Sono oltre 500 mila, 60mila solo in Lombardia, le donne di età superiore ai 39 anni a rischio di glaucoma, con una probabilità più elevata di sviluppare la malattia per coloro che soffrono di cefalee, di vasospasmo periferico cioè di mani e piedi freddi, o che hanno la pressione arteriosa bassa: un insieme di fattori femminili, legati ad aspetti vascolari, che possono più frequentemente essere associati a glaucoma a bassa pressione, più tipico nelle donne rispetto all’uomo. A influenzare la predisposizione sono anche la componente ormonale, le maggiori aspettative di vita, un problema di miopia che potrebbe influenzare (però in entrambi i sessi) una forma particolare di glaucoma. Sono le indicazioni e i numeri “di genere”, emersi dal Secondo Congresso Internazionale dell’AISG, Associazione Italiana per lo Studio del Glaucoma, svoltosi a Milano in occasione della Settimana Mondiale sul Glaucoma (11-17 marzo). Una patologia sociale, come la definisce l’Oms che, progressivamente e in maniera irreversibile, ruba la vista a circa 55 milioni di persone nel mondo, 1 milione e 200mila solo in Italia. Numeri probabilmente sottostimati, perché secondo gli esperti molti portatori di malattia non ne sarebbero a conoscenza, scoprendo la silenziosa presenza del glaucoma occasionalmente, durante una normale visita oculistica di controllo.
«Il glaucoma – spiega il professor Stefano Miglior, presidente AISG e direttore della Clinica Oculistica del Policlinico di Monza, Università Milano Bicocca – è una malattia degenerativa dovuta a un aumento della pressione interna dell’occhio, la quale danneggia dapprima le fibre che trasportano le immagini relative alla periferia del campo visivo, causando ipovisione anche fino alla cecità. Dunque si può andare incontro a una progressiva riduzione del campo visivo, fino alla visione cosiddetta “tubulare” perché dà l’impressione di guardare attraverso un cono». In buona sostanza, il glaucomatoso continua a vedere bene le immagini davanti a sé, ma via via perde le informazioni visive laterali, cioè periferiche. Con un impatto sensibile sulla qualità della vita e sicurezza per sé e per gli altri: ad esempio, una donna con glaucoma alla guida di un’auto correrà il rischio di non vedere persone che attraversano la strada a destra o a sinistra, con conseguenti potenziali implicazioni irreparabili. La pressione alta dell’occhio non è il solo elemento di rischio: altri fattori non sono da trascurare, come l’età, anche relativamente giovane (il glaucoma può manifestarsi a partire dai 40 anni, mentre pochi e rari sono i casi congeniti); la familiarità con la malattia, che predispone geneticamente a un maggiore rischio; l’etnia, ad esempio la discendenza africana favorisce lo sviluppo precoce del glaucoma; l’uso prolungato di alcuni farmaci, soprattutto i corticosteroidi; alcune problematiche co-esistenti, il diabete e le malattie cardiovascolari in primo luogo.
Sebbene non sia facile la prevenzione, oggi si sono evidenziati strumenti innovativi di diagnosi precoce che consentono di misurare il numero di cellule ganglionari presenti a livello della retina, altri che permettono di valutare lo stato delle fibre nervose retiniche e la loro eventuale deviazione patologica, dando possibili indicazioni sul passaggio da uno stato di semplice ipertensione oculare a malattia glaucomatosa. «Si tratta di strumenti sensibili e specifici molto efficaci – precisa il professor Luciano Quaranta, direttore del Centro di Studio del Glaucoma dell’Università degli Studi di Brescia – sebbene ancora oggi il “gold standard” per fare diagnosi di glaucoma resti l’esame del campo visivo. Un esame psicofisico che rileva la reazione e la percezione del paziente di fronte a determinati stimoli luminosi e che dà indicazione sull’evoluzione della malattia o la velocità con cui sta procedendo». Un insieme di informazioni utili al clinico per stabilire la corretta progressione nella perdita di campo visivo e dunque impostare adeguate scelte terapeutiche.
Per la cura si stanno profilando nuove opportunità, sia mediche come nuovi colliri ad uso singolo o combinato. «A breve potrebbe essere introdotta una nuova classe di molecole, le cosiddette Rho-Kinasi, la cui efficacia però non sembra essere superiore ai derivati delle Prostaglandine che costituiscono la prima linea nel trattamento del glaucoma», puntualizza il professor Miglior. «Si prospettano anche nuove metodiche chirurgiche, con tecniche mini-invasive che si avvalgono prevalentemente di laser innovativi, tra cui il laser SLT (Trabeculoplastica Laser Selettiva), per ripristinare il corretto deflusso dell’umore acqueo, riducendo la pressione intraoculare. Non ultimo, ci sono device chirurgici che possono “normalizzare” la pressione, come i MIGS (Minimal Invasive Glaucoma Surgery), meno aggressivi della chirurgia tradizionale».
In ambito chirurgico, le maggiori novità riguardano il trattamento del glaucoma “ad angolo chiuso”, che può essere trattato con lo stesso intervento che si esegue per la cataratta. «Rimuovendo il cristallino che continua a crescere – precisa Miglior – si permette all’angolo irido-corneale di rimanere aperto, gestendo spesso in modo risolutivo il glaucoma ad angolo chiuso, eliminando addirittura l’uso dei farmaci. In quest’ottica, dunque, è facile comprendere come la chirurgia non deve più essere vista come “estrema ratio”, da proporre quando il danno è massimo e non vi siano altre opportunità di cura per il paziente, quanto piuttosto come scelta terapeutica tagliata su misura del paziente affinché possa tornare e continuare a condurre una buona qualità di vita».
di Francesca Morelli