Dal suo curriculum, di grande spessore professionale, potremmo definire Mariapia Garavaglia l’esperta della sanità italiana. In politica dal 1988, dapprima come Parlamentare e poi Sottosegretario alla Sanità con i governi De Mita e Andreotti, è stata anche Ministro della Sanità dal 1993 al 1994 con il Governo Ciampi. Si è in seguito occupata di volontariato come Commissario straordinario ed è diventata Presidente generale della Croce Rossa Italiana. Oggi Mariapia Garavaglia si rimette in pista nel settore della salute come presidente della Fondazione Roche.
Dopo i tanti incarichi che ha ricoperto nelle istituzioni pubbliche, cosa rappresenta per Lei essere stata nominata presidente della Fondazione Roche, una delle più grandi multinazionali del farmaco?
«Rappresenta sicuramente una “coerenza”. Sono approdata alla vita politica attiva, dopo aver dedicato tanti anni al volontariato. Ho ricoperto incarichi istituzionali: ho fatto il parlamentare, il sottosegretario alla Sanità, il Ministro della salute. Anche nel mio partito storico, ero responsabile nazionale della sanità e gestivo i rapporti con le istituzioni e le associazioni pazienti. Una Fondazione corrisponde esattamente a questo profilo e mi permette di dedicarmi alla mia passione civile, la tutela della salute dei cittadini, che ritengo essere una questione particolarmente delicata e fondamentale. Avendo fatto per anni esperienza di volontariato in una grande organizzazione internazionale come la Croce Rossa, mi sono sempre occupata della tutela della salute e della dignità della persona: con questo obiettivo ritengo valga la pena di essere presidente di una Fondazione».
In base alle sue molteplici esperienze e competenze, quale impronta vorrebbe dare a questa Fondazione?
«Direi che dovrebbe espletare una funzione di “advocacy”, anche se il termine inglese di “avvocato” appare forse un po’ riduttivo. In realtà una Fondazione deve tutelare gli interessi del cittadino, del paziente, che diventa il “protagonista” della salute. Dovrebbe anche avere un ruolo di “ponte” tra le esigenze e le richieste del cittadino/paziente da un lato, e le istituzioni e le aziende dall’altro, che devono garantire il diritto alla salute e lavorare per questo scopo. A tale proposito sono fondamentali le garanzie di autonomia, indipendenza e trasparenza. Mentre l’azienda segue le regole del “profit” perché ha impegni di carattere economico e commerciale, la Fondazione dovrebbe avere come suo “profit” solo ed esclusivamente la salute e la dignità dei cittadini».
Come esperta di salute, e soprattutto “donna”, come vede la questione della Medicina di genere? Intende dare particolare spazio alle richieste delle donne nella nuova Fondazione?
«Ho sempre fatto politica dalla parte delle donne. Quando ero impegnata in Parlamento e al Ministero, ho emesso leggi e proposto progetti finalizzati alla tutela della salute delle donne. Anche per la Fondazione, la donna sarà al centro dell’interesse e, in particolare, mi sta a cuore il progetto educativo sanitario rivolto alle donne, che sono il fulcro del nucleo familiare. Se si lavora sulle donne, vuol dire che si lavora anche sui figli, i mariti, i genitori anziani e si affrontano tutte le problematiche della salute della famiglia. Per questo è fondamentale informare le donne che sono le “caregiver”, ovvero si prendono cura della salute di tutta la famiglia. È la donna dunque il perno per poter fare un’efficace educazione sanitaria che riguarda l’intera famiglia».
Ha già in mente progetti particolari che la Fondazione potrebbe realizzare nell’anno in corso?
«Poiché nel 2018 ricorrono i 40 anni del Sistema Sanitario Nazionale, sicuramente sarà una tematica che affronteremo. Come pure saremo molto sensibili alle richieste delle associazioni di pazienti e del volontariato, per progetti mirati su patologie o problematiche sociali. Intendiamo anche incrementare la ricerca e favorire le giovani generazioni per avviare progetti innovativi, di cui promuoveremo la realizzazione rivolgendoci alle istituzioni o alle aziende. Ci proponiamo, per questo, di incrementare le start-up e incoraggiare le giovani generazioni a dedicarsi a progetti di ricerca che abbiano come obiettivo la salute dei cittadini».
di Paola Trombetta