Invecchiare, alla conquista della libertà

Il segreto per vivere al meglio la terza e quarta età? Liberarsi dagli stereotipi negativi che da sempre le hanno contrassegnate e sono ancora profondamente radicati nel sentire sociale, a cui si finisce per adattarsi passivamente. Che fare, invece? Cogliere le nuove opportunità. E la sfida, se sei donna, è un po’ più complicata, perché spetta il doppio compito di liberarsi anche degli stereotipi di genere. Lo sostiene la professoressa Rossana De Beni, docente di Psicologia dell’Invecchiamento e di Psicologia della Personalità e delle Differenze Individuali nell’Università di Padova, dove dirige il Master in Psicologia dell’Invecchiamento e presidente SIPI (la Società Italiana di Psicologia dell’Invecchiamento) che nella giornate del 25 e 26 maggio riunisce studiosi, esperti presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Aula Pio XI) per discutere di strategie e politiche per l’invecchiamento attivo.

Come affrontare l’invecchiamento?
«Da una parte c’è un numero crescente di persone che hanno passato i 60-70 e vogliono sentirsi attivi, utili, vogliono crescere e imparare ancora. Dall’altra, c’è la tendenza diffusa a credere che conti di più l’età cronologica di quella fisica e psicologica. Il primo passo va compiuto a livello culturale e individuale ed è la fuga dagli stereotipi. Essere anziani non significa essere “una scarpa vecchia”, da buttare, o un carico improduttivo per la società. Il problema maggiore sono soprattutto gli stereotipi profondamente radicati nella nostra cultura, che portano alle discriminazioni di una persona in base dell’età. L’invecchiamento viene ancora presentato come il periodo delle perdite e della solitudine, tant’è che rimaniamo stupiti quando incontriamo una persona anziana, nel pieno delle proprie facoltà, che continua a portare avanti la sua attività e mantiene uno spirito attivo. La vecchiaia invece non è un destino predefinito, un peso di cui farsi carico: è un’avventura esistenziale da inventare».

Cos’è allora la vecchiaia?
«È una fase della vita che, nonostante le fragilità specifiche, quando è esente da patologie, può essere vissuta con piena soddisfazione. Affetto, sessualità, sentimenti profondi, il piacere di rendersi ancora utili, non hanno una data di scadenza. Si possono creare nuovi orizzonti, nuove scelte, come in qualunque altro momento della vita. Fino a qualche decennio fa si pensava che il cervello fosse un organo rigido e immodificabile, ma poi si e scoperto che possiede la capacità di rimodellarsi e modificarsi. C’è poi il secondo livello, quello sociale: ed è il più duro. Perché si comincia a essere vecchi quando la società non riconosce più la tua esistenza come persona, arricchita da un ampio bagaglio di storia e vissuti da esplorare, conoscere e valorizzare. Perché dei vecchi invece non ci si occupa. Ci si occupa forse dei bambini, ma i vecchi non hanno futuro, non ha senso preoccuparsene. In campo sanitario, la stereotipizzazione conduce, ad esempio, al rischio di un trattamento non adeguato di cure, un minore accesso a tecniche di diagnostica per immagini (RMN, PET), con informazioni cliniche meno approfondite. Autonomia e dignità richiedono anche un’indipendenza economica essenziale. L’erosione del potere d’acquisto e l’obiettiva pochezza di molte pensioni rendono invece sempre più fragile la possibilità di autonomia».

Qualche consiglio?
«Costruire la nostra terza età durante l’intero arco della vita. L’invecchiamento dipende solo in parte da fattori genetici; il resto è legato a comportamenti e stili di vita. I primi due fattori di salute sono ben noti: nutrizione appropriata ed esercizio fisico. Anche l’ambiente gioca un ruolo cruciale, come pure la qualità delle relazioni sociali, la situazione economica, le reti familiari, gli interessi».

È chiaro che gli anni passano per tutti, senza distinzione tra uomini e donne. Tuttavia, il modo in cui si invecchia è diverso…
«Uomini e donne, che su tanti fronti hanno ormai raggiunto la parità, in riferimento al proprio corpo che invecchia hanno prospettive differenti: gli uomini sanno che la maturità può regalare loro una certa quota di fascino ancora spendibile. Le donne molto meno. Dopo una certa età, secondo lo stereotipo, ci si taglia i capelli, si smette di tingersi del colore che si aveva da giovani, ci si trucca poco. Negli uomini i capelli bianchi, le rughe e l’invecchiamento in generale vengono percepiti come sintomo di acquisita esperienza, comunicano autorevolezza e rispetto, persino fascino. Mentre per molte donne coincide con una presunta perdita: della giovinezza o, quando c’è stata, della bellezza, senza che in cambio vi sia il riconoscimento di quel che l’età ha portato, in termini di esperienza, come invece accade agli uomini.

Le donne che invecchiano pare diventino “invisibili”…
«In realtà vengono apprezzate magari come nonne, come la mitica Nonna Papera dei fumetti che faceva le torte. Più in là non si va. Come si concilia questo modello con l’attuale sessantenne che, se ha la fortuna di essere in salute, ha ancora tanto tempo davanti a sé da vivere e progettare, anche grazie ai progressi della medicina che migliora la sua salute, la sua estetica e il suo benessere? Qualcosa fortunatamente sta cambiando: nuovi modelli di femminilità in età matura stanno entrando nell’immaginario collettivo. Vitali e mai succubi di finte giovinezze. Con una mai sopita curiosità verso il mondo e tanta voglia di fare, in un tempo della vita che “può ancora dare molto”, al di là dell’età anagrafica. La conquista della libertà è il premio di una vecchiaia riuscita».

di Cristina Tirinzoni

 

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Il libro consigliato

Ritratti di donne da vecchie (Iacobelli editore) è il titolo del recente libro di Luisa Ricaldone.
Pagina dopo pagina, l’autrice mette in ordine differenti esperienze di vita, tra luoghi comuni e inediti punti di vista. Da non perdere. C. T.

 

 

 

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