L’estate è tempo di viaggi, di vacanze per gustarsi il meritato riposo, ma anche di “sentimenti”. Come quelli che spingono i genitori a recarsi in Paesi dall’altro capo del mondo per conoscere il proprio figlio, quello che hanno deciso di adottare, crescere, accudire e istruire. Questi viaggi un tempo erano moltissimi; oggi non è più così, tanto che secondo le stime diffuse dagli organi preposti, nell’ultimo triennio le adozioni internazionali sarebbero in forte flessione. Meno 76% negli Stati Uniti e in Francia fino a un picco del 90% in Spagna. Non è esclusa l’Italia, che adotta ogni anno (solo) 1.500 bambini stranieri, contro il migliaio di piccoli nazionali, invece stabili nel tempo. Le ragioni del deficit di adozioni fuori confine sono molteplici e vanno dalla mancanza di supporto economico o psicosociale alle famiglie, alla salute spesso compromessa dei piccoli, che può rappresentare per alcuni un ostacolo all’adozione, ma anche al lungo iter prima che questa diventi effettiva. Fino all’attuale preoccupazione per la possibilità di pratiche illecite o il sospetto di presunte adozioni illegali, un fenomeno che avrebbe coinvolto anche l’Italia. Eppure i bambini che avrebbero bisogno di essere accolti e accuditi da famiglie italiane sono ben più numerosi di quelli che entrano nel nostro Paese ogni anno. «La maggior parte dei bambini adottati– spiega la dottoressa Paola Crestani, Presidente di CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia) – proviene dalla Russia o dalla Colombia, ma ultimamente stanno aumentando anche i piccoli provenienti dall’India o dall’Africa».
Le adozioni non sono facili, fin dalla selezione delle famiglie, poiché i genitori devono essere idonei, sia che si tratti di un’adozione internazionale o nazionale, ad accogliere e prendersi cura del piccolo che verrà loro destinato. «La coppia, per legge – aggiunge Crestani – deve dimostrare di essere sposata o almeno convivente da 3 anni. Inoltre, deve avere capacità e caratteristiche per crescere un bambino: qualità che vengono valutate dall’équipe dei servizi psicosociali territoriali con test attitudinali e psicologici, attraverso colloqui e percorsi di formazione che aiutano anche i genitori a capire ciò a cui vanno incontro, accogliendo un bambino». Sebbene l’adozione rappresenti per i piccoli uno strumento di protezione straordinario, che offre loro una prospettiva di vita serena dopo storie di abbandono o di problematiche importanti, ai genitori potrebbe riservare alcuni ostacoli e rischi. «Si sta modificando la tipologia di bambini che hanno bisogno di essere adottati: pochissimi sono piccoli, in media hanno 6 anni – precisa la Presidente – e problemi di salute di varia entità, tra cui sempre più spesso traumi o abusi che hanno lasciato problematiche psicologiche importanti. Pertanto ai genitori è richiesto non solo il desiderio di adottare, ma anche la giusta consapevolezza e le risorse per affrontare situazioni non sempre semplicissime. Accertare questa disponibilità è uno degli obiettivi del percorso che la coppia intraprende con i servizi sociali».
Il rischio più grosso resta quello di non ottenere l’idoneità. «Questo non vuol dire che non si è genitori sufficientemente buoni – commenta Crestani – ma semplicemente che per quella tipologia di bambini difficili, non si hanno risorse sufficienti. A questo aspetto si somma poi l’iter dell’attesa: spesso molto lunga, sia per quanto riguarda la parte italiana, ottenere cioè l’idoneità dal Tribunale, sia per la parte internazionale che riguarda invece la ricerca e l’abbinamento con un bambino». La durata dell’intero processo – dall’avvio delle pratiche di richiesta, all’incontro del bambino fino all’adozione effettiva – può richiedere anche due anni. «Questo perché il percorso prevede due fasi distinte: dapprima l’ottenimento dell’idoneità dal Tribunale per i minorenni, che per legge dovrebbe essere confermata al massimo entro 9 mesi, ma di fatto la media è di un anno circa, fino a casi limite di 2 anni. A questo tempo segue quello che intercorre dall’ottenimento di idoneità all’incontro, o meglio all’abbinamento con il bambino, che richiede mediamente 2 anni». Se tutto va bene, la “gestazione” è di circa 3 anni. Di contro, ci sono casi in cui i tempi di adozione sono molto più brevi: ciò dipende dalla disponibilità, ad esempio, della famiglia ad accogliere un bambino con problematiche gravi o impegnative. «In questi contesti – dichiara Crestani – è probabile che l’abbinamento con il bambino sia più veloce».
Ma come si fa richiesta di adozione internazionale o nazionale? Ci sono tappe obbligate da rispettare. «La coppia deve dapprima rivolgersi ai servizi sociali territoriali, da cui riceve le informazioni per la presentazione della domanda di idoneità al Tribunale dei Minorenni della zona di competenza. Successivamente – conclude la Presidente – gli aspiranti genitori saranno invitati a una serie di colloqui, di cui l’ultimo avviene con il giudice del Tribunale e, una volta ottenuta l’idoneità dal Tribunale dei Minorenni, in caso di adozione internazionale ci si dovrà rivolgere obbligatoriamente a un ente autorizzato, facente cioè parte dell’Albo della Commissione adozioni (www.commissioneadozioni.it), che darà avvio alla richiesta di adozione, al necessario percorso conoscitivo e innovativo, fino all’ abbinamento finale tra genitori e il bambino. A questo punto, la famiglia verrà invitata ad andare nel paese di origine del piccolo per portarlo a casa. Ma la pratica ancora non si è conclusa, perché ai genitori è richiesto di dare notizie del bambino, delle sue condizioni e stato di salute, inviando al Paese di provenienza uno-due volte l’anno – almeno per i primi 2 anni dopo l’adozione, in alcuni paesi anche fino al 18mo anno di età – un report che verrà compilato assieme all’ente o ai servizi sociali».
Se l’iter burocratico è infinitamente complesso, la gioia di avere poi un bambino da stringere fra le braccia, vedendolo crescere, è altrettanto infinitamente grande.
di Francesca Morelli