamento, bensì fatene uno strumento di ‘contatto’ e di scambio, aprendo nuove forme di dialogo e di avvicinamento nel rapporto genitori-figli. O anche con le generazioni senior, come i nonni, che spesso hanno bisogno dei nipoti per diventare ‘social’ e imparare a comunicare in digitale”. Il messaggio, virale, arriva dai pediatri e da SiMPeF (Sindacato medici pediatri di famiglia) che invitano da un lato a non demonizzare la tecnologia, Internet in particolare, che efficacemente e responsabilmente utilizzati possono essere un’importante fonte di informazione 4.0, al passo con i tempi, ma dall’altro anche a non perderla di vista. Monitorandola cioè a distanza, perché potrebbe nascondere tentazioni e opportunità di cadere nella trappola della rete, soprattutto per i giovanissimi, complice l’immaturità anagrafica e non solo, con cui si avvicinano agli strumenti di comunicazione sociale.
Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza, le fasce di popolazione più giovani sono infatti quelle tra le più iperconnesse, con un primo utilizzo della tecnologia in età sempre più precoce: si stima che il 98% dei ragazzi tra i 14 e i 19 anni possegga uno smartphone personale, il cui primo utilizzo nella fascia 11-13 anni. Destano preoccupazione anche le aperture di pagine Facebook o altri profili social, già on-line o attivi intorno ai 9 anni, o l’uso di tablet e smartphone, utilizzati dal 30% circa dei bambini di 18/24 mesi. Un’età che fa vivere la tecnologia come un gioco aperto sul mondo, ma chiuso per ingenuità sulle implicazioni che potrebbe comportare. A tal punto che secondo Telefono Azzurro, nell’arco degli ultimi 3 anni, sono triplicati i casi di adescamento on-line di bambini e adolescenti, attraverso lusinghe da parte di sconosciuti in chat, incontri con materiale potenzialmente traumatico o video pornografici, involontariamente scaricato, richieste e offerte sessuali, manipolazione verso siti che inneggiano all’autolesionismo, alla violenza e o ad altre forme di subdola persuasione fisica o psicologica.
«Le segnalazioni ricevute al numero 114 di Emergenza infanzia tra il 2012 e il 2014 – ha dichiarato Cinzia Bressi, professore associato di Psichiatria all’Università degli studi di Milano e vice-presidente del Centro Mafalda OggiDomani for Children and Adolescents – sono passate dal 4,4 al 14,2%. Ma ciò che è peggio, è la sottovalutazione da parte degli adulti di queste insidie nascoste nel cyberspazio: un genitore su 2 ritiene improbabile che il proprio bambino, chattando, possa incontrare un pedofilo e nuovamente uno su 2 considera impossibile possa essere esposto a immagini esplicite; addirittura l’88,9 per cento esclude completamente che il proprio figlio possa spogliarsi e mettere propri video o immagini esplicite online».
Ma le testimonianze giovanili vanno nella direzione esattamente opposta. Il Rapporto Istat sul bullismo tra i giovanissimi, pubblicato lo scorso anno, tesse una trama della rete preoccupante: fra i ragazzi e gli adolescenti che usano il cellulare o navigano su Internet, quasi il 6% avrebbe denunciato di essere stato vittima di atti di cyberbullismo, di cui oltre il 7% sono ragazze contro il 4,6% di maschi, attraverso l’invio di messaggi offensivi, immagini umilianti diffuse via mail, chat o sui social network. Il cyberbullismo, fenomeno fortemente connaturato nella generazione dei millennial, dai 13 ai 20 anni, cresciuti in una società nella quale è naturale/necessario essere sempre connessi, sta assumendo volti nuovi, caratterizzati nella maggior parte dei casi da un fattore comune: la dipendenza. «L’addiction tecnologica si può manifestare attraverso la social network addiction, una dipendenza da connessione, aggiornamento e controllo del proprio profilo – precisa Giordano Invernizzi, professore ordinario di Psichiatria Università degli Studi di Milano e presidente del Centro Mafalda OggiDomani for Children and Adolescents – la friendship addiction, spasmodica ricerca di nuove amicizie virtuali, fino alla dipendenza da videogioco o al vamping, ossia il trascorrere tante ore notturne sui social a parlare e giocare con gli amici o la fidanzata/o». Dipendenze che, indipendentemente dagli atti di violenza perpetrati o subiti, possono diventare totalizzanti. «Disagi psico-emotivi – ha aggiunto Monica de Angelis, Direttore scientifico del Dipartimento formazione SiMPeF – che misuriamo attraverso il crescente numero di casi nei nostri ambulatori».
Per arrestare il fenomeno occorrono dunque misure preventive e concrete: «Sebbene l’uso della tecnologia rientri nella normale evoluzione delle cose e dunque non debba preoccupare di per sé – rassicura Rinaldo Missaglia, segretario generale SiMPeF – occorre sensibilizzare i genitori che quando il proprio figlio usa un cellulare o un computer può andare su Internet, accedere alle chat, rischiando incontri potenzialmente pericolosi. Un prezioso aiuto in questa direzione può arrivare da consigli educazionali di pediatri, con i quali occorre parlare al minimo sospetto di disagio del proprio figlio (avvertibile ad esempio in un cambiamento comportamentale repentino, nella ricerca di isolamento o nel rifiuto di andare a scuola), o anche sottoponendo i ragazzi a visite, a compimento di 9 e 12 anni, che con questionari/domande mirate e specifiche tecniche riescono a portare a galla il disagio psico-emotivo, su cui si può intervenire con percorsi terapeutici dedicati». Un valido aiuto può venire anche dal supporto di psichiatri infantili e di esperti del Compartimento Polizia postale e delle comunicazioni della Polizia di Stato che possono far luce sul problema, sensibilizzando e consapevolizzando i genitori.
A fronte di diverse ombre, esistono contesti in cui la tecnologia e Internet possono essere “terapeuticamente” utili, quale contributo al superamento di stati depressivi, ad esempio, che portano all’isolamento, o come adiuvante in terapie riabilitative con tecniche di disegno, o in casi di autismo in cui per un ragazzo affetto da malattia, oggi sedicenne, Facebook ha rappresentato l’occasione e il solo strumento per un contatto e un rapporto con il mondo esterno. «Un fatto di grandissima importanza – ha concluso Missaglia – per aiutare questi ragazzi a un inserimento sociale efficace e positivo».
di Francesca Morelli