C’è chi nasconde la gravidanza con maglioni e abiti abbondanti. C’è chi, al contrario, mette al corrente il proprio primario per sentirsi poi dire: “Peccato, avrei voluto assumere una dottoressa a tempo pieno: cosa me ne faccio di un’anatra zoppa?”. E ancora casi di dottoresse, con contratto a tempo determinato sottoscritto qualche mese prima, e poi annullato con vari pretesti, dopo aver comunicato la gravidanza. Per non parlare di primari ospedalieri che “invitano” la futura mamma a dare le dimissioni, con la promessa di assumerla, però con partita Iva, a gravidanza conclusa. Sono innumerevoli i casi di donne medico, costrette ad abbandonare il proprio lavoro perché in gravidanza. Nella sola città di Milano, in quattro anni, sono stati documentati 41 i casi di licenziamenti “motivati” a causa di una gravidanza e segnalati all’Osservatorio dedicato alla maternità dell’Ordine dei Medici, che mette a disposizione assistenza legale e psicologica per superare queste difficoltà. Qualche dottoressa ha denunciato queste discriminazioni e ha ottenuto ragione, dopo anni di battaglie in tribunale; altre invece si sono arrese e hanno cambiato ospedale o incarico, per non rinunciare alla maternità e alla professione.
«Anch’io ho sopportato tante ingiustizie, all’inizio della mia carriera», ha ricordato Paola Mencarelli, da 9 anni consigliere di Parità all’Ordine dei Medici, tra le fondatrici dell’Osservatorio dedicato alle donne medico in maternità. «Ho due specialità in Medicina interna e Oncologia, con le quali avrei tanto desiderato rimanere in ospedale. Ho lavorato dapprima in una struttura sanitaria in Lomellina e poi come assistente al Policlinico di Pavia, a 60 chilometri da casa. Ho avuto due figli, ma le fatiche quotidiane del viaggio e il lavoro massacrante, con i turni di notte da sola per 14 giorni consecutivi nel mese di agosto, due mesi prima del parto, mi hanno scoraggiata. E, dopo aver partorito la seconda figlia, ho optato per un lavoro più tranquillo e vicino a casa: il medico scolastico, una professione che esercito tuttora e che, comunque, riserva grandi soddisfazioni, non da ultimo la comodità di andare al lavoro… in bicicletta!».
Non tutte le donne medico però hanno avuto tutte queste opportunità. E rimane comunque ingiusto dover cambiare lavoro per le condizioni discriminanti a cui una donna medico è costretta se rimane incinta. «Al nostro Osservatorio sono pervenute 41 segnalazioni provenienti dalla sola città di Milano, negli ultimi quattro anni», fa notare Maria Teresa Zocchi, referente della Commissione Pari Opportunità dell’Ordine dei Medici di Milano. «In diversi casi è stato riferito che, oltre alla situazione personale segnalata, altre colleghe sono state oggetto di analoghe discriminazioni, ma sono rimaste in silenzio, temendo ritorsioni sulla carriera. Un’ulteriore conferma della difficoltà di far emergere il fenomeno, che certamente coinvolge un numero superiore di persone, rispetto a quelle conosciute. Dei casi segnalati, 24 riguardavano storie di difficoltà/discriminazione nelle procedure di assunzione (“congelamento” di graduatorie, in cui la prima classificata era in stato di gravidanza; consigli di rinuncia “volontaria” a un incarico; interruzione o mancato rinnovo di contratti), sia in ospedali pubblici che privati. Cinque segnalazioni riguardavano le difficoltà nel vedere rispettate le norme durante la gestazione e il divieto di adibire le lavoratrici a mansioni gravose e insalubri. In dodici casi si sono verificati grossi problemi relativi al congedo parentale (rispetto dei tempi del rientro dalla maternità, permessi per l’allattamento negati, difficoltà nella gestione dei turni di guardia). In tre casi le dottoresse, che avevano già subito l’interruzione del contratto anni prima, si sono rivolte all’Osservatorio nel momento in cui rischiava di ripetersi la stessa situazione alla comunicazione di una seconda gravidanza».
Per tutelare le donne medico da questi discriminanti comportamenti, la Consigliera di Parità della Regione Lombardia, Carolina Pellegrini, ha deciso di inviare ai Direttori generali di tutti gli ospedali lombardi, pubblici e privati, una lettera nella quale si richiama la normativa sulla tutela della maternità (Decreto legge n° 151 del 26 marzo 2001) e si invita ad adottare le necessarie iniziative organizzative per rispettarla. In questi mesi verranno monitorate le richieste pervenute all’Osservatorio e si verificherà se i Direttori generali avranno preso atto di questa importante esortazione. «Questa iniziativa ha un grande valore professionale e umano, affinché la nostra Sanità regionale possa diventare un modello di eccellenza nel riconoscimento dei talenti femminili, attraverso un’organizzazione del lavoro che offra alle donne l’opportunità di realizzare la propria professionalità», ha commentato Carolina Pellegrini. «Essere donne, mamme e brave professioniste si può e sono sicura che il nostro messaggio verrà accolto con grande spirito costruttivo e collaborativo, nell’ottica di un miglioramento del livello di eccellenza delle nostre strutture sanitarie».
di Paola Trombetta