Database digitalizzati, strumenti diagnostici sempre più sofisticati, test genetici, farmaci target, interventi mininvasivi: la cardiologia è sempre più mirata e consente approcci diagnostici e terapeutici in grado di identificare prontamente e curare pazienti a rischio, incluse le donne, fino a poco tempo fa trascurate sul versante cardiovascolare. Oggi sempre più donne sono incluse in sperimentazioni di nuovi farmaci e di interventi mininvasivi per proteggere e curare il cuore. Per fare il punto sulla “cardiologia di genere”, abbiamo intervistato la professoressa Eloisa Arbustini, direttore del Centro per le Malattie Genetiche Cardiovascolari del Policlinico San Matteo di Pavia, intervenuta in occasione del Congresso “Conoscere e curare il cuore” che si è tenuto di recente a Firenze.
Al congresso si è parlato molto di eccesso di colesterolo e di “placche ateromasiche” come fattori predisponenti la malattia cardiovascolare. Quali rischi esistono nelle donne?
«Le donne si ammalano di malattia coronarica almeno 10 anni dopo gli uomini perché, fino alla menopausa, sono protette “dall’ombrello ormonale” che previene la formazione di placche ateromasiche. Dopo la menopausa però questo vantaggio si perde e anche nelle donne aumenta il rischio di malattia coronarica. Per questo la donna dovrebbe valutare il suo “orologio biologico” ed eventuali fattori di rischio familiari e metabolici, che sono da tenere sotto controllo, in particolare dopo i 50 anni. Ed eventualmente, su guida medica specialistica, decidere di assumere la terapia ormonale sostitutiva, protettiva per i vasi arteriosi».
Esiste una familiarità nella formazione di placche ateromasiche a livello delle coronarie o per altre patologie cardiache?
«Esiste indubbiamente predisposizione familiare per i fattori di rischio che causano l’aterosclerosi (ipercolesterolemia familiare, ipertensione) e per questo è fondamentale la prevenzione ed eventualmente l’assunzione di farmaci a scopo profilattico. Nelle donne compaiono più di frequente patologie che riguardano le valvole cardiache e disturbi del ritmo (fibrillazione atriale). Si riscontra anche familiarità per eventi ischemici acuti, in assenza di fattori di rischio metabolici. In questo caso il rischio familiare sottende una predisposizione genetica spesso rivelata dalla storia familiare. L’infarto nella donna giovane è raro ma può verificarsi: ho seguito casi di sorelle o cugine, colpite da infarto miocardico in giovane età. E anche di donne giovanissime che, subito dopo aver partorito, hanno avuto una dissecazione coronarica improvvisa. Quest’ultima condizione può verificarsi in malattie ereditarie del connettivo. La più conosciuta è la sindrome di Marfan, in cui si presentano più tipicamente dissecazioni dell’aorta: in altre malattie meno “famose” anche arterie extraortiche possono essere esposte al richio di dissecazione e rottura. Queste malattie tuttavia colpiscono sia uomini che donne. Su questa patologia genetica il nostro centro ha concluso un lungo studio, sostenuto dai finanziamenti della Fondazione Telethon, che ha arruolato 252 pazienti e ne seguito 234 con sindrome di Marfan per più di 4 anni. La ricerca ha avuto lo scopo di valutare come i farmaci attualmente disponibili controllino la progressione della dilatazione della radice aortica. Avremo presto i risultati statistici».
Quali accorgimenti devono adottare le donne per prevenire la malattia cardiovascolare?
«Le donne dovrebbero condurre una vita sana, con particolare attenzione all’alimentazione, che deve contenere pochi grassi, e all’attività fisica. Molto spesso tuttavia hanno lavoro e famiglia da sostenere e le loro priorità non si concentrano sulla propria salute e sul proprio benessere. Se le donne vanno in palestra o praticano sport in ambienti controllati è necessario un certificato medico; può essere utile l’elettrocardiogramma. E’ questa un’occasione per un controllo. Dopo la menopausa è comunque consigliabile (almeno una volta!) assieme agli esami metabolici tradizionali (colesterolo, trigliceridi, glicemia) e alla misurazione periodica della pressione sanguigna. In presenza di fattori di rischio, i controlli devono essere ripetuti con maggiore frequenza sotto guida medica, anche per valutare l’efficacia delle terapie assunte per esempio per il controllo della pressione arteriosa. Il medico può anche suggerire indagini non invasive come l’eco-Doppler delle carotidi. Se nella prevenzione primaria sono indicati soprattutto gli esami di imaging semplici, dopo un evento ischemico si possono eseguire esami più approfonditi, come l’ angio-Tac che permette di visualizzare la placca aterosclerotica coronarica, determinare la presenza di calcificazioni e valutare il grado di pervietà dei lumi vascolari.
Come comportarsi quando c’è familiarità?
«In presenza di situazioni a rischio di cardiopatie genetiche familiari, è opportuno rivolgersi a centri di riferimento specializzati anche al fine di effettuare non solo esami clinici, ma eventualmente anche test genetici appropriati. La diagnosi precoce di malattie genetiche come aritmie (la sindrome del QT lungo, la sindrome di Brugada, la tachicardia ventricolare catecolaminergica) malattie aneurismatiche (come la sindrome di Marfan) o le cardiomiopatie ereditarie, consente un monitoraggio clinico adeguato e la prescrizione di eventuali terapie mediche protettive. In questo modo anche malattie potenzialmente pericolose diventano gestibili e controllabili prima che possano creare complicazioni che compromettano la vita».
di Paola Trombetta