Chi vive con il diabete in Italia oggi può stare tranquillo perché riceverà il massimo delle cure disponibili. Pare infatti che il nostro Paese sia tra quelli più virtuosi in Europa per il trattamento di questa patologia. Gli Annali, ovvero la raccolta dati dalle cartelle cliniche informatizzate dei diabetologi Italiani, concorrono a migliorare la gestione del paziente e l’appropriatezza delle cure. Lo confermano gli specialisti intervenuti al IX Convegno Nazionale promosso da Fondazione AMD (Associazione Medici Diabetologi), che si è tenuto i giorni scorsi a Roma, per la Giornata Mondiale del Diabete (14 novembre). Nell’occasione sono stati presentati i nuovi Annali, un quadro completo dell’assistenza erogata a più di 450 mila pazienti (91% con diabete tipo 2, 6% tipo 1), visitati in 222 Centri di Diabetologia. Rispetto alla precedente edizione del 2011, si è rilevato un costante miglioramento su diversi fronti: dal monitoraggio della malattia e dei fattori di rischio cardiovascolare, al controllo dell’emoglobina glicata, colesterolo e pressione, all’utilizzo più appropriato dei farmaci. E sul versante di genere, quali informazioni sono state raccolte?
Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Valeria Manicardi, diabetologa di Reggio Emilia e coordinatore nazionale degli Annali AMD, e che in precedenza ha coordinato per quattro anni il Gruppo Donna.
«Dal 2011 ad oggi, abbiamo ricavato dagli Annali molte notizie e abbiamo stilato alcune monografie su temi particolari, come quello del diabete di genere: nel 2013 sul diabete tipo 2 e nel 2015 sul tipo 1. Nel tipo 2, molto più diffuso, le donne analizzate sono risultate più avanti negli anni rispetto agli uomini, più obese, con un profilo lipidico e un rischio cardiovascolare peggiore fin dalla diagnosi. Anche nel corso della malattia diabetica, i parametri sono risultati sempre peggiori rispetto agli uomini (emoglobina glicata, colesterolo LDL, obesità). Nel diabete tipo 1, le donne fanno più fatica a mantenere il giusto controllo della malattia (HbA1c <= 7%) e hanno valori di emoglobina glicata più alti rispetto ai maschi di pari età e durata di malattia».
Per quale motivo questi parametri sono più svantaggiosi nella donna? Vengono forse curate meno degli uomini o i farmaci sono meno efficaci?
«I dati della letteratura internazionale riportano che le donne, in generale, e quelle con diabete in particolare hanno una storia cardiovascolare peggiore rispetto agli uomini, ma sembrano avere minore accesso alle cure e vengono trattate di meno, soprattutto riguardo a farmaci come statine, aspirina, betabloccanti. Al contrario, nella nostra Rete italiana dei Servizi di Diabetologia, abbiamo dimostrato che le donne ricevono lo stesso trattamento degli uomini, sia con le statine, che con altri farmaci per la prevenzione cardiovascolare. Addirittura sono più trattate per l’ipertensione e anche per il diabete più complesso vengono controllate e ricevono terapie più degli uomini».
Come si spiega allora questo “gap” di maggior gravità della malattia e delle complicanze nelle donne diabetiche?
«I motivi sono diversi: le donne arrivano alla malattia diabetica in condizioni più compromesse, sono obese e hanno un profilo lipidico peggiore. Probabilmente c’è anche una differente risposta ai farmaci, in particolare si è registrata una sorta di resistenza alle statine, motivo per cui il colesterolo nella donna rimane elevato, anche se trattato con gli stessi farmaci. Sui farmaci specifici usati per il controllo del diabete non abbiamo ancora riscontri. Nel diabete tipo1 la difficoltà di raggiungere un buon controllo dipende anche da una maggiore variabilità delle glicemie, e su questo l’assetto ormonale della donna gioca a sfavore: il menarca, il ciclo mestruale, la gravidanza, la menopausa sono condizioni che comportano variazioni rilevanti degli ormoni estro-progestinici , che interferiscono con il metabolismo dei lipidi e degli zuccheri. Entro il prossimo anno ci impegneremo a confrontare i dati raccolti nelle donne diabetiche in età fertile con quelle in menopausa per valutare le differenze».
Avete rilevato differenze tra uomini e donne nella somministrazione della terapia per il diabete, ad esempio riguardo l’uso dei microinfusori?
«Quello che abbiamo rilevato è che il controllo del diebete migliora, sia negli uomini che nelle donne, quando usano il microinfusore, rispetto alla terapia multi-iniettiva. Se con le iniezioni una donna su 5 è a target, con il microinfusore diventa a target una donna su 4. La differenza sta nel fatto che le donne usano di più il microinfusore (20% contro il 14% degli uomini). E questo si spiega non solo con la migliore gestione della gravidanza, ma anche come tentativo dei diabetologi italiani di migliorarne il compenso. La diffusione sempre maggiore dei sensori sottocutanei della glicemia può aiutare sensibilmente le persone con diabete ad ottenere un controllo ottimale: questi sistemi per rilevare la glicemia, tra qualche anno, potrebbero diventare un apparecchio unico con il microinfusore».
Anche la tecnologia dunque ha fatto passi da gigante nella gestione della malattia diabetica. Quanto potranno incidere l’Intelligenza Artificiale e i Big Data sulla ricerca e la cura del diabete?
«Come per altre patologie, anche il diabete si avvale delle nuove scoperte tecnologiche sempre più all’avanguardia. La misurazione elettronica e continua durante la giornata della glicemia, consente al medico di valutare meglio le fluttuazioni e scoprire ad esempio che ci possono essere altri fattori che concorrono a modificare l’indice glicemico, come lo stress, lo stato emotivo, l’ansia. Un altro grande progresso è la possibilità di disporre di cartelle cliniche informatizzate, utilizzate nei singoli Centri di Diabetologia: questo rende possibile al medico di monitorare meglio la malattia, anche a distanza, e al paziente di non dover più portare cartelle cliniche cartacee alle visite o durante i ricoveri in ospedale. E consente a medici e ai ricercatori di lavorare meglio. A Reggio Emilia, ad esempio, facciamo annualmente un incontro per valutare i dati di tutti i centri di Diabetologia e questo ci permette di identificare aree di miglioramento e azioni da attuare. La raccolta dati e Il confronto di queste informazioni cliniche consentono di calibrare meglio la terapia e rendere sempre più efficiente la cura: la mole sempre più grande di dati a disposizione (Big Data) potrà permettere nel prossimo futuro, grazie all’Intelligenza Artificiale, di avere dati di predizione : sapere cosa potrà condizionare la comparsa di complicanze della malattia e di agire di conseguenza».
di Paola Trombetta