All’indomani del referendum che ha sancito la legalità dell’aborto anche nella cattolicissima Irlanda, sono trascorsi 40 anni dall’entrata in vigore in Italia della legge 194, approvata il 22 maggio del 1978, che riconosce alle donne il diritto di interrompere volontariamente la gravidanza e dell’assistenza ospedaliera pubblica in caso di interruzione di una gravidanza indesiderata. Prima di allora l’aborto era considerato dal codice penale italiano un reato e le donne erano costrette a ricorrere a pericolose pratiche clandestine o abortire all’estero. Per fare un bilancio di successi e criticità nella sua applicazione, abbiamo intervistato Giorgia Serughetti, sociologa dell’Università di Milano Bicocca, esperta di gender e autrice, insieme a Cecilia D’Elia, del saggio Libere tutte. Dall’aborto al velo, donne nel nuovo millennio (Minimum fax, 2017).
Cos’è cambiato in questi 40 anni? Potrebbe fare un bilancio della legge 194?
«Il primo dato incontrovertibile, confermato dal Ministero della Salute, è la diminuzione del numero degli aborti. Dal picco del 1982 che registrò 234.801 interruzioni volontarie di gravidanza, siamo passati a 84.926 aborti nel 2016. Tra le minorenni, il tasso di abortività per il 2016 è risultato pari a 3,1 per 1000, un valore identico a quello del 2015, ma in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Numeri che testimoniano un cambiamento, dovuto a diversi fattori: tassi più alti d’istruzione, una maggiore diffusione dell’educazione sessuale e della scelta contraccettiva (pillola e spirale). Anche l’introduzione della cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo, utilizzata come sistema anticoncezionale di emergenza, pare abbia inciso sul calo degli aborti. C’è un aumento costante delle vendite da quando, nel maggio 2015, è stato abolito l’obbligo della ricetta medica per le maggiorenni. Dalle oltre 145mila confezioni di EllaOne vendute nelle farmacie nel 2015, si è passati a quasi 240mila confezioni nel 2016. Il rialzo riguarda anche il Levonorgestrel (Norlevo): 214.532 le confezioni vendute nel 2016, 161.888 nel 2015».
Gli aborti calano, dunque, e non solo per merito di questa legge?
«Gli interventi sono diminuiti anche perché in diversi ospedali non viene erogato il servizio. Da Nord a Sud, il ricorso all’obiezione di coscienza dei medici che lavorano nelle strutture pubbliche è in continuo aumento. Sono obiettori oltre il 70 % dei ginecologi e oltre il 50% di anestesisti e infermieri. Nel Molise sono obiettori il 93,3% dei ginecologi, il 92,9% nella provincia di Bolzano, il 90.2% in Basilicata, l’87,6% in Sicilia, l’86,1% in Puglia, l’81,8% in Campania, l’80,7% nel Lazio e in Abruzzo. Ci sono anche ospedali dove c’è l’obiezione di struttura, ovvero il 100% dei medici rifiuta di applicare la legge. E alcuni ospedali non hanno proprio il reparto. Su 94 ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia, solo 62 effettuano aborti, ovvero il 65,5% del totale».
Quali potrebbero essere le conseguenze? C’è il rischio che ritorni l’aborto clandestino?
«Per le donne, abortire legalmente può diventare un’odissea, con pellegrinaggi tra le varie città, o addirittura regioni, per trovare medici non obiettori, prenotazioni, giornate perse a fare la fila, spesso per non ottenere nulla, con la gravidanza che si spinge sempre più in avanti, superando anche i tempi entro cui l’interruzione è permessa. Così tante donne abbandonano. Dove finiscono le donne che hanno chiesto di abortire e poi spariscono? Dati precisi non ci sono. Secondo il Ministero della Salute, gli aborti illegali sarebbero da 12 ai 15mila casi. Ma secondo alcune stime sono almeno il doppio. Ne esistono ancora di due tipi. Quello che riguarda le donne di alto livello sociale che, per evitare attese e per motivi di riservatezza, vanno in cliniche private. E quello che riguarda le donne che non possono abortire legalmente, perché in ospedale la lista d’attesa è troppo lunga. In molti casi utilizzano farmaci abortivi che si possono anche comprare online, con tutti i rischi che questo comporta».
Perché ci sono cosi tanti medici obiettori nel nostro Paese?
«L’obiezione è un diritto sancito dalla legge, ma forse se ne fa un abuso: non è pensabile che una percentuale così elevata sia attribuibile a soli convincimenti etici e religiosi, che vanno comunque rispettati. In altri Paesi gli obiettori di coscienza sono in minoranza. La Gran Bretagna registra circa il 10% di medici obiettori. In Svezia e in Finlandia la clausola dell’obiezione di coscienza non esiste. In Germania e in Norvegia il numero di medici obiettori raggiunge la soglia del 6% e in Francia del 3%».
Quali priorità si potrebbero evidenziare per migliorare la legge 194?
«Occorre farla applicare correttamente. E soprattutto diffondere una corretta educazione sessuale fondata sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate. In questo senso è importante potenziare i consultori familiari che sono sempre meno e hanno personale insufficiente. Occorre anche favorire la prescrizione della pillola RU486, a base di mefipristone, in grado di bloccare gli effetti del progesterone, l’ormone che favorisce la prosecuzione della gravidanza. Questa pillola può essere usata entro la settima settimana di gravidanza ed è una procedura meno invasiva di un intervento chirurgico: dopo 48 ore vengono somministrate altre due pillole di misoprostolo, una prostaglandina che determina la contrazione e la dilatazione del collo dell’utero e quindi completano il distacco della camera gestazionale e ne determinano l’espulsione. Nel nostro Paese solo il 15,7% delle IVG avviene con questa pillola, in controtendenza rispetto alla Francia (oltre il 50%), la Svezia (83%), la Norvegia (84%) e Finlandia (94%), perfino la Spagna (27%) ».
di Cristina Tirinzoni