I dati sono in costante ascesa: 4,5 milioni di casi solo in Italia, con previsioni di diventare entro il 2030, secondo le stime dell’Oms, la malattia cronica “globalmente” più diffusa. È il quadro della depressione, un disturbo psichiatrico prevalentemente di genere; colpisce infatti le donne con un rischio due volte maggiore rispetto all’uomo, in alcuni momenti più fragili del ciclo vitale, l’adolescenza, la gravidanza, il climaterio o l’età matura, sebbene nessuno ne sia esente. Almeno una volta nella vita, da una persona su 5 a una su 3 ha provato questo stato di pesante prostrazione, con una percentuale di rischio individuale di sviluppare un episodio depressivo del 15%.
Però le stime sembrano sommerse: di depressione si soffre di più, ma la si nasconde perché resta ancora uno stigma: dopo il tumore è la malattia che fa più paura. «L’esordio – spiega Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di salute mentale e neuroscienze dell’ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano – può avvenire a qualunque età, ma è più frequente tra i 20 e i 30 anni, con un picco di incidenza nella decade successiva e con gravi ripercussioni sul piano affettivo, familiare, socio-relazionale e professionale». Senza contare i costi diretti, pesanti, della malattia: terapie dedicate, interrotte e poi riprese causa spesso di ricadute o riacutizzazione degli episodi, ricoveri ospedalieri nei casi più gravi, giornate di lavoro e di vita perse.
«Secondo una recente indagine di Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere) – dichiara la Presidente, Francesca Merzagora – la depressione impatta negativamente in tutte le sfere della vita: sull’autostima (78%), sulla vita sociale e relazionale (70%), sugli interessi personali (67%) coinvolgendo il paziente e la sua famiglia. Tre italiani su 5 considerano la depressione una malattia seria e complessa, da diagnosticare e curare e un paziente su 5 ha pensieri suicidi, con un rischio di suicidio in coloro che soffrono di depressione del 10-15%, mentre il rischio di tentato suicidio è di 40 volte superiore rispetto alla popolazione generale».
In 10 anni la depressione ha registrato +18% di manifestazioni, alimentati dalla combinazione di almeno tre fattori, secondo le ultime scoperte scientifiche: una componente genetica che pesa per 1/3 sulla malattia; gli accadimenti della vita con un impatto più o meno importante condizionato dall’età; l’influenza dell’ambiente, compreso l’uso di stimolanti, quali nicotina e fumo, l’assunzione di alimenti eccitanti, la riduzione delle ore di sonno, gli spostamenti rapidi che richiedono un adattamento repentino ai cambamenti di latitudine, luce e temperature. Tutti fattori che richiamano il coinvolgimento e l’azione immediata del cervello che, alla fine, ne fa le spese e va in crisi. «La depressione – aggiunge Mencacci – non è la tristezza che tutti sperimentiamo, bensì è la perdita di piacere delle cose, l’azzeramento della spinta vitale dove presente e futuro non sono più “visualizzabili”, non costituiscono più un obiettivo verso cui tendere. Il depresso perde fiducia in se stesso, sente di non poter affrontare i cambiamenti repentini, fa fatica a seguirli e si lascia andare anche a un’apatia cognitiva, calano la capacità di concentrazione, di attenzione, ma anche appetito e sonno».
Più fragili ed esposte alla depressione sono le donne, non soltanto per una questione ormonale, ma anche per il maggior coinvolgimento con cui “sentono” il mondo fino a subirne le influenze, per la vita “multitasking” che le impegna in ambito professionale, familiare e di care-giver, il contesto culturale o religioso su cui possono pesare anche il livello di istruzione e la disponibilità economica. Infine, ma non ultimo, una perdita dell’autostima, sebbene questo aspetto sia più tipico del maschio.
Oggi, nonostante le molte implicazioni “disabilitanti” che la depressione causa alla vita sociale, relazionale, affettiva e professionale è meglio curabile, grazie anche alle nuove informazioni sulla malattia. «Uno degli aspetti più rilevanti e innovativi è la scoperta della relazione fra infiammazione e depressione: pazienti con infiammazione sistemica sono frequentemente depressi e pazienti depressi mostrano un aumento di indici dell’infiammazione». Sono stati individuati una serie di marker infiammatori, una sorta di “kit diagnostico” che, con altri test mirati come quelli di farmacogenomica e i test salivari, in grado di identificare la migliore risposta individuale a una specifica terapia, consentono di capire la propensione allo sviluppo di malattia e dunque a prevenirla o trattarla in anticipo. E, meglio, grazie ad esempio all’attuazione di indagini sulla cognitività durante l’evento depressivo accompagnati da eventuali altri esami di imaging.
Tra i farmaci più innovativi ci sono oggi formulazioni che agiscono sulla serotonina e dopamina o i farmaci multimodali a doppia azione simultanea, più efficaci, più sicuri e con minori effetti collaterali. «L’appropriatezza e l’aderenza terapeutica – commenta Gaetana Muserra, Coordinatore Area Nazionale Psichiatria SIFO – sono cardine della cura. Non esiste il farmaco più efficace per la depressione ma quello più adeguato che di norma agisce dopo 2-4 settimane dalla prima somministrazione. Da qui l’importanza di educare il paziente a continuare la terapia, anche se inizialmente sembra non dare risultati, raccomandando soprattutto di assumerla per almeno 9 mesi dopo l’evento e per 4-5 anni dopo una ricaduta».
In associazione alla terapia farmacologica, secondo i casi, è possibile intraprendere un percorso di psicoterapia oppure avvalersi della cronoterapia o di trattamenti “stimolanti”. «Fondamentale – sottolinea Mencacci – è che la persona venga ascoltata, riconosciuta nelle sue difficoltà e riportata a guardare il futuro con curiosità, vincendo il rischio di “fermare” il tempo e cronicizzare la depressione». Favorendo così anche il recupero di uno stile di vita sano: almeno 300 minuti di attività fisica settimanale (5 ore di camminata, ovvero 100 passi veloci al minuto), attenzione all’alimentazione evitando cibi che provocano infiammazione e fare il possibile per reintegrarsi nel tessuto sociale.
«Dunque la depressione si può curare – conclude il professore – e nel 40% dei casi è possibile anche guarirla», come raccontano le storie di vita raccolte nel libro “Viaggio nella depressione. Esplorarne i confini per riconoscerla e affrontarla” (collana Self Help, Franco Angeli), a cura di Claudio Mencacci e della giornalista scientifica Paola Scaccabarozzi.
di Francesca Morelli