Progetto di genitorialità a rischio per il 15% di coppie italiane, soprattutto se uno dei due partner o entrambi, soffrono di diabete, disturbi alla tiroide o all’ipofisi: tre condizioni che si profilano come possibili implicazioni/indicatori di infertilità. Lo anticipano gli esperti dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME) che sono riuniti a Roma per il 17° Congresso Nazionale, dall’8 all’11 novembre. «La capacità di concepimento del maschio con diabete – spiega Olga Disoteo, membro del Gruppo di lavoro Diabete AME – Diabetologia A.S.S.T. “Grande Ospedale Metropolitano Niguarda”, Milano – è inferiore al normale a causa della motilità spermatica significativamente più bassa o alla possibile, e più frequente, presenza di difetti e immaturità dello sperma stesso rispetto a uomini sani. Invece nella donna, fatta eccezione per chi ha problemi di ovaio policistico, il diabete non incide sulla fertilità tanto che, anche in caso di malattia, si mantengono le stesse probabilità di concepire – pari al 95% – della popolazione femminile senza diabete. Alle donne con malattia è però richiesto un attento monitoraggio del diabete prima e durante la gravidanza: programmare la maternità in un periodo di ottimale controllo metabolico è indispensabile per minimizzare possibili malformazioni nell’embrione che, in caso di diabete fuori controllo, possono presentarsi con una frequenza 4-5 volte superiore rispetto alla popolazione generale, ma anche per ridurre la comparsa di gravi e possibili complicanze gestazionali».
Le disfunzioni tiroidee possono rappresentare un secondo problema per la natalità, in quanto abbassano la fertilità sia nelle donne che negli uomini che ne sono portatori. «In caso di infertilità nella coppia che cerca un bambino – aggiunge Rinaldo Guglielmi, Past President AME – Direttore Struttura Complessa Endocrinologia e Malattie Del Metabolismo, Ospedale Regina Apostolorum, Albano Laziale – è consigliabile una valutazione della funzionalità tiroidea. Per la donna c’è la complicità degli ormoni; infatti, benché gli ormoni tiroidei influenzino direttamente l’attività degli ovociti e la recettività dell’utero, alterazioni anche lievi dell’ormone prolattina in caso di ipotiroidismo possono (inter)agire in maniera sensibile sulla funzione riproduttiva, riducendola. Ma non solo: l’aumentata funzionalità tiroidea (ipertiroidismo), come la ridotta attività (ipotiroidismo), possono essere causa frequente di interruzioni di gravidanza, malformazioni e complicanze. Negli uomini, invece, entrambe le condizioni – ovvero l’iper o l’ipo-attività della tiroide – limitano la produzione di testosterone, l’ormone che regola la funzione sessuale, favorendo l’eiaculazione precoce e raramente ritardata, alterazioni della libido, fino a una vera e propria disfunzione erettile oppure può indurre la riduzione del numero e della qualità degli spermatozoi, compresi difetti della mobilità e immaturità, prime cause di infertilità maschile».
Infine possono svolgere un ruolo “infertile” anche i disturbi all’ipofisi, sia di natura genetica, sia tumorale o infiammatoria. Questi, in entrambi i sessi, nella maggior parte dei casi generano sterilità. «Compito dell’ipofisi – chiarisce Renato Cozzi, Coordinatore Attività Editoriale AME e Direttore Struttura Complessa Endocrinologia, “Grande Ospedale Metropolitano Niguarda” di Milano – è produrre le gonadotropine, ovvero ormoni, quali i follicolo-stimolante (FSH) e luteinizzante (LH), che controllano il regolare funzionamento delle ovaie e la produzione degli spermatozoi nei testicoli. Nell’infanzia l’insufficiente produzione di tutti gli ormoni ipofisari (ipopituitarismo), curabile con una terapia sostitutiva con gonadotropine, può avere natura genetica o traumatica da parto, con ripercussioni sulla fertilità che si manifesteranno nella pubertà. Mentre nelle malattie ipofisarie, come l’acromegalia e la malattia di Cushing, in cui si ha una eccessiva produzione di ormoni di diversa natura, e causa anch’essa di ridotta fertilità, si ricorre a una terapia specifica per la malattia in atto, in grado di riportare gli ormoni a livello normale».
