La seconda guerra mondiale infuria già da qualche anno. Rosa Sauer viene reclutata dalle SS per assaggiare i pasti destinati ad Adolf Hitler, che aveva il terrore di essere avvelenato. Ogni giorno viene prelevata dalla casa di campagna in cui vive con i suoceri ed è condotta alla “tana del lupo”, la dimora top secret in cui si nasconde il Führer. Ogni giorno Rosa e altre nove donne, “le colleghe”, devono assaggiare tutto quello che verrà servito sulla tavola del Fuhrer. Con il suo romanzo Le Assaggiatrici (Feltrinelli) Rosella Postorino, classe 1978, radici calabresi e infanzia ligure, ha stravinto il Premio Campiello edizione 2018. La giovane scrittrice (La stanza di sopra, il suo romanzo di esordio nel 2007, seguito da Il mare in salita, Il corpo docile) editor di Einaudi Stile Libero, ha trionfato raccogliendo 167 voti su 278 arrivati dalla giuria popolare (composta per il 52,2% da donne e il 47,8% da uomini). Un romanzo che indaga a fondo la complessità e l’ambivalenza dell’animo umano, e che fa riflettere su quanto siamo davvero liberi di scegliere. Rosa, la protagonista del romanzo, ispirato alla storia vera di Margot Wölk – che dopo anni di silenzio ha raccontato di essere stata assaggiatrice di Adolf Hitler nella caserma di Karusendorf – è una donna in trappola: può mangiare mentre fuori infuriano fame, orrore e distruzione. Allo stesso tempo, ogni volta che si trova davanti al piatto, sa di sfidare la morte. Ogni boccone che mangerà potrebbe essere l’ultimo. «L’obiettivo di Rosa è sopravvivere», ci racconta Postorino. «Il mio libro parla di cose che riguardano l’esistenza di chiunque. Tutti abbiamo paura. Siamo tutti spinti dall’istinto di sopravvivenza. Tutti siamo scesi a compromessi con noi stessi, almeno una volta. Nessuno può immaginare che cosa farebbe in una situazione estrema. Proprio perché me lo sono chiesto, ho scritto una storia estrema: la storia di una donna che avrei potuto essere io, se avessi avuto 26 anni nel ’43 ».
A chi dedica la vittoria del Campiello?
«A chi mi è stato vicino mentre scrivevo, il mio compagno, che non solo non si è mai lamentato per il tempo che la scrittura sottraeva a lui, ma ha letto il romanzo in diverse versioni, dandomi dei consigli».
Qual è stata la reazione dei lettori che più l’ha colpita?
«Mi colpisce l’identificazione con Rosa in persone molto lontane da lei, come me del resto, e persino negli uomini. Mi colpiscono le reazioni rispetto al finale: la maggioranza dei lettori lo trova l’unico possibile, e commovente, altri si arrabbiano perché Rosa non reincontra alcuni personaggi; è un finale volutamente dimesso, ho scelto un tono distante dal resto del libro, e questo può spiazzare (mai gli uomini, finora). Mi ha colpito il dibattito sulla “colpevolezza” di Rosa alla fine di qualche presentazione: la gente mi ha raccontato dei nonni che avevano preso la tessera fascista senza essere fascisti, e non voleva chiamarli colpevoli né che qualcuno li considerasse tali. La mia visione è più radicale: anche un soldato, che ad andare in guerra è obbligato, diventa colpevole perché la guerra si fa uccidendo. Diventa colpevole anche se è una vittima, proprio come quei nonni costretti a una dittatura. Tant’è vero che i reduci spesso soffrono di disturbi psichici: l’esperienza della guerra è un trauma».
Nel suo romanzo la protagonista, la giovane Rosa Sauer, per sopravvivere rischiava ogni giorno la morte. Le assaggiatrici parla di tante cose ma soprattutto di scelte e dell’impossibilità di scegliere. Lei cosa ne pensa? Non siamo mai veramente liberi o spesso crediamo di non avere scelte?
«Non siamo mai veramente liberi: si può scegliere, ma spesso pagando un prezzo molto alto. È il caso a decidere se nascerai africano e sarai costretto a partire su un gommone per cercare di salvarti o rischierai di morire nella tua terra. L’essere umano può tentare di tendere al bene, ma in condizioni estreme, e lontano da dicotomie religiose o ideologiche, i confini di bene e male purtroppo si assottigliano».
Lei ha vinto il Campiello, Helena Janeczek è vincitrice del Premio Strega… È un momento felice per le scrittrici. Due premi che sicuramente valorizzano la scrittura e la creatività femminile in campo letterario. Crede che esista oggi una peculiarità della scrittura femminile?
«Credo non sia mai esistita una “peculiarità” della scrittura fatta da donne, e detesto l’espressione “scrittura femminile”. L’insistenza sulla vittoria di due donne ai premi letterari più importanti, quasi fosse un fenomeno bizzarro, rivela quanto poco evoluta sia la nostra cultura».
di Cristina Tirinzoni