Ora ha 4 anni, ma da quando aveva un anno Matteo (il nome è di fantasia) combatte contro la leucemia linfoblastica acuta di tipo B, che rappresenta il più frequente tumore dell’età pediatrica (400 nuovi casi ogni anno in Italia). «Ci siamo accorti quando il bambino aveva 13 mesi a causa di un persistente gonfiore agli occhi», racconta la mamma. «Il ricovero all’Ospedale San Giovanni Rotondo, vicino a Foggia, ha confermato in pochi giorni una diagnosi che nessuno mai si sarebbe aspettato: leucemia linfoblastica acuta. Lo sconforto è stato totale!». Subito sono stati attivati i protocolli tradizionali della chemioterapia: nonostante i non pochi effetti collaterali, soprattutto febbre e astenia, la risposta clinica sembrava buona. Dopo un paio di mesi, però, i valori erano di nuovo fuori dalla norma. A questo punto i medici hanno proposto il trapianto di midollo, che è stato eseguito all’Ospedale Bambino Gesù di Roma. «Purtroppo, però, dopo diversi mesi, la malattia è ricomparsa», prosegue la mamma. «Prima di Natale, il professor Locatelli del Bambino Gesù ci ha consigliato di tentare una nuova terapia genica, che era già stata sperimentata in alcuni bambini in America. Non abbiamo avuto la minima esitazione: si fa qualsiasi cosa per salvare la vita al proprio figlio! Ai primi di gennaio è stata praticata l’infusione di queste cellule “geneticamente modificate”: e ora nostro figlio è stato dimesso dall’ospedale e la malattia sembra sconfitta. Conduce una vita “normale”, anche se non è ancora andato alla scuola materna, per evitare infezioni che potrebbero peggiorare la sua condizione. La mia speranza è che la guarigione, questa volta, duri nel tempo, anche se la paura è sempre in agguato. Vorrei tanto che mio figlio potesse finalmente avere una vita come tutti gli altri bambini! Ne riparliamo però tra un anno…».
In che cosa consiste esattamente questa cura e da quanto tempo viene praticata? Sperimentata con successo nel 2012 negli Stati Uniti su una bambina di 7 anni con leucemia linfoblastica acuta, dai ricercatori dell’Università di Pennsylvania presso il Children Hospital di Philadelphia, la terapia genica ha avuto un seguito di altre sperimentazioni in tutto il mondo, di cui la più recente all’Ospedale San Gerardo di Monza, nell’agosto 2016. I risultati clinici incoraggianti hanno portato pochi mesi fa la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia del governo americano che si occupa di regolamentare la messa in commercio di nuove terapie, ad approvare il primo farmaco per curare questa leucemia. E’ di questi giorni la pubblicazione sul New England Journal of Medicine dei dati delle sperimentazioni che hanno coinvolto 75 bambini in diversi Paesi.
Con la consulenza del professor Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, Terapia Cellulare e Genica, dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, cerchiamo di capire nel dettaglio come funziona questa terapia. «È da tre anni che stiamo lavorando a questo progetto e abbiamo avviato uno studio accademico tutto italiano dedicato a questo approccio di terapia genica, grazie ai finanziamenti dall’Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro (AIRC), dal Ministero della Salute e dalla Regione Lazio. La tecnica consiste nel prelevare i linfociti T del paziente, le cellule più importanti per la risposta immunitaria, e modificarli geneticamente attraverso un recettore sintetizzato in laboratorio, chiamato CAR (Chimeric Antigenic Receptor), che li mette nelle condizioni, una volta reinfusi nel paziente, di riconoscere e attaccare le cellule tumorali presenti nel sangue e nel midollo, fino a eliminarle completamente. A un mese dall’infusione delle cellule, che sono state riprogrammate nei laboratori del Bambino Gesù, il piccolo paziente sta bene ed è stato dimesso: nel midollo non sono più presenti cellule leucemiche. Questo risultato è per noi motivo di grande gioia, oltre che di fiducia e di soddisfazione per l’efficacia della terapia. Abbiamo già altri pazienti candidati a questo trattamento sperimentale. Il processo di produzione del farmaco dura 2 settimane, a cui vanno aggiunti circa 10 giorni per ottenere i test indispensabili per la sicurezza del farmaco biologico che si va a infondere nel paziente per via endovenosa. L’Officina Farmaceutica del Bambino Gesù ha completato in questi giorni la preparazione delle cellule per un adolescente affetto dalla stessa malattia, la leucemia linfoblastica acuta, mentre è in corso la preparazione di CAR-T anche per una bambina affetta da neuroblastoma, il tumore solido più frequente dell’età pediatrica. Anche in questo caso, il protocollo di manipolazione cellulare e il suo impiego clinico sono stati approvati dall’Agenzia Italiana del Farmaco».
LE PROSPETTIVE
«L’infusione di linfociti geneticamente modificati, per essere reindirizzati con precisione verso il bersaglio tumorale, rappresenta un approccio innovativo alla cura delle neoplasie e carico di prospettive incoraggianti», aggiunge il professor Locatelli. «Certamente siamo in una fase ancora preliminare, che ci obbliga a esprimerci con cautela. A livello internazionale sono già avviate importanti sperimentazioni da parte di industrie farmaceutiche. Ci conforta poter contribuire allo sviluppo di queste terapie anche nel nostro Paese e immaginare di avere a disposizione un’arma in più da adottare a vantaggio di quei pazienti che hanno fallito i trattamenti convenzionali o che per varie ragioni non possono avere accesso a una procedura trapiantologica».
Un commento a riguardo viene espresso anche dal professor Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù: «Si tratta di una pietra miliare nel campo della medicina di precisione in ambito onco-ematologico. Le terapie con cellule geneticamente modificate ci portano nel merito della medicina personalizzata, capace di rispondere con le sue tecniche alle caratteristiche biologiche specifiche dei singoli pazienti e di correggere i difetti molecolari alla base di alcune malattie. E’ la nuova strategia per debellare malattie per le quali per anni non siamo riusciti a ottenere risultati soddisfacenti. Un settore di avanguardia nel quale l’Ospedale non poteva non essere impegnato. Siamo riusciti in tempi record a creare un’Officina Farmaceutica, a farla funzionare, a certificarla e andare in produzione. Il risultato incoraggiante di oggi in campo onco-ematologico, con la riprogrammazione delle cellule del paziente orientate contro il bersaglio tumorale, ci fa essere fiduciosi di avere a breve risultati analoghi nel campo delle malattie genetiche, come la talassemia, l’atrofia muscolare spinale o la leucodistrofia».
di Paola Trombetta