«L’impegno di AME – conclude Edoardo Guastamacchia, Presidente Eletto AME dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro – si rivolgerà anche verso la maggiore sensibilizzazione alla patologie endocrino-metabolico, considerando che sia l’obesità sia il diabete di tipo 2 sono in continua ascesa anche nel nostro Paese, con un impatto economico e sociale di grande rilevanza. Dunque è nostra intenzione promuovere campagne di informazione, già in età scolare, per prevenire l’insorgenza di queste due complesse patologie e ridurre i tassi di infertilità e le annesse problematiche nelle generazioni future».
di Francesca Morelli
È nato G·AME, il gruppo giovani AME
Formare giovani medici endocrinologi attenti, meticolosi, preparati: ovvero ottimi professionisti. È questo l’obiettivo che si propone il neo-nascente G·AME, il Gruppo Giovani AME, a cui possono aderire soci con meno di 40 anni per aumentare la quota di produttività, presenza e partecipazione di giovani, già elevata all’interno dell’Associazione. «G·AME – dichiara Vincenzo Di Donna, Responsabile G·AME, Gruppo Giovani AME, Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS, Roma – intende promuovere l’inserimento attivo nella vita associativa dei giovani, ma anche creare strumenti ad hoc per la loro formazione e crescita professionale e scientifica. Attraverso l’elaborazione di idee e proposte, sia durante gli eventi ufficiali AME, sia attraverso la comunicazione via web, cerchiamo di realizzare progetti concreti da sottoporre all’approvazione del Consiglio Direttivo». F. M.
PMA: l’importanza dell’analisi microbiologica
Nel 2017, secondo gli ultimi dati diffusi, sono state 77 mila le coppie che si sono rivolte alla PMA (Procreazione medicalmente assistita) e ha reso possibili circa 13.500 nascite, rispetto agli oltre 97.600 cicli eseguiti. Dunque una percentuale di esiti positivi relativamente bassa, pari al 7-13% per le tecniche più semplici e non superiore al 25% per quelle più complesse. I fallimenti della PMA possono essere dovuti a diversi fattori: età avanzata della coppia, soprattutto della donna; alcune anomalie genetiche come alterazioni cromosomiche e della doppia elica del DNA spermatico e ovocitario; infezioni sessualmente trasmesse, in particolare HIV, HPV, virus delle epatiti, Chlamydia trachomatis e Mycoplasmi; infezioni più generali dell’apparato genitale maschile e femminile; altri fattori sconosciuti con una percentuale di circa il 12-15%. Molta attenzione è rivolta all’età o alle cause genetiche della coppia che si avvicina a un percorso di PMA, mentre resta sottovalutato l’aspetto “infezioni”. Una corretta diagnosi microbiologica, eseguita nelle coppie infertili, potrebbe consentire, sia il raggiungimento di una fertilità naturale, sia la significativa riduzione dei casi di insuccesso. Allora, perché non si effettua un’analisi microbiologica? Per diffidenza, soprattutto del partner. Mentre la donna è abituata agli accertamenti ginecologici, l’uomo difficilmente si sottopone a visite andrologiche prima dell’iter per PMA. «Gli esami microbiologici – spiega Pierangelo Clerici, Presidente AMCLI e Direttore U.O. Microbiologia A.S.S.T Ovest Milanese – nella maggior parte dei casi sono di semplice esecuzione e permettono di identificare in anticipo le cause eziologiche delle infezioni e di intraprendere specifici trattamenti terapeutici con maggiore garanzia di successo delle PMA». Molte evidenze scientifiche attestano che batteri e virus possono alterare i parametri seminali e l’ambiente vaginale ed endouterino, riducendo le probabilità di fertilità naturale e compromettendo i risultati delle tecniche di PMA. «Tra le soluzioni percorribili – conclude Clerici – vi è la definizione di linee guida condivise, da applicare in tutti i 366 centri in Italia che si occupano di Medicina della Riproduzione, così da migliorare i risultati con una maggiore comprensione delle cause dell’infertilità, aumento delle coppie che riescono a concepire in modo naturale, riduzione delle complicanze infettive dell’apparato genitale, riduzione dei cicli di fecondazione assistita di secondo livello, aumento delle percentuali di gravidanza assistita, riduzione della percentuale di aborti e delle complicanze infettive nelle donne gravide e nei neonati». F. M